Cosa fa la Spagna con i migranti via mare
Se ne parla per l'offerta del nuovo governo socialista di far sbarcare a Valencia i migranti dell'Aquarius, e si dicono alcune cose vere e altre false
Negli ultimi giorni il nuovo governo spagnolo del socialista Pedro Sánchez è stato elogiato da diversi politici italiani ed europei per avere accettato di far sbarcare i 600 migranti a bordo della nave Aquarius al porto di Valencia, nel sud della Spagna. Altri invece hanno accusato Sánchez di essere un «ipocrita» per avere criticato il governo italiano, che si era rifiutato di far approdare Aquarius nei suoi porti: «ipocrita» perché, hanno sostenuto questi ultimi, la Spagna non ha dovuto affrontare flussi migratori come quelli a cui è stata sottoposta di recente l’Italia; e poi perché l’esercito spagnolo – secondo una convinzione piuttosto diffusa – sarebbe abituato a sparare contro i migranti che arrivano dal mare.
Ci sono alcune cose vere e altre no, in quello che viene detto negli ultimi giorni. È vero per esempio che per anni la Spagna ha avuto, relativamente all’immigrazione via mare, numeri molto lontani da quelli dell’Italia, ed è vero che l’approccio spagnolo nei confronti dell’immigrazione irregolare è stato per lo più orientato verso il blocco dei flussi piuttosto che alla loro gestione. Non è vero però che l’esercito spagnolo spari abitualmente alle barche di migranti nel Mediterraneo e non è nemmeno vero che la differenza dei flussi migratori via mare tra Italia e Spagna sia oggi grande come lo era in passato.
Un po’ di numeri
Anzitutto vale la pena partire da qualche numero. Dal 2014 al 2017 l’immigrazione nel Mediterraneo ha seguito diverse rotte, a seconda del paese di destinazione. Il paese europeo che ha avuto i numeri più scostanti di arrivi via mare è stata la Grecia, che è passata da 41mila migranti nel 2014 agli 850mila del 2015, per poi crollare a 30mila nel 2017 (dati dell’UNHCR, l’Alto commissariato dell’ONU per i rifugiati). I numeri della Grecia sono dipesi dall’apertura della cosiddetta “rotta balcanica” nel 2015, attraverso la quale sono entrate in Europa centinaia di migliaia di persone soprattutto provenienti dalla Siria e dall’Iraq, e dal successivo accordo tra governo greco e governo turco che ha quasi bloccato del tutto il flusso.
In Italia i numeri sono rimasti più costanti: 170mila arrivi nel 2014, poi un calo nell’anno della “rotta balcanica”, considerata più sicura di quella del Mediterraneo centrale; nel 2016 il picco di 181mila arrivi e un nuovo netto calo nel 2017, con 119mila arrivi. Il calo è stato dovuto per lo più ai controversi accordi promossi dall’ex ministro dell’Interno Marco Minniti con le milizie libiche per bloccare i flussi.
Di fronte alle situazioni di Grecia e Italia, i numeri della Spagna fanno piuttosto impressione. Nel 2014 gli arrivi in Spagna sono stati 4.600. Nel 2015 sono saliti leggermente a 5.200, nel 2016 a 8.100 e nel 2017 si è raggiunto il picco di 22mila arrivi. Il tema dell’immigrazione via mare non è stato centrale nel dibattito politico spagnolo: si è parlato molto di più di corruzione del Partito popolare, il principale partito di centrodestra guidato dall’ex primo ministro Mariano Rajoy, di indipendentismo catalano e in generale del difficile rapporto tra governo centrale di Madrid e Comunità autonome. Dalla metà del 2017, però, anche la Spagna ha cominciato a parlare con più costanza di migranti provenienti dal Mediterraneo.
Mentre in Grecia e in Italia il numero di sbarchi si è notevolmente ridotto, in Spagna è costantemente aumentato. Se si guardano i dati dell’UNHCR dall’inizio d gennaio a fine maggio 2018, si vede che il flusso di migranti in Italia, Spagna e Grecia si è quasi pareggiato: rispettivamente 15.316 persone, 12.219 e 12.065.
Cos’è successo?
Partiamo da cosa succedeva prima. Per molto tempo l’immigrazione clandestina in Spagna è stata un problema rilevante. All’inizio degli anni Duemila una delle principali tappe dell’immigrazione clandestina in Europa passava per le isole Canarie, che si trovano di fronte alla costa occidentale del Marocco. Nel corso degli anni i flussi hanno cominciato a concentrarsi verso l’Andalusia, la regione spagnola già vicina al territorio marocchino, e attraverso due enclavi spagnole in Marocco, Ceuta e Melilla.
Il governo di Madrid ha risposto mettendo in piedi un sistema di polizia mirato per lo più a bloccare i flussi migratori direttamente nei loro paesi di origine. A Ceuta e Melilla ha costruito delle barriere per dividere il territorio spagnolo da quello marocchino, impiegando per la sorveglianza e la sicurezza un numero notevole di agenti della polizia e della Guardia Civil. Gli episodi violenti sono stati diversi: nel 2014, per esempio, centinaia di migranti tentarono di entrare in territorio spagnolo a Ceuta aggirando a nuoto la barriera che finisce per qualche metro dentro l’acqua. La Guardia Civil cominciò a lanciare in acqua gas lacrimogeno e a sparare proiettili di gomma: morirono 15 migranti. Nel corso degli anni ong e attivisti hanno criticato le autorità spagnole anche per altre pratiche considerate contrarie al diritto internazionale in materia di soccorsi, come quella di entrare direttamente nelle acque territoriali marocchine e rimandare indietro le barche dirette verso la Spagna.
Nonostante le critiche per le violenze, da molti anni le autorità spagnole, con l’aiuto di molte ong, si occupano di coordinare i soccorsi nel Mediterraneo e inserire i richiedenti asilo nel sistema di accoglienza nazionale.
Il governo spagnolo ha anche sviluppato da tempo rapporti bilaterali molto stretti con l’Algeria e soprattutto con il Marocco. Le autorità marocchine hanno lavorato a stretto contatto con quelle spagnole per limitare il più possibile le partenze di migranti diretti verso nord, in cambio di soldi o accordi politici favorevoli. È un approccio che ha funzionato, se lo si guarda dalla parte del governo spagnolo, ed è lo stesso che ha cercato di adottare anche l’ex ministro italiano Marco Minniti con il vicino più meridionale dell’Italia, la Libia, con una differenza fondamentale: in Marocco c’è un governo solido (e un governo solo) che controlla il territorio nazionale e che è in grado di decidere e applicare le politiche richieste dalla Spagna; in Libia ci sono almeno due governi, migliaia di fazioni che si alleano tra loro a seconda dell’opportunità politica, una guerra civile in corso e centri di detenzione per migranti controllati da milizie e personaggi oscuri nei quali vengono compiute violazioni sistematiche dei diritti umani.
Perché proprio ora?
Come detto, da un anno a questa parte il numero di migranti che hanno usato la via del Mediterraneo per raggiungere la Spagna è tornato a salire. I motivi sono stati diversi.
Inizialmente, nell’estate 2017, il Marocco dovette affrontare una rivolta antigovernativa molto intensa nella regione settentrionale del Rif. La rivolta, sostengono alcuni analisti, costrinse il governo marocchino a ricollocare molti agenti della Gendarmeria nazionale a nord, spostandoli dalle zone di frontiera. Secondo altri il Marocco avrebbe diminuito volutamente il controllo sui flussi migratori per ottenere delle concessioni dalla Spagna e dall’Unione Europea, con cui ha alcune questioni in sospeso, tra cui quella del pieno riconoscimento della sovranità marocchina sulla regione del Sahara occidentale.
Ma c’è di più: i numeri dei flussi migratori in Spagna sono cominciati a salire contemporaneamente al calo dell’immigrazione dalla Libia all’Italia. Sempre più migranti dell’Africa subsahariana, ha scritto il Financial Times, scelgono di non rischiare di finire nei centri di detenzione libici, dove potrebbero essere torturati, stuprati e venduti come schiavi. In altre parole, la rotta del Mediterraneo occidentale è diventata più sicura di quella del Mediterraneo centrale, che è stata rallentata proprio dagli accordi tra governo italiano e forze libiche.
Le valutazioni politiche di Sánchez
L’attuale governo spagnolo è guidato dal socialista Pedro Sánchez, che è arrivato a essere primo ministro in una maniera piuttosto rocambolesca. Due settimane fa Sánchez – a capo di un partito che alle ultime due elezioni nazionali aveva ottenuto i risultati peggiori della sua storia – ha presentato in Parlamento una mozione di sfiducia contro il governo conservatore guidato da Mariano Rajoy, il cui partito era stato coinvolto nell’ennesimo scandalo. Più per opposizione a Rajoy che per vero sostegno a Sánchez, la mozione di sfiducia è stata approvata dalla maggioranza del Parlamento, con la promessa comunque di andare ad elezioni anticipate. Essendo che in Spagna la mozione di sfiducia è di tipo costruttivo – quindi nel momento in cui si vota per mandare via un capo del governo si esprime automaticamente la fiducia a un suo sostituto – Sánchez è passato da un giorno all’altro dall’essere il leader della forza politica più in crisi della politica spagnola all’essere il capo del nuovo governo.
Il partito di Sánchez non ha grandi consensi: dagli ultimi sondaggi, che lo danno in netta risalita, non arriva al 29 per cento. L’obiettivo dichiarato del PSOE è distanziarsi il più possibile dalle politiche di Rajoy, che ha governato in Spagna per sette anni, per cercare di guadagnare consensi in vista delle prossime elezioni. Rajoy è stato a capo di un governo che ha accettato solo una piccola quota dei migranti che avrebbe dovuto accogliere la Spagna secondo il cosiddetto programma di relocation dell’Unione Europea (non solo la Spagna comunque: è stato un problema che ha riguardato tanti altri stati); ed è stato anche a capo di un governo che ha usato particolare durezza contro i migranti che tentavano di attraversare il Mediterraneo. Sánchez potrebbe voler sinceramente adottare una nuova politica migratoria, diversa da quella di Rajoy e diversa anche da quella appoggiata finora dalla maggior parte dei paesi europei non di frontiera, anche perché in Spagna il fenomeno dell’immigrazione sembra essere in costante aumento; di certo, comunque, non ha niente da perdere.