Le famiglie separate al confine con gli Stati Uniti
Storie e foto della crisi causata dalla nuova politica sugli ingressi voluta da Trump, che ha già provocato traumi e sofferenze ad almeno duemila bambini
La politica della “tolleranza zero” sull’immigrazione adottata a partire da aprile dall’amministrazione Trump negli Stati Uniti, che ha provocato centinaia di casi di bambini separati forzatamente dalle proprie famiglie, molto documentati e discussi negli ultimi giorni sui media americani, sta iniziando a sollevare critiche anche all’interno del Partito Repubblicano. La senatrice Susan Collins, l’ex First Lady Laura Bush e perfino quella attuale Melania Trump hanno espresso critiche più o meno pesanti alle politiche attuate dalla polizia di frontiera (Border Patrol) nei confronti degli immigrati.
Negli ultimi giorni, infatti, i giornali americani stanno raccontato le storie dei genitori separati a forza dai propri figli, per via di una modifica al regolamento sull’immigrazione voluta dall’amministrazione Trump, e in particolare dal procuratore generale Jeff Sessions. Associated Press ha ottenuto un documento del Dipartimento della Sicurezza Interna che dice che tra il 19 aprile e il 31 maggio 1.995 bambini sono stati separati da 1.940 genitori.
A causare la crisi, in pratica, è stata la decisione dell’amministrazione Trump di smettere di applicare un trattamento di eccezione agli adulti che entrano illegalmente negli Stati Uniti accompagnando dei minori. Prima dell’applicazione del nuovo metodo, infatti, chi entrava nel territorio americano illegalmente per la prima volta e in presenza di minori non subiva una separazione, salvo rarissime eccezioni, né veniva considerato come soggetto prioritario da perseguire penalmente. Le famiglie venivano perlopiù detenute insieme in centri speciali, in attesa del giudizio di un giudice speciale.
Ora, con la nuova politica, questi adulti sono perseguiti penalmente da un giudice federale, e detenuti nel frattempo in una prigione federale. Per legge, i figli non possono essere incarcerati insieme ai genitori in queste prigioni: è per questo che vengono separati. L’idea alla base della nuova linea è scoraggiare gli ingressi illegali nel paese: secondo l’amministrazione Trump, i minori erano usati spesso come “trucco” per fare entrare adulti negli Stati Uniti.
Questa nuova politica ha già generato enormi sofferenze tra gli immigrati irregolari: come quella documentata in una delle foto più circolate negli ultimi giorni, che ritrae una bambina in lacrime a McAllen, in Texas, lungo il confine tra Stati Uniti e Messico. La sua storia è stata raccontata a CNN da John Moore, che ha scattato la foto per l’agenzia Getty: era appena stata posata per terra da sua madre, per una perquisizione corporea, dopo un viaggio durato diversi mesi. La foto non rappresenta quindi l’effettivo momento della separazione, anche se ne è diventata una specie di simbolo: Moore ha detto comunque che probabilmente è successo poco dopo, anche se la bambina o la madre non lo sapevano.
Laura Bush ha definito «crudele» e «immorale» la separazione delle famiglie, aggiungendo che nonostante viva in uno stato di confine – il Texas – e apprezzi il mantenimento della sicurezza, le scene raccontate dai media le «spezzano il cuore». Melania Trump ha detto di “detestare” queste scene, e di sperare che Repubblicani e Democratici possano cambiare l’attuale legge sull’immigrazione. Come hanno fatto notare i Democratici, però, non c’è nessuna legge che prevede la separazione delle famiglie, determinata soltanto dal cambio di approccio voluto dall’amministrazione Trump. Lindsey Graham, senatore Repubblicano vicino a Trump, ha detto che «il presidente potrebbe mettere fine a questa politica con una telefonata», e che proverà a convincerlo a farlo.
Tra le storie raccontate dai giornali c’è stata quella di un bambino di 4 mesi tolto di forza dalle braccia della madre che lo stava allattando. Gli avvocati e attivisti che stanno seguendo la vicenda dicono che in certi casi gli adulti sono stati espulsi e rimpatriati senza i loro figli, rimasti nei centri speciali statunitensi. È il caso della guatemalteca Elsa Johana Ortiz, che era entrata negli Stati Uniti dal Texas lo scorso 26 maggio insieme al figlio di 8 anni, progettando di raggiungere il suo fidanzato che aveva già un lavoro come operaio. Ortiz è stata però separata da suo figlio al confine, e successivamente messa su un aereo per il Guatemala, dove si trova ora. Suo figlio è invece ancora negli Stati Uniti.
La “tolleranza zero” voluta dal governo statunitense, dicono avvocati e attivisti, non prevede dei metodi per tenere in contatto adulti e minori dopo la separazione, e ci possono volere dei mesi perché vengano riuniti: durante i quali i minori rimangono soli in un paese di cui spesso non conoscono nemmeno la lingua.
Il sito Texas Monthly ha parlato con Anne Chandler, a capo di una ong di Houston che si occupa di aiutare i migranti. Chandler ha spiegato che gli adulti e i minori che accompagnano, e da cui sono separati, sono inseriti in percorsi di detenzione completamente diversi: i primi devono aspettare anche settimane perché venga esaminato il loro caso e sia stabilito se la loro paura per la propria sicurezza nei paesi di origine sia credibile. Nel frattempo, non è previsto un sistema per ricongiungerli ai minori, che sono intanto stati presi in carico dai servizi sociali, che cercano l’adulto più prossimo a cui affidarli. Chandler ha spiegato che ci sono grandi problemi e rallentamenti logistici nell’applicazione di questa nuova politica, anche per la mancanza di giudici e di posti letto nelle prigioni al confine.
I giornalisti che hanno visitato i centri in cui dormono i minori separati dalle proprie famiglie, come Jacob Soboroff di MSNBC, hanno scritto che nonostante siano chiamati “rifugi” assomigliano molto di più a centri di detenzione. Soboroff è stato nel centro allestito in un ex supermercato a Brownsville, in Texas, dove sono detenuti quasi 1.500 bambini, ai quali sono concesse soltanto due ore all’aria aperta al giorno.
Un altro tema di cui si sta discutendo sono i presunti casi di separazioni avvenute ai danni di regolari richiedenti asilo, che sono protetti dal diritto internazionale, che proibisce il loro respingimento. Nei giorni scorsi sono emerse testimonianze di famiglie di richiedenti asilo entrate negli Stati Uniti in quelli che sono definiti “Port of Entry”, cioè ingressi “ufficiali”, e poi separate. Kirstjen Nielsen, segretaria della Sicurezza Interna, ha smentito queste ricostruzioni, rispondendo a una lettera dei senatori Repubblicani Susan Collins e Jeff Flake che chiedeva spiegazioni al riguardo. Secondo il New York Times, però, ci sono ingressi “ufficiali” che non stanno accettando le richieste di asilo, costringendo i migranti ad attraversare il confine in altri punti per venire poi separati e detenuti.