Cos’è la “quota 100” per le pensioni di cui parlano Lega e M5S
È la proposta di riforma del sistema pensionistico presente nel programma del nuovo governo, e se ne sta discutendo in questi giorni
Nel cosiddetto “contratto di governo” tra Movimento 5 Stelle e Lega, quello che dovrebbe portare avanti il governo Conte, c’è un breve punto dedicato alle pensioni: propone il superamento della legge Fornero, e l’introduzione di una cosiddetta “quota 100”. È il modo in cui, secondo questa proposta, verranno identificate le persone che hanno diritto ad andare in pensione, secondo dei criteri chiariti meglio dall’esperto di previdenza Alberto Brambilla ieri su Repubblica. Brambilla è stato sottosegretario al Welfare nei governi Berlusconi tra il 2001 e il 2005, e ha contribuito a scrivere il programma elettorale della Lega. Secondo i giornali, si parla di lui come possibile prossimo direttore dell’INPS, l’istituto previdenziale italiano, o come dirigente al ministero del Lavoro e dello Sviluppo Economico.
La “quota 100” è un termine che indica l’ammontare minimo che deve raggiungere la somma degli anni di età di una persona e di quelli di contributi (cioè quelli in cui si è regolarmente lavorato), perché possa accedere alla pensione. Brambilla ha spiegato però una cosa che non c’è nel contratto: nell’idea di chi propone questa riforma è prevista un’età minima di 64 anni per la pensione. La “quota 100”, quindi, non si potrà per esempio raggiungere con 60 anni di età e 40 di contributi. Né la “quota 100” né il chiarimento di Brambilla sono decisioni ufficialmente annunciate dal governo, ma sono tutto quello che sappiamo su uno dei punti più importanti e popolari del programma del nuovo governo, e cioè la riforma delle pensioni. Lo stesso Luigi Di Maio, capo politico del M5S e ministro del Lavoro, ha ribadito la volontà di applicare la “quota 100” in una diretta Facebook, pochi giorni fa.
Il “contratto di governo” prevede anche la possibilità di andare in pensione con 41 anni e mezzo di contributi, una formula definita “quota 41”: secondo quanto ha spiegato Brambilla, questa opzione è indipendente dall’età del lavoratore, e prevede un massimo di «2-3 anni di contributi figurativi», cioè quelli accreditati nonostante un periodo di interruzione o riduzione dell’attività lavorativa.
Secondo Brambilla, in questo modo si supererebbe la parte della legge Fornero che prevede i 67 anni minimi per andare in pensione, dal 2019. Il Sole 24 Ore dice in ogni caso che la riforma delle pensioni non si potrà probabilmente fare prima dell’autunno. Nel “contratto di governo”, M5S e Lega hanno anche scritto di voler prorogare la “opzione donna”, che permette alle lavoratrici con 57-58 anni di età e almeno 35 di contributi di andare in pensione. In questo caso, l’assegno di pensione sarà però calcolato interamente con il sistema contributivo, e non in parte contributivo e in parte retributivo.
Brambilla ha parlato anche di un’altra misura, che prevederebbe l’abolizione dell’APE sociale, cioè un meccanismo che permette ai lavoratori di alcune categorie svantaggiate di andare in pensione a meno di 64 anni (invalidi, addetti a lavori usuranti, persone che devono assistere un convivente). Secondo Brambilla, l’APE sociale pesa troppo sui conti pubblici ed è «molto discrezionale», e sarebbe meglio sostituirla con dei fondi speciali di categoria. Nel contratto, però, si dice che verrà invece tenuto conto nel calcolo dell’età per cui si può andare in pensione «dei lavoratori impegnati in mansioni usuranti». Non è quindi chiaro se il governo condivida la posizione di Brambilla.
Domenica, l’attuale presidente dell’INPS Tito Boeri aveva chiesto che il governo facesse chiarezza sulla questione della “quota 100” chiarendo se fosse prevista un’età minima per la pensione, questione poi chiarita da Brambilla. Secondo Boeri, per applicare una “quota 100” senza un’età minima servirebbero 20 miliardi di euro all’anno: secondo le stime della Lega e M5S, invece, ne basterebbero 5.