Il porto in cui temono di più Brexit
A Dover il ripristino di una dogana "marittima" tra Regno Unito e Francia avrebbe gravi conseguenze (e creerebbe un traffico mostruoso)
Dal porto di Dover, nel sud del Regno Unito, passano ogni anno due milioni e mezzo di camion, che trasportano nei loro rimorchi il 17 per cento del valore complessivo dei beni commerciati nel paese. Nel porto vero e proprio tutto è studiato per rendere più rapido possibile lo sbarco dei camion e l’immissione in autostrada: un carico che arriva dall’Unione Europea passa dalla stiva di una nave alla strada in circa otto minuti. Il meccanismo potrebbe però incepparsi con Brexit, prevista al momento per il 2020: come ha scritto di recente il New York Times, Dover potrebbe trasformarsi in un’unica, congestionata colonna di auto e camion.
Una dimostrazione di quello che potrebbe succedere si è vista nel giugno 2015, quando uno sciopero dei lavoratori di MyFerryLink, la società che gestisce i collegamenti via mare dal porto francese di Calais al porto britannico di Dover, ha causato disagi e code lunghissime e spinto centinaia di migranti a sfruttare il rallentamento del traffico per salire a bordo dei rimorchi di alcuni camion in viaggio verso il Regno Unito. «Questa situazione si ripeterà ogni giorno, all’infinito, se non troviamo una soluzione», ha spiegato di recente a BBC il capo del porto di Dover, Tim Waggott. Altri hanno ipotizzato che gli autisti dei camion potrebbero essere costretti a fermarsi per giorni prima di poter uscire dal porto.
Il Regno Unito sta negoziando da tempo la possibilità di mantenere una qualche forma di accordo doganale con l’Unione Europea. I sostenitori più accesi di Brexit sostengono invece che il Regno Unito si debba staccare definitivamente, e a un accordo – che probabilmente costerebbe qualche miliardo di euro – preferiscono un’opzione che chiamano max fac, che sta per maximum facilitation (“super-agevolazione”). Fra gli altri, l’ha appoggiata per esempio il segretario di stato britannico Boris Johnson. In pratica, prevede di rafforzare la tecnologia disponibile oggi per trasferire online buona parte dei controlli burocratici sulle merci. Il problema è che secondo il New York Times, «gli esperti dubitano che la tecnologia sarà pronta per la fine del periodo di transizione», cioè per il 2020.
Al momento solamente il due per cento delle merci che passano da Dover proviene da paesi al di fuori dell’Unione. Questi carichi subiscono un trattamento speciale, spiega il New York Times: devono passare dei controlli che vengono effettuati lontano dal porto, e completare delle procedure burocratiche che secondo Richard Christian, il responsabile delle comunicazioni del porto, impiegano da 20 minuti a diversi giorni.
Se il Regno Unito uscisse dall’Unione Europea senza un accordo sulle dogane, tutti le merci dovrebbero subire lo stesso trattamento. «Gli scaffali dei supermercati resterebbero vuoti, le aziende non potrebbero costruire automobili; sappiamo cosa succede quando si blocca il traffico», ha spiegato Christian.