Tutto sulle ong che soccorrono i migranti
Chi sono e cosa fanno le organizzazioni che in questi giorni sono tornate al centro del dibattito italiano
di Luca Misculin – @lmisculin
Negli ultimi giorni le ong che soccorrono i migranti nel tratto di mare fra Italia e Libia sono tornate al centro del dibattito pubblico: una delle navi che gestisconom, la Aquarius è stata respinta dalle autorità italiane e costretta ad accettare l’offerta del governo spagnolo di approdare a Valencia. Ma delle navi delle ong si parla almeno dall’estate scorsa, quando alcuni partiti politici le accusarono di essere dei “taxi del Mediterraneo”, e in sostanza di trasportare illegalmente migliaia di persone in Italia. Cerchiamo di capirne di più.
Di chi parliamo
Fra il 2015 e il 2017 una dozzina di ong che si occupano di soccorrere i migranti haso lavorato nel tratto di mare che separa la Libia dall’Italia. Molte sono state fondate fra il 2014 e il 2015, quando aumentò il flusso di barconi partiti dalla Libia, con lo scopo specifico di aiutare le operazioni di soccorso. Alcune citano come ragione fondante la fine di Mare Nostrum, un’operazione militare italiana che aveva come obiettivo il soccorso dei migranti che partivano dal Nord Africa, conclusa nel 2014. Nessuna di queste ong è italiana: provengono soprattutto da Francia, Spagna e Germania, ed è per questo che non battono bandiera italiana (spesso inoltre affittano vecchie navi che provengono da altri paesi ancora).
Quattro ong sono ancora attive: SOS Mediterranée, Proactiva Open Arms, Sea Watch e Sea Eye. Molte se ne sono andate, anche in seguito ai numerosi atti aggressivi della Guardia Costiera libica, formata soprattutto da gruppi armati locali sostenuti e finanziati dalle autorità italiane ed europee, e al crollo degli arrivi via mare grazie agli accordi fra il governo italiano e alcune milizie libiche.
Fra le ong che hanno sospeso le proprie attività nel Mediterraneo ci sono nomi grossi come Save The Children, una delle più ong più attive al mondo a difesa dei diritti dei bambini, Medici Senza Frontiere, che oggi si limita a co-gestire una nave con SOS Mediterranée, MOAS e Jugend Rettet, una ong tedesca attualmente sotto indagine dalla procura di Catania per presunte attività di collaborazione con scafisti libici.
Cosa fanno
Le navi vanno avanti e indietro fra le coste libiche e l’Italia per soccorrere i migranti che si imbarcano in Libia. Non agiscono per conto proprio, ma per ogni operazione si coordinano con l’Italian Maritime Rescue Coordination Centre (IMRCC) della Guardia Costiera, che è situato a Roma e gestisce gli interventi di SAR (cioè di soccorso in mare) nel tratto di mare assegnato all’Italia. Per prassi le navi delle ong comunicano ogni quattro ore alla centrale di Roma posizione, velocità e rotta che stanno seguendo.
Il centro IMRCC di Roma è di fatto l’unico a occuparsi delle operazioni di soccorso in acque libiche. La zona SAR di Malta è ancora più vicina alla Libia di quella italiana, ma la piccola isola non ha le risorse per occuparsene efficacemente. La Libia, un paese che dal 2011 è in guerra civile, non ha una zona SAR riconosciuta dalla comunità internazionale; negli ultimi mesi le autorità italiane hanno favorito la creazione di una centrale informale a Tripoli, dove ha sede l’unica entità territoriale riconosciuta dalla comunità nazionale. Al momento però la “centrale” si trova a bordo della nave Tremiti della Marina militare italiana, ormeggiata nel porto di Tripoli.
Le ong in questione stazionano al largo della Libia finché non ricevono notizia di un barcone salpato dalla Libia e strapieno di persone o, nei casi peggiori, di un naufragio. A quel punto contattano la centrale di Roma, che si assume formalmente il controllo delle operazioni, e raggiungono il barcone. A meno di imprevisti – come l’intervento della Guardia Costiera libica, che “soccorre” i migranti per portarli in centri di detenzione dove raramente si rispettano i diritti umani – le persone soccorse vengono stipate a bordo, fornite di cibo e vestiti e visitate sbrigativamente per valutare le loro condizioni. L’equipaggio di queste navi è formato da figure diverse, fra cui soccorritori, interpreti e personale medico (oltre che un buon numero di volontari).
Alla fine di queste operazioni possono succedere due cose: i migranti vengono consegnati alle navi della Guardia Costiera o della Marina militare italiana, che li conducono in Italia, oppure sono trasportati nei porti italiani dalla stessa ong.
Perché li portano in Italia
Le ong che soccorrono i migranti seguono la cosiddetta convenzione di Amburgo del 1979 e altre norme sul soccorso marittimo, che prevedono che gli sbarchi di persone soccorse in mare debbano avvenire nel primo “porto sicuro” sia per prossimità geografica sia dal punto di vista del rispetto dei diritti umani.
La Tunisia è un paese relativamente sicuro ma non è attrezzato per garantire i bisogni dei migranti, e a giudizio dagli operatori delle ong non ha una legislazione completa sulla protezione internazionale. Malta ha la metà degli abitanti di Genova e il quintultimo PIL dell’Unione Europea, e si occupa già dei migranti che riesce a gestire. Grecia, Francia e Spagna sono troppo lontane dalle coste libiche. È per questo che le ong trasportano in Italia, e solo in Italia, tutte le persone che soccorrono nei pressi della Libia: i porti italiani sono semplicemente i più vicini e sicuri. D’altronde, come abbiamo già visto, anche le navi che appartengono alle autorità italiane riportano tutti i migranti in Italia.
Non è che con la loro attività le ong attirano i migranti?
È un’ipotesi che circola da anni, e ripresa anche dal direttore di Frontex, l’agenzia europea per il controllo delle frontiere. In realtà non è mai stata dimostrata una correlazione fra la presenza delle navi delle ong al largo della Libia e un aumento degli arrivi via mare. Secondo uno studio dell’ISPI, a un aumento dei migranti soccorsi dalle ong – che nel picco delle loro attività compivano circa il 65 per cento delle operazioni – non è corrisposto un aumento dei barconi partiti dalla Libia.
Secondo alcuni operatori delle ong, gli sbarchi erano già aumentati prima del loro arrivo. Inoltre, le ragioni che spingevano i migranti a scappare dai loro paesi d’origine non sono state risolte. «Nei mesi successivi all’interruzione di Mare Nostrum c’è stato un aumento delle partenze, eppure non c’erano mezzi pronti al soccorso», ha raccontato a Internazionale Marco Bertotto, responsabile della promozione di Medici Senza Frontiere. «Sono diversi i fattori che determinano i picchi di arrivi e questo ci porta a dire che a prevalere è comunque il fattore di spinta (push factor) rispetto al fattore di attrazione (pull factor). Sono le ragioni per cui fuggono che spingono queste persone a mettersi in mare non certo la possibilità – che non è certezza – di essere salvati».
Quello che fanno le ong è legale?
Sì. La stragrande maggioranza delle operazioni di soccorso avviene in acque internazionali, in cui hanno piena libertà di movimento. Solo raramente alcune navi si sono spinte entro le 12 miglia marine che rappresentano il confine delle acque territoriali della Libia. Il diritto internazionale prevede che le operazioni di soccorso possano avvenire anche entro le acque libiche, ha spiegato al sito di Possibile l’avvocato Francesco Del Freo, che si occupa di diritto marittimo.
Ovunque si trovi la sua nave, «il comandante di nave è obbligato, ai sensi dell’articolo 1158 del Codice della navigazione, ad assistere navi o persone in pericolo, ovvero a tentare il salvataggio, giacché sia la Convenzione di Londra all’articolo 10 che il nostro Codice penale impongono tale obbligo, pena incorrere in un reato punito con la pena di reclusione dai tre agli otto anni qualora dall’omissione derivasse la morte».
Alcuni analisti e magistrati sostengono che le ong in alcuni casi siano responsabili del reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, visto che trasportano in Italia persone che sulla carta non avrebbero i documenti per farlo. L’ong tedesca Jugend Rettet è tuttora indagata dalla procura di Catania per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina: è accusata di essersi messa d’accordo con alcuni trafficanti di esseri umani in Libia per portare a bordo della sua nave, la Iuventa, persone che non avevano bisogno di essere soccorse.
La giornalista Marina Petrillo, che ha letto le carte dell’inchiesta e ne ha pubblicato un resoconto su Open Migration, ha scritto che dalle accuse dei magistrati «la Iuventa emerge dalle opinioni raccolte nelle carte come una sorta di centro sociale berlinese in mezzo al mare – organizzatissimo, radicale e antagonista». Jugend Rettet in effetti era nota fra le altre ong per essere piuttosto spericolata, e per spingersi spesso nei pressi del limite delle 12 miglia marine dalla costa libica. Le accuse contro Jugend Rettet sembrano piuttosto solide ma anche molto circoscritte: riguardano solo la ong tedesca e non coinvolgono le organizzazioni più grandi e attive come Medici Senza Frontiere, Save the Children e MOAS.
La maggior parte degli esperti di immigrazione è convinta che le ong meno spericolate non possano essere accusate di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, visto che non si mettono d’accordo con i trafficanti di esseri umani e che sono protette dalla cosiddetta “clausola umanitaria”, prevista dall’art.12 del decreto legislativo 286/1998, che giustifica l’ingresso illegale di persone sul territorio italiano in casi di emergenze umanitarie. Va poi tenuto conto che uno stato non può mai respingere persone che chiedono protezione internazionale, come fanno tutte le persone sbarcate in Italia (perché altrimenti sarebbero detenute e riportate nel loro paese). I respingimenti di richiedenti asilo sono esplicitamente vietati dall’articolo 33 della convenzione sullo status dei rifugiati firmata a Ginevra nel 1951, e dal protocollo 4 che integra la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, entrato in vigore nel 1968.
Il cosiddetto codice delle ong introdotto dal ministero dell’Interno italiano nell’estate del 2017 «non è un atto giuridico», «non è vincolante per nessuno» e ha avuto come sola conseguenza quella di provocare una pressione mediatica nei confronti delle ong, ha detto al Post Salvatore Fachile, un avvocato che si occupa di immigrazione e fa parte dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione (ASGI). L’estate 2017 è stata quella dei picchi di arrivi via mare, degli accordi fra Italia e Libia e delle prime violenze compiute dalla Guardia Costiera libica: l’ipotesi che circola fra gli attivisti per i diritti dei migranti è che il governo italiano avesse bisogno di un capro espiatorio da incolpare per la situazione di emergenza in cui si trovava l’Italia.
Chi le paga?
Tutte le ong coinvolte nei soccorsi nel Mediterraneo si sostengono grazie a piccole e grandi donazioni. Alcune possono permetterselo, dato che hanno alle spalle organizzazioni enormi come Save The Children e Medici Senza Frontiere, oppure filantropi come Regina e Christopher Catrambone (i fondatori di MOAS).
Quelle più piccole hanno bisogno di migliaia di donatori. Sea Watch e Proactiva Open Arms hanno in evidenza sui loro siti un modulo che permette di donare cifre anche consistenti in pochi minuti. Sos Méditerranée ha fatto sapere che nel 2016 ha avuto contributi da 13.800 persone, che al 99 per cento erano donatori privati.
MOAS è stata la ong più attaccata sui propri conti e le ambizioni dei coniugi Catrambone, che qualcuno ha accusato di volersi fare un nome grazie ai soccorsi nel Mediterraneo. Christopher Catrambone è un imprenditore che prima di dedicarsi a MOAS lavorava nel campo delle assicurazioni, e le sue attività sono state passate al setaccio dai giornali italiani: a maggio del 2017, ad esempio, l’Espresso ha pubblicato un lungo articolo su di lui intitolato «MOAS, tutti i misteri del fondatore della ong», ma che contiene ben pochi misteri (MOAS fra l’altro ha risposto con una lettera in cui smentisce alcune informazioni contenute nell’articolo). Per cercare di prevenire le accuse, MOAS ha reso pubblico il suo bilancio annuale del 2016, consultabile qui, da cui ha stralciato l’elenco dei donatori per ragioni di riservatezza.
Molte delle accuse alle ong ruotano in effetti intorno ai finanziatori e ai presunti secondi fini che avrebbero queste organizzazioni, al di là di quello umanitario. Durante un intervento istituzionale tenuto in Senato il 13 giugno, il nuovo ministro dell’Interno Matteo Salvini ha lasciato intendere che dietro ad alcune ong possa esserci l’imprenditore e filantropo ungherese-statunitense George Soros, da anni al centro di molte teorie del complotto di gruppi di estrema destra per le sue attività filantropiche e le origini ebraiche.
In realtà Soros non risulta legato direttamente a nessuna ong che soccorre le persone nel Mediterraneo, nonostante diversi giornali italiani lo abbiano accusato di «finanziare l’arrivo di immigrati» e «pagare l’invasione dell’Europa». Un articolo del Giornale del 2017 caratterizzava in maniera negativa una donazione di 500mila euro fatta a MOAS da Avaaz, una piattaforma di attivismo online che secondo il Giornale è riconducibile a Moveon.org, che a sua volta «fa capo» a Soros. In realtà Avaaz è stata solamente cofondata da Moveon.org, che non la controlla né «fa capo» a Soros, che ha avuto dei legami con la piattaforma 14 anni fa.