L’unica capitale europea senza una moschea
È Atene, e sta diventando un problema: la sua costruzione è stata autorizzata, ma ci sono ancora molte cose da risolvere
In Grecia la religione praticata dalla grande maggioranza dei cittadini è la greco-ortodossa, che nell’articolo 3 della Costituzione – che garantisce libertà di culto – viene definita come religione «predominante». Si dichiara cristiano-ortodosso circa il 90 per cento della popolazione, ma tra le minoranze religiose la principale è quella musulmana, praticata dal 2 per cento degli abitanti (i dati sono del 2015). La popolazione del paese è omogenea dal punto di vista religioso anche a causa di una serie di eventi storici. Alla guerra greco-turca combattuta tra il 1921 e il 1923 seguì per esempio uno scambio di popolazioni: oltre un milione di greci dell’Asia Minore fu accolto entro i confini della Grecia, mentre circa 600amila musulmani turchi e bulgari lo lasciarono.
I musulmani di Grecia vivono prevalentemente nella regione della Tracia, che si trova nell’estrema punta sudorientale della penisola balcanica, che confina con la Turchia e che è il luogo dove si trovano le moschee del paese. Ma nella regione intorno ad Atene e al porto del Pireo (dove è concentrata la maggior parte della popolazione del paese) i musulmani sono diverse centinaia di migliaia, scrive l’Economist. Ci sono famiglie di origine araba la cui prima generazione è arrivata negli anni Settanta e ci sono soprattutto i migranti provenienti dall’Afghanistan, dall’Asia meridionale e dall’Africa occidentale arrivati nel paese in tempi più recenti. Eppure ad Atene non esiste una moschea ufficiale e questo rende la capitale della Grecia l’unica in Europa a essere priva di uno spazio di culto per i musulmani.
Ci sono due piccole moschee storiche nella parte più antica della città, ma non vengono utilizzate regolarmente per il culto fin dall’epoca ottomana. I musulmani praticano dunque in spazi di culto informali, in luoghi sotterranei che spesso sono scantinati, garage adattati o appartamenti modesti che sono tecnicamente delle abitazioni private.
Della costruzione di una moschea “ufficiale” con fondi pubblici ad Atene si parla da anni, spiega l’Economist, almeno dal 1980, quando il Parlamento si espresse per la prima volta a favore. Da allora, però, tutti i tentativi fatti non sono mai andati a buon fine. Il governo di sinistra guidato dal primo ministro Alexis Tsipras ha espresso in diverse occasioni l’intenzione di portare avanti l’apertura di un nuovo grande luogo di culto islamico e Ioannis Amanatidis, il viceministro degli Affari Esteri, ha dichiarato più volte che il completamento del progetto con i fondi statali porrà fine a un’anomalia (l’assenza di un riconoscimento formale per l’Islam ad Atene) che ha causato anche qualche imbarazzo nelle relazioni della Grecia con i paesi musulmani.
Nell’ottobre del 2016 – superate le proteste dei gruppi di estrema destra del paese, che avevano occupato il terreno destinato alla moschea esponendo striscioni con scritto che i musulmani «sono nemici di Cristo, dell’Ortodossia e del paese» e che «devono tornare da dove sono venuti» – era stato firmato un contratto di costruzione: il progetto prevede la ristrutturazione di una ex base navale nel distretto periferico di Votanikos per renderla adatta all’accoglienza di 350 uomini e di 50 donne.
Eppure la fase finale della pratica (che ha a che fare con la scelta su chi dovrà gestire la struttura) viene di continuo rimandata: si tratta di una questione burocratica, ma forse no. L’ostacolo principale è infatti soprattutto politico: l’opposizione del partito nazionalista e di destra dei Greci Indipendenti o ANEL, con cui Syriza ha raggiunto un accordo dopo la vittoria alle elezioni per avere la maggioranza in parlamento. I parlamentari di ANEL hanno votato contro le leggi e gli emendamenti che autorizzano la moschea, e i leader della comunità musulmana ateniese hanno detto di avere grandi dubbi che la moschea ufficiale potrà essere aperta fintanto che ANEL farà parte del governo.
Nel frattempo un alto funzionario del governo ha dichiarato all’Economist che l’intenzione è regolarizzare i luoghi di preghiera informali rilasciando delle licenze specifiche, a patto che vengano rispettate le regole di costruzione e di sicurezza. Per ora sono state rilasciate sei licenze ad Atene. Naim El-Ghandour, il presidente dell’Associazione dei musulmani di Grecia, ha dichiarato che dare all’Islam lo status che gli spetta all’interno del paese sarebbe anche un vantaggio per lo stato greco. Le relazioni con le autorità sono positive e la polizia, dice, apprezza il lavoro svolto dai leader della comunità che sorvegliano e segnalano la nascita di qualsiasi forma di estremismo. Per le nuove generazioni di musulmani, che studiano in Grecia e che in Grecia fanno il servizio militare, sta diventando sempre più incomprensibile il fatto di dover andare in un garage per pregare e la questione potrebbe dunque diventare un problema sociale diffuso: «Sono un cittadino greco, un alunno delle scuole greche, non ho nessun altro paese, ma quando prego devo andare in un seminterrato, mentre il mio vicino può andare in una chiesa».