Scacciare le zanzare funziona più del previsto
Almeno secondo questa ricerca: una zanzara impara a riconoscere l'odore di chi si agita troppo e lo lascia perdere per qualche ora, cercando altre prede
Mulinare per aria le braccia per scacciare con energia una zanzara potrebbe essere molto più efficace del previsto, almeno secondo una ricerca pubblicata quest’anno sulla rivista scientifica Current Biology, e che torna utile con l’arrivo dei primi sciami di questi insetti. Jeffrey Riffell, dell’Università di Washington (Stati Uniti), ha notato insieme a un gruppo di colleghi che una reazione scomposta e violenta (senza esagerare, non fatevi male) può in alcuni casi dissuadere una zanzara da colpire una preda, inducendola a dedicarsi a qualcos’altro.
Per mettere alla prova la loro teoria, il gruppo di ricerca guidato da Riffell ha utilizzato un piccolo cesto che riproduce vortici e vibrazioni simili a quelli causati dalle nostre mani e braccia quando le agitiamo per aria, nel tentativo di scacciare un insetto fastidioso. Le zanzare sono state collocate all’interno del cestino ed esposte ad alcuni specifici odori dai quali sono attirate. Dopo circa un quarto d’ora di trattamento, le zanzare sono state tolte dal cestino ed esposte allo stesso odore, ma non ne sono state attratte e l’hanno lasciato perdere, a quanto pare perché associato con una situazione di potenziale pericolo. Il ricordo è durato per circa 24 ore, poi gli insetti hanno ripreso a essere attirati come se nulla fosse successo.
Secondo i ricercatori, ricordare l’odore di un soggetto – che fa di tutto per schiacciarle – aiuta le zanzare a tenersi alla larga dai pericoli e ad aumentare le loro probabilità di sopravvivenza. Per gli insetti, del resto, il rischio di finire spiaccicati è molto alto e di conseguenza ha senso che adottino meccanismi per tenersi il più possibile al sicuro. Le zanzare lasciano perdere la loro potenziale preda e ne cercano un’altra, confidando sia meno rischiosa per loro.
Le zanzare hanno una capacità di rilevare gli odori e i composti chimici nell’aria sorprendente. Percepiscono a centinaia di metri di distanza la presenza di maggiori concentrazioni di anidride carbonica, il gas prodotto da buona parte degli animali con la respirazione. Seguono la scia fino a raggiungerne la fonte e attivano altri sistemi di riconoscimento per distinguere odore e temperatura della preda. Questa precisione è essenziale per la loro sopravvivenza: una zanzara ha bisogno di sangue, sostanza nutritiva e ricca di proteine, al termine dell’accoppiamento per formare le uova e riprodursi. Per questo la ricerca di una preda è spasmodica, non conosce sosta e rende questi insetti così insistenti.
Una zanzara è in grado di distinguere oltre 200 diverse varianti nella composizione chimica dell’odore di un animale, noi compresi, ma i ricercatori non sanno ancora di preciso come funzioni questo meccanismo. L’ipotesi è che la dopamina, una sostanza coinvolta nell’apprendimento in molti animali, abbia un ruolo centrale nel processo. Grazie alla dopamina – pensano Riffell e colleghi – le zanzare riescono a distinguere l’odore caratteristico di un soggetto dagli altri odori e a ricordarselo. Modificando i geni che regolano i recettori della dopamina, i ricercatori hanno notato che le zanzare perdevano la loro capacità di imparare a distinguere l’odore di un soggetto più pericoloso di altri.
Anche se molto resta da chiarire, la ricerca pubblicata su Current Biology potrebbe aiutare a comprendere meglio i meccanismi che regolano le battute di caccia delle zanzare. Se l’ipotesi della dopamina fosse confermata, in futuro si potrebbero produrre insetticidi per bloccare la memoria di questi insetti, rendendole meno reattive ai sistemi per scacciarle o schiacciarle.
Naturalmente scacciare con energia una zanzara per qualche minuto, fino a dissuaderla, funziona solo in alcune condizioni e se l’insetto ha nelle vicinanze valide alternative; in mancanza di queste, farà probabilmente di tutto per provare a sottrarvi qualche goccia di sangue, dalle quali dipende la sua sopravvivenza e la nascita della sua prole. I risultati dello studio di Riffell potrebbero essere comunque un buon incentivo per non starsene troppo per conto proprio, almeno d’estate.