Quanto costa veramente un rossetto?
Anche dodici volte in meno del prezzo a cui lo compriamo: ma ora ci sono nuove aziende di cosmetici che riescono a contenere molto i prezzi
Basta provare un rossetto comprato al supermercato per 4 euro e uno di Chanel acquistato per 35 euro per comprendere la differenza di qualità, dalla brillantezza del colore alla tenuta; ma è anche normale chiedersi se questo margine, insieme al prestigio del marchio, giustifichi un prezzo quasi otto volte superiore. E quant’è effettivamente costato produrre i due rossetti? Quando si parla di cosmetici è sempre molto difficile farsi un’idea del loro valore, perché è un’industria poco trasparente: sugli ingredienti, sulla catena di produzione e sui costi. Negli ultimi anni però, soprattutto negli Stati Uniti, sono nate nuove aziende che puntano sulla trasparenza e su un rapporto più chiaro con i clienti. Alcune si impegnano a non servirsi di test sugli animali, altre garantiscono la tutela dei diritti dei lavoratori, altre ancora rendono conto di ingredienti e prezzi.
Sul Post abbiamo raccontato l’esperienza di Deciem, un’azienda statunitense famosa per la comunicazione diretta e una linea di prodotti molto essenziale, che vende a prezzi bassi i singoli ingredienti di creme e sieri, come la vitamina C, i retinoidi e gli antiossidanti. Un’altra storia di successo è quella di Beauty Pie, fondata nel 2017 da Marcia Kilgore. È una sorta di Netflix dei cosmetici di alta qualità venduti a prezzi di produzione; per ora spedisce solo in Regno Unito e Stati Uniti e non ci sono progetti di farlo in altri paesi. Sono possibili due forme di sottoscrizione: una da 10 dollari al mese (8,56 euro) per almeno tre mesi, oppure una annuale a 99 dollari (85 euro), con due mesi gratis. Per ogni prodotto sono indicati due prezzi: quello a cui si trova un prodotto dalla qualità equivalente in negozio e quello del prodotto di Beauty Pie, di cui vengono anche indicati i singoli costi di produzione e impacchettamento, magazzino e test per la sicurezza.
Un rossetto che viene normalmente venduto a 25 dollari, su Beauty Pie ne costa 3,8: 2,83 sono per la produzione e l’impacchettamento, 0,76 per la conservazione e 0,21 per i test. Va tenuto conto che il prezzo di negozio è calcolato da Beauty Pie, che sostiene che sia di media 12 volte superiore. Beauty Pie impone di non superare una spesa mensile di 100 dollari corrispondenti al prezzo di negozio; i suoi iscritti, sostiene, risparmiano più o meno l’85 per cento. Kilgore ha selezionato 17 rifornitori di paesi diversi, tra cui l’Italia, la Corea del Sud e gli Stati Uniti, che producono cosmetici per marchi famosi a cui ha dato il compito di realizzare quelli di Beauty Pie, che sono circa 280 tra trucchi, creme e sieri per la cura della pelle, smalti e candele.
Un’altra azienda giovane e molto attenta ai costi è Stowaway Cosmetics, fondata nel 2015 da Julie Fredrickson e dalla truccatrice Chelsa Crowley, che non ne fa più parte; dal lancio è cresciuta del 30 per cento. Fredrickson ha raccontato al sito di moda Racked come funziona a Stowaway la gestione delle spese e come ricade sui clienti. Per iniziare, la sua azienda è partita con 1,5 milioni di dollari (1,2 milioni di euro) raccolti tra un gruppo di investitori e 250 mila ne sono stati spesi per il lancio; a confronto, Glossier, un’azienda di cosmetici americana simile che ha di grande successo, iniziò con 2 milioni di dollari (1,7 milioni di euro), a cui ne vennero aggiunti 8,4 (7,2 milioni di euro) l’anno dopo. Possono sembrare grandi cifre ma oltre che per i prodotti e gli stipendi servono anche per il magazzino, il marketing, il sito e i social network.
Una scelta che cambia molto la struttura economica dell’azienda è decidere se affidarsi o meno a un rivenditore, che solitamente compra i prodotti al 50-65 per cento del prezzo di vendita. Per un piccolo marchio è spesso difficile gestire i costi accessori e finisce spesso che i clienti paghino fino a dieci volte il costo di produzione. D’altra parte delegare significa anche farsi conoscere e vendere a molti più clienti e anche tagliare i costi, come quelli degli addetti stampa, di chi gestisce i social e la pubblicità, della spedizione e dell’imballaggio, tutti aspetti che influiscono sul prezzo finale.
Quando si arriva ai costi di produzione, bisogna tenere conto che spesso un singolo prodotto è il risultato di un assemblaggio di tante componenti fabbricate in paesi diversi. Alcune aziende stanno cercando di cambiare questo sistema, come ColourPop o Deciem, e vendere prodotti fabbricati interamente nello stesso posto. È qualcosa che sta cercando di fare anche Stowaway ma per ora le basi vengono dalla Cina, e i pigmenti dall’Italia, dove sono anche inscatolati molti prodotti; pochi lo sono negli Stati Uniti, dove vengono venduti. Tutti questi spostamenti aumentano i costi e rendono complicata la gestione logistica che ha più richieste di quanto si immagini: per esempio i rossetti devono essere spediti via aerea e non imbarcati a causa delle dannose variazioni di temperatura nelle navi. Frederickson vorrebbe fabbricare composto e pigmenti in Corea del Sud, per i ritmi di lavoro rapidi e per la vicinanza con la Cina, da cui arrivano tubetti e barattoli. Anche il packaging incide molto: quello dei grandi marchi è lussuoso e costoso mentre le nuove aziende lo scelgono basilare e senza fronzoli.
I rossetti sono tra i prodotti più costosi da produrre. A Stowaway costano di media 2,48 dollari (2 euro) l’uno, con variazione di 20 centesimi dovute soprattutto ai pigmenti; inizialmente li vendeva a 12 dollari (10 euro), ora a 9 (7,8 euro). Anche il packaging è complicato perché che non basta versare un liquido in un barattolo ma sono necessari macchinari che scaldano e sciolgono il composto al punto giusto. Solitamente le parti del contenitore sono prodotte e pagate separatamente, dalla parte inferiore, al cappuccio al fondo colorato che indica la tinta; ogni metà costa dai 30 ai 60 centesimi di dollaro. Un contenitore può costare da 60 centesimi a un dollaro, ma bisogna tenere conto anche della quantità ordinata: più è alta più il costo sarà contenuto, ma spesso i piccoli marchi hanno richieste limitate.
Stando ai calcoli di Stowaway, con meno di dieci euro si può comprare un rossetto di buona qualità. Perché allora si finisce per spendere tre volte tanto? Fredrickson ha confermato a Racked la convinzione per cui «i cosmetici rincarano così tanto perché non fanno solo parte del settore “venderti buoni trucchi”. Alcune di queste aziende fanno parte del settore del lifestyle e visto che i cosmetici sono economici da produrre sfruttano l’opportunità di fare profitti del 90 per cento sui trucchi che vendono per sostenere così il resto dei loro affari. Col tuo rossetto stai pagando tutte le costose campagne pubblicitarie, i vestiti degli stilisti che non fanno profitto, i guadagni del rivenditore dove l’hai comprato».