Tutto sulle elezioni in Turchia
Si vota oggi, sia per il parlamento che per il presidente: quattro partiti di opposizione si presentano uniti contro Erdoğan, la cui vittoria è meno scontata che in passato
Oggi in Turchia si vota per rinnovare il Parlamento e scegliere il nuovo presidente. Le elezioni erano state inizialmente fissate per novembre 2019, ma lo scorso aprile il presidente uscente Recep Tayyip Erdoğan aveva convocato le elezioni anticipate dopo aver incontrato Devlet Bahçeli, leader del Partito del movimento nazionalista (MHP, la sigla in turco), che aveva a sua volta annunciato la volontà di votare prima della data prevista. Erdoğan aveva detto che le elezioni anticipate sarebbero servite a dare una più rapida ed efficace applicazione al nuovo sistema presidenziale che la Turchia ha adottato formalmente con il referendum dell’aprile 2017.
Queste elezioni turche sono molto importanti e seguite perché il risultato avrà conseguenze significative per il suo ruolo internazionale, e in particolare per le sue relazioni con gli Stati Uniti e l’Europa.
Il voto
Per domenica sono previste sia le elezioni presidenziali che quelle parlamentari. L’elezione del presidente della Repubblica prevede un sistema maggioritario a due turni. Se al primo turno nessun candidato otterrà più del 50 per cento dei voti, il ballottaggio sarà domenica 8 luglio. Il sistema elettorale per l’elezione del Parlamento è invece proporzionale: i 600 seggi saranno assegnati attraverso la suddivisione dei voti totali raccolti nelle 85 circoscrizioni in cui è diviso il paese. A ogni circoscrizione spetta un numero di eletti in proporzione alla popolazione.
Lo scorso marzo in Turchia è stata approvata una nuova legge elettorale che, tra le altre cose, consente ai partiti di formare delle alleanze per superare la soglia di sbarramento del 10 per cento. La soglia per ottenere dei seggi resta al 10 per cento, ma non vale come in precedenza solo per i singoli partiti bensì anche per le coalizioni. Questo favorisce i movimenti politici più piccoli ma anche la formazione di un unico grande blocco costituito dai due principali partiti conservatori del paese: l’AKP di Erdoğan e il partito nazionalista di estrema destra MHP, che hanno spinto per l’approvazione della nuova legge e che si sono subito dopo alleati in una coalizione.
Il referendum e come ci si è arrivati, in breve
Lo scorso aprile in Turchia si è svolto un referendum costituzionale voluto da Erdoğan che – anche se molto contestato – è stato approvato con il 51,4 per cento dei voti. La riforma introdotta è costituita da 18 articoli che modificano profondamente il funzionamento del governo e del Parlamento: trasformano il paese in una repubblica presidenziale, aumentano i poteri del presidente e portano sotto il controllo politico tutti i principali organi giudiziari.
La riforma prevede in particolare l’abolizione della carica del primo ministro, e che il presidente della Repubblica sia il capo dello stato e contemporaneamente capo del governo; stabilisce che il presidente possa nominare un certo numero di vicepresidenti, che abbia il potere di nominare e revocare i ministri e che possa nominare parte dei membri dell’organo che disciplina giudici e magistrati e la maggioranza dei membri della Corte Costituzionale. La riforma dice poi che il Parlamento può sfiduciare il presidente (solo a patto di sciogliersi per tenere elezioni anticipate) ma che non può sfiduciare i ministri. Aumenta infine il numero di parlamentari da 550 a 600, il cui mandato passa da quattro a cinque anni. La legge stabilisce anche che le elezioni presidenziali si svolgano insieme a quelle parlamentari.
Alla riforma si è arrivati dopo un periodo molto complicato per la Turchia cominciato molti anni fa con l’inizio dell’accentramento di molti poteri nella persona di Erdoğan e del suo governo di ispirazione islamica, e aggravatosi moltissimo nella notte tra il 15 e il 16 luglio 2016, quando una parte dell’esercito turco tentò di rovesciare il governo con un colpo di stato durante il quale morirono almeno 260 persone e ci furono oltre 2.000 feriti. Secondo Erdoğan il golpe fu organizzato da Fethullah Gülen, un influente religioso turco che vive da anni negli Stati Uniti e che fino al 2013 era il suo principale alleato politico. Secondo Gülen, invece, quel che è successo è stato un complotto di Erdoğan per giustificare la successiva vasta epurazione, e il rafforzamento dei suoi poteri: due conseguenze che, indipendentemente dalle responsabilità del golpe, ci sono effettivamente state.
Erdoğan ha infatti sfruttato il tentato colpo di stato per reprimere non solo i suoi organizzatori, ma in generale il dissenso nel paese. Decine di migliaia di persone – nell’esercito e non solo – sono state arrestate; fare i giornalisti con libertà e indipendenza è diventato sostanzialmente impossibile. La Turchia di oggi è molto divisa tra sostenitori di uno stato di ispirazione islamica e quelli di una nazione laica, ma anche tra i diversi gruppi etnici e tra le classi sociali.
Tra le conseguenze delle epurazioni e delle misure autoritarie adottate da Erdoğan dopo il golpe c’è stato anche un rapido isolamento internazionale della Turchia, che ha visto crescere moltissimo le tensioni con gli Stati Uniti e con l’Unione Europea. Parallelamente all’allontanamento politico e diplomatico della Turchia dalle nazioni occidentali (ci sono stati problemi in particolare con Germania e Paesi Bassi), Erdoğan ha riallacciato i rapporti con il presidente russo Vladimir Putin, nonostante il problema della Siria dove Turchia e Russia combattono su fronti diversi ma dove la posizione anti-Assad della Turchia si è anche ammorbidita parecchio.
I candidati
Erdoğan, che ha 64 anni, è al potere ininterrottamente dal 2003 prima come primo ministro (fino al 2014) e poi come presidente. Sarà il candidato del Partito Giustizia e Sviluppo (AKP), il partito al governo di orientamento islamista e conservatore che è riuscito ad ottenere il sostegno del Partito del movimento nazionalista (MHP, la sigla in turco) che è ultranazionalista, euroscettico e molto di destra, e del Partito della grande unità (BBP, ultranazionalista). La loro coalizione si chiama Alleanza Popolare. Erdoğan sta facendo una campagna elettorale molto aggressiva, insistendo sulle questioni nazionaliste, incolpando il terrorismo e l’Occidente per i problemi economici del paese e per l’aumento della disoccupazione.
La novità più importante delle prossime elezioni è che quattro partiti di opposizione si presenteranno uniti: ma solo alle elezioni parlamentari e non alle presidenziali, dove al primo turno ciascun partito sosterrà un proprio candidato. Molti osservatori dicono però che è possibile che trovino un accordo per l’eventuale ballottaggio.
Alle legislative il principale partito di opposizione in Turchia, il Partito popolare repubblicano (CHP, la sigla in turco), sarà alleato con altri partiti in una coalizione chiamata Alleanza Nazionale. Oltre al CHP, che è progressista, laico e che si colloca nel centrosinistra, l’accordo include il Buon partito (IYI), di orientamento nazionalista, conservatore e laico, il Partito Democratico (DP), nazionalista e moderato e il Partito della felicità Saadet (SP), di orientamento conservatore e islamista.
L’attuale leader di SP si chiama Temel Karamollaoğlu ed è molto critico con Erdoğan: sostiene che la politica del presidente «non aiuti la Turchia», che i suoi metodi «causino una polarizzazione» e che in molti casi siano anche irrispettosi della legge. Karamollaoğlu dice che religione e Stato possono coesistere pacificamente, vuole perseguire una politica estera basata sul dialogo e sulla diplomazia, dice di non voler entrare nell’Unione Europea ma di voler raggiungere uno speciale accordo sullo status del suo paese e appianare le tensioni con gli Stati Uniti e con l’Unione Europea.
SP può attirare i voti degli islamisti scontenti di Erdoğan, nonostante abbia stretto un’alleanza con formazioni politiche laiche accomunate tutte dall’opposizione all’attuale presidente: sui social la loro campagna elettorale è accompagnata dall’hashtag #Tamam, che significa “basta”. «Abbiamo alcuni principi su cui abbiamo trovato un accordo», ha detto Karamollaoğlu: e ha citato la separazione di governo e magistratura, la libertà di stampa e la revoca dello stato di emergenza cominciato dopo il golpe. La scorsa settimana, gli alleati dell’opposizione si sono incontrati per firmare un accordo per annullare, in caso di una loro vittoria, la riforma costituzionale voluta da Erdoğan e dare nuovamente al paese un sistema parlamentare. Hanno anche deciso di creare un sistema di monitoraggio parallelo del voto, in modo da verificare in modo indipendente che non ci siano frodi.
Alle presidenziali, però, ciascun partito di opposizione avrà il proprio candidato. CHP sosterrà Muharrem Ince: ha 55 anni, è un ex professore di fisica, è parlamentare dal 2012 ed è noto per la sua opposizione a Erdoğan. Ince sarà il candidato laico del partito di opposizione più importante del paese. Il Partito della Felicità Saadet (SP) ha candidato il suo segretario Temel Karamollaoğlu, che ha 77 anni. Il Buon partito (IYI) presenta invece Meral Akşener, una donna di 61 anni con alle spalle una grande esperienza politica e un incarico di ministra degli Interni. Akşener è di destra, ma una destra molto diversa da quella rappresentata oggi dal governo: si oppone all’islamizzazione del paese e alle misure autoritarie e repressive adottate negli ultimi anni. Akşener è stata anche una delle personalità più importanti del fronte del No al referendum di aprile sull’espansione dei poteri presidenziali.
Il Partito Patriottico (VP, nazionalista e di sinistra) e il Partito democratico dei popoli (più conosciuto con la sigla turca HDP, il partito curdo, di sinistra) si presenteranno da soli. Il primo ha candidato Doğu Perinçek, il secondo Selahattin Demirtas, l’attivista per i diritti umani che si trova in carcere da un anno e mezzo e a cui sono stati concessi solo venti minuti alla televisione pubblica per la campagna elettorale (l’attuale presidente, per fare una proporzione, ha avuto quasi ottanta ore nelle ultime due settimane).
Sondaggi
Tutti i sondaggi più recenti dicono che Erdoğan non riuscirà ad essere eletto presidente al primo turno. Al secondo posto arriverebbe Muharrem Ince, che è dato intorno al 30 per cento. Meral Akşener risulta terza oscillando tra l’8 e il 15 per cento dei consensi, abbastanza vicina al candidato dei curdi Selahattin Demirtaş. Karamollaoğlu e Perinçek hanno percentuali molto basse. Al ballottaggio, secondo le principali ricerche, Erdoğan risulterebbe vincitore ma con pochissimo margine sia contro Ince che contro Akşener. Sarà fondamentale capire come si comporterà in quel caso il candidato dei curdi: se deciderà cioè, in nome dell’opposizione a Erdoğan, di appoggiare con gli altri un candidato comune.
Per quanto riguarda le elezioni parlamentari, i dati dicono che il primo partito continuerebbe ad essere l’AKP con percentuali che vanno dal 40 al 43 per cento, circa seguito dal CHP (dal 24 al 27 per cento circa). L’IYI Parti, il Buon Partito, è dato intorno al 10-13 per cento, il Partito democratico dei popoli (HDP) è tra il 9 e il 12 e l’MHP tra il 5 e il 7 per cento.
Cosa potrebbe succedere?
Il fatto che l’opposizione si presenti unita da una parte ma divisa dall’altra lascia la situazione piuttosto incerta. Teoricamente sono possibili tre scenari elettorali: vince Erdoğan, con un parlamento in cui vince la sua coalizione nazionalista islamista; vince uno degli avversari di Erdoğan, con un Parlamento in cui vinca la coalizione di opposizione, sia laica che islamista; oppure si potrebbe verificare un esito combinato, in cui il presidente e il Parlamento appartengono a schieramenti opposti.
In questo caso potrebbero esserci altre due possibilità: potrebbe essere rieletto Erdoğan, che si troverebbe però a governare con un parlamento dominato da una forte opposizione alla sua riforma costituzionale, o al contrario potrebbe diventare presidente un candidato dell’opposizione, che governerebbe con un parlamento dominato dall’AKP-MHP.
Erdoğan ha già detto che cosa pensa se dovesse governare con un Parlamento a lui contrario: in un’intervista a Bloomberg ha spiegato che la logica del nuovo sistema presidenziale è avere una forte maggioranza parlamentare a sostegno del presidente. Se si ripresentasse dunque la situazione delle elezioni precedenti – quando Erdoğan venne eletto presidente ma alle votazioni legislative il suo partito non raggiunse la maggioranza assoluta – probabilmente agirebbe come allora e chiederebbe nuove elezioni. Nel novembre 2015, alle seconde votazioni, l’AKP riuscì a recuperare quasi tutti i voti persi a giugno e tornò al governo con la maggioranza assoluta. Oggi potrebbe esserci però una complicazione in più: se Erdoğan decidesse di sciogliere il Parlamento si dovrebbero ripetere anche le presidenziali, proprio come stabilisce la sua riforma costituzionale.
C’è un’altra cosa da tenere presente in questo scenario così incerto: se il voto del primo turno delle presidenziali non darà un risultato definitivo, il voto delle legislative potrebbe essere determinante per l’esito del ballottaggio. Se le legislative producessero per esempio una maggioranza della coalizione Alleanza Nazionale, quella di opposizione, gli elettori e le elettrici al ballottaggio potrebbero decidere di non votare Erdoğan – che per ora risulta in vantaggio – per risparmiare al paese una crisi politica e un nuovo voto.