Chi era Piersanti Mattarella
Cioè il fratello del presidente della Repubblica, ucciso dalla mafia nel 1980: un ripasso per presidenti del Consiglio e per tutti gli altri
Mercoledì il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha tenuto il suo primo discorso alla Camera dei deputati, dove il nuovo governo ha chiesto – e ottenuto, come previsto – la fiducia. Conte ha voluto ricordare gli attacchi ricevuti sui social network dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella dopo il fallimento del primo tentativo di formare il governo tra Lega e Movimento 5 Stelle. Alcuni attacchi avevano coinvolto il noto episodio dell’omicidio di suo fratello Piersanti Mattarella, ucciso nel 1980 dalla mafia. Conte ha cercato di esprimere solidarietà al presidente della Repubblica, ma non ha saputo citare con precisione la circostanza dell’omicidio: ha parlato genericamente di “un congiunto” di Mattarella, e ha detto di non ricordare esattamente.
Qualcuno ha ipotizzato che Conte si riferisse al fatto che non ricordava esattamente quale fosse stato l’attacco a Mattarella, ma in molti hanno dedotto dalle sue parole che non ricordasse proprio chi fosse Piersanti Mattarella: uno di questi è stato l’ex ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio, del Partito Democratico, che durante la sua dichiarazione di voto ha detto: «Si chiamava Piersanti! Piersanti!», provocando un lungo applauso.
L’occasione dell’attacco era stata l’opposizione di Mattarella alla nomina di Paolo Savona al ministero dell’Economia, che aveva portato poi all’annuncio della richiesta di impeachment del Movimento 5 Stelle, che poi nel giro di poche ore l’aveva ritirata per tornare a collaborare con Mattarella. Ma nel frattempo, in molti avevano scritto messaggi d’odio online contro il presidente della Repubblica: in alcuni casi, estesamente citati dai giornali, si trattava di minacce di morte che citavano l’omicidio del fratello di Mattarella. Una delle fotografie più famose di quella storia mostra proprio Sergio Mattarella, oggi presidente della Repubblica, mentre tira fuori dall’auto il cadavere di suo fratello.
Il celebre scatto di Letizia Battaglia mostra le gambe distese di #PierSantiMattarella. Ricordo qualche mese fa questa fotografia esposta al @Museo_MAXXI di Roma e ricordo grandi e piccoli ipotizzati davanti alle gambe distese di uno degli eroi della Repubblica italiana. pic.twitter.com/dBQ2s3qH4B
— Riccardo Marra (@RiccardoMarra) June 7, 2018
Piersanti era il fratello maggiore dell’attuale presidente della Repubblica, nato sei anni prima, nel 1935, a Castellammare del Golfo, in provincia di Trapani. Suo padre Bernardo, da poco laureato in giurisprudenza, pochi anni dopo sarebbe stato tra i fondatori della Democrazia Cristiana, in periodo fascista, per poi assumere incarichi nei governi del Comitato di liberazione nazionale. Tra il 1953 e il 1966 fu diverse volte ministro nei vari governi della DC.
Per via delle attività politiche del padre, Piersanti si trasferì a Roma con la famiglia nel 1948, dove si laureò in giurisprudenza alla Sapienza e prese parte all’Azione Cattolica. Alla fine degli anni Cinquanta tornò in Sicilia per lavorare all’università di Palermo, si sposò e iniziò a fare politica con la DC. Nel 1964 diventò consigliere comunale nel periodo che oggi viene ricordato come “sacco di Palermo”, cioè lo sregolato boom edilizio che coinvolse la città per via delle concessioni dei politici siciliani Salvo Lima e Vito Ciancimino.
Nel 1967 Piersanti Mattarella fu eletto all’Assemblea regionale, dove iniziò a distinguersi per il suo approccio trasparente alla politica e le sue battaglie contro la corruzione. In quello stesso periodo suo padre Bernardo veniva accusato di collusioni mafiose dal sociologo Danilo Dolci: la cosa finì in tribunale, e Dolci venne condannato per diffamazione. Mattarella rimase nell’Assemblea per due legislature, durante le quali fu anche assessore al Bilancio, occupandosi principalmente dei conti della Sicilia, con ottimi risultati e ricevendo anche il sostegno del Partito Comunista Italiano. Nel 1978, infine, l’Assemblea lo elesse presidente della regione con la più larga maggioranza di sempre, a capo di una giunta di centrosinistra e con l’appoggio esterno del PCI.
A capo del suo gabinetto Piersanti Mattarella nominò Maria Grazia Trizzino, prima donna a ricoprire l’incarico, e nel suo staff c’era anche Leoluca Orlando, dal 2012 sindaco di Palermo. Da presidente, Mattarella applicò con ancora più rigidità il suo approccio trasparente e in aperta sfida alla mafia, soprattutto nel settore degli appalti e dell’urbanistica, dove invertì la tendenza delle amministrazioni locali siciliane di quegli anni combattendo la speculazione e andando contro gli interessi degli imprenditori edili collusi con la mafia. Mattarella accentrò su di sé molte decisioni solitamente riservate agli assessorati, pretese criteri più rigidi per la nomina dei dirigenti pubblici, ordinò inchieste sulle amministrazioni locali sospettate di corruzione e razionalizzò il funzionamento della Regione.
Nel 1978, dopo l’omicidio dell’attivista di sinistra Peppino Impastato, Piersanti Mattarella andò a Cinisi e tenne un duro discorso contro Cosa Nostra. L’anno dopo, quando il deputato comunista Pio La Torre accusò l’assessorato all’Agricoltura siciliano di essere corrotto dalla mafia, Mattarella si unì a lui richiedendo maggiore trasparenza e legalità, stupendo tutti. La Torre fu poi ucciso dalla mafia nel 1982.
Il 6 gennaio 1980, mentre stava andando a messa con moglie, suocera e figli, Piersanti Mattarella venne ucciso a colpi di pistola, a bordo della sua Fiat 132. Inizialmente si parlò di attentato terroristico, perché ci fu la rivendicazione di un gruppo neofascista. Le indagini successive, tra cui quella del 1991 del magistrato Giovanni Falcone, sostennero che gli esecutori materiali fossero stati i neofascisti Giuseppe Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini, ma che avessero agito su ordine della mafia. In seguito i pentiti Tommaso Buscetta e Gaspare Mutolo identificarono l’omicidio di Piersanti Mattarella come compiuto unicamente dalla mafia. Nonostante gli esecutori materiali non siano mai stati identificati con certezza, furono condannati in via definitiva come mandanti i boss mafiosi Salvatore Riina, Michele Greco, Bernardo Provenzano, Bernardo Brusca, Giuseppe Calò, Francesco Madonia e Nené Geraci.