Il Qatar è ancora sotto embargo
Cosa è cambiato a quasi un anno dall'isolamento imposto da quattro paesi arabi, tra cui l'Arabia Saudita
Da poco meno di un anno a questa parte uno dei paesi più ricchi del mondo sta cercando di trovare soluzioni alla minaccia più grave mai affrontata nei suoi quarant’anni di storia: il Qatar, piccolo stato bagnato su tre lati dalle acque del Golfo Persico, è oggetto dal giugno scorso di una specie di embargo imposto da Arabia Saudita (l’unico stato con cui confina), Emirati Arabi Uniti, Bahrein ed Egitto. Finora il Qatar se l’è cavata piuttosto bene, nonostante l’isolamento abbia comportato la chiusura delle principali vie di rifornimento del paese, cioè il confine con il territorio saudita e le rotte navali verso il porto Jebel Ali di Dubai. L’embargo ha comunque costretto la famiglia regnante del Qatar a investire 50 miliardi di dollari del fondo sovrano nazionale e delle riserve finanziarie nel settore bancario, per proteggere il tasso di cambio, e potrebbe causare danni rilevanti all’economia nel lungo periodo.
L’embargo è stato imposto per motivi politici. Lo scorso anno i quattro stati arabi accusarono il Qatar di sostenere il terrorismo e avere legami troppo stretti con l’Iran, paese sciita considerato dai sauditi il loro nemico numero uno. Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti trovarono l’inaspettato e incondizionato appoggio del presidente statunitense Donald Trump, che – nell’ambito del suo complessivo riavvicinamento all’Arabia Saudita e riallontanamento dall’Iran – diede loro una specie di “via libera” per isolare il Qatar nonostante l’opposizione di diversi importanti esponenti del suo governo. Negli ultimi mesi la famiglia reale qatariota ha speso milioni di dollari in attività di lobbying negli Stati Uniti per cercare di convincere le autorità americane a ritirare l’appoggio ai paesi arabi del blocco, e in parte sembra avere funzionato. Durante una visita ufficiale in Arabia Saudita, tenuta a inizio aprile, l’attuale segretario di Stato americano Mike Pompeo ha parlato così dell’atteggiamento dei sauditi: «Quel che è troppo è troppo». Il messaggio però non ha cambiato le cose. L’embargo continua e l’impressione è che non ci sia molto margine per terminarlo, almeno nel breve periodo.
Il Qatar, uno dei paesi con il PIL pro-capite più alto al mondo, ha quindi cercato di inventarsi dei modi per superare il blocco imposto dai quattro paesi arabi, incontrando però diverse difficoltà.
I problemi causati dall’embargo, infatti, non sono stati irrilevanti. Una delle società più colpite dal blocco è stata Qatar Airways, la compagnia aerea di bandiera qatariota, che prima dell’embargo cresceva più rapidamente dei suoi rivali emiratini Etihad ed Emirates. Qatar Airways ha dovuto chiudere 19 rotte e i prezzi dei voli rimasti sono saliti parecchio, visto che gli aerei sono costretti a seguire rotte più lunghe per evitare di entrare nello spazio aereo dei paesi ostili. Il direttore esecutivo della compagnia, Akbar al Baker, ha detto che se le cose non miglioreranno la sua società sarà costretta a chiedere al governo un’iniezione di capitale, per evitare di accumulare nuovi debiti.
L’isolamento ha avuto conseguenze anche per le società internazionali che sono presenti nella regione del Golfo Persico. Il Telegraph ha raccontato il caso di ATG Access, una società britannica che produce dissuasori di sicurezza antiterrorismo a cui, dopo avere aperto una sua filiale ad Abu Dhabi, negli Emirati Arabi Uniti, è stato vietato di esportare in Qatar, il suo più grande mercato: «Avevamo preso un paio di ordini di buone dimensioni, li stavamo preparando, e letteralmente con due giorni di preavviso ci hanno detto che non avremmo potuto trasportarli» in territorio qatariota, ha raccontato Gavin Hepburn, direttore di ATG. La società ha così trasferito la sua produzione nel Regno Unito e a Singapore, ma i problemi sono rimasti. Il fatto è che in passato le imbarcazioni più grandi arrivavano nei porti con acque profonde a Dubai e in Arabia Saudita, dove i carichi venivano spostati su navi più piccole in grado di arrivare in Qatar, dove le acque sono più basse. Con il blocco è venuta meno anche questa opzione e le poche rotte rimaste disponibili sono diventate molto costose.
Nonostante le difficoltà, l’economia del Qatar sembra tenere. La disoccupazione involontaria è rimasta pressoché assente e il mese scorso la Banca nazionale del Qatar ha aggiornato le previsioni di crescita economica per il 2018 a 2,8 punti percentuali, un valore non eccezionale ma nemmeno negativo. Tra le altre cose, il Qatar ha continuato a sfruttare le sue enormi riserve di gas e petrolio, aiutato anche dal fatto che i suoi principali partner commerciali in questo settore non sono altri paesi arabi, ma Giappone, Corea del Sud, Cina e India, dove la domanda energetica non è mai diminuita. Il fondo sovrano nazionale ha fatto il resto, investendo decine di miliardi di dollari nell’economia, così come ha contribuito l’ambizioso piano di sviluppo infrastrutturale avviato dal governo, legato in parte ai Mondiali di calcio del 2022 che si terranno proprio in Qatar.
Non sono però state solo le grandi società energetiche nazionali a resistere alle conseguenze dell’isolamento: diverse piccole società qatariote si sono adattate e hanno cercato di sfruttare gli spazi che si sono creati improvvisamente nel mercato dopo l’imposizione dell’embargo. Una storia particolare, per esempio, è quella della società Baladna, che fino a un anno fa era piccolissima e ora si appresta a quotarsi in borsa per una valutazione che si stima sarà di almeno 550 milioni di dollari. Baladna, che in arabo vuol dire “la nostra terra”, ha portato in Qatar migliaia di mucche, pecore e capre; si è assicurata che ci fossero erba e acqua per tenerle in vita e le ha usate per produrre latte, carne, dolci e formaggi, tutti prodotti che prima dell’embargo venivano importati per lo più dall’Arabia Saudita. Baladna, ha scritto di recente l’Economist, tra qualche mese soddisferà da sola l’intero fabbisogno di latte di tutto il Qatar.
Nel frattempo il governo del Qatar sta cercando di fare la sua parte, allentando le restrizioni sugli investimenti esteri, adottando norme meno rigide sulla concessione dei visti e permettendo agli stranieri di acquistare immobili in qualsiasi parte del paese, facilitandoli anche ad avviare attività proprie senza necessariamente appoggiarsi a partner locali. I qatarioti sembrano avere apprezzato finora gli sforzi della famiglia regnante e dello sceicco Tamim bin Hamad al Thani, che è diventato una specie di eroe popolare. Sembra comunque che per ora l’intenzione di sauditi ed emiratini sia quella di andare avanti con l’embargo, e forse adottare nuove misure per rafforzarlo, nonostante le pressioni degli Stati Uniti e la capacità mostrata finora dal Qatar di arrangiarsi con le proprie risorse.