Come si fa un grande festival in una piccola città
Questo weekend c'è "La grande invasione" a Ivrea: i suoi due creatori ne hanno da raccontare
La grande invasione è un festival che viene organizzato a Ivrea dal 2013 dal libraio Gianmario Pilo e dall’editore Marco Cassini, capo di Sur e già cofondatore di Minimum Fax: il nome suggerisce già l’occupazione di luoghi e strade della città da parte degli eventi in programma, che quest’anno si tengono tra venerdì primo giugno e domenica 3. Il Post è legato a Pilo, Cassini e al festival da frequenti complicità: il peraltro direttore del Post Luca Sofri parteciperà al festival con la rassegna stampa della mattina del 2 giugno. Ma tra gli ospiti della Grande invasione ci saranno, tra gli altri, lo scrittore iraniano-olandese Kader Abdolah, il libraio scozzese Shaun Bythell, i premi Strega Paolo Giordano e Walter Siti, Andrea Marcolongo, Concita De Gregorio e Christian Rocca. Qui c’è tutto il programma.
La grande invasione è un festival di libri particolare, nel ricco repertorio di festival di libri: si svolge in una città piccola, ma grazie ai rapporti dei due organizzatori con il settore editoriale ha saputo costruire una rete di attenzioni e partecipazioni fedele e di qualità. E il programma è ricco di letture e di invenzioni, a differenza dei calendari che privilegiano quasi soltanto le “presentazioni del libro” con l’autore intervistato sulla sua ultima uscita. Il resto, lo raccontano Pilo e Cassini.
Come vi siete conosciuti?
Pilo: «Io lo conoscevo di fama, possedevo e posseggo quasi tutti i libri che ha pubblicato, a un Salone del Libro sono andato a importunarlo e a dirgli che volevo fare delle cose con lui. Mi ha regalato un libro di Yates e dopo un po’ di tempo ci siamo trovati a passeggiare per Ivrea insieme e a fare progetti insieme. L’ho sempre ritenuto un fuoriclasse, io credo di essere un centravanti di sfondamento».
Cassini: «A volte ti rendi conto immediatamente che la persona che hai di fronte oltre a una simpatia epidermica ha qualcosa in più. Gianmario mi ha fatto capire sin dal nostro primo incontro di avere una visione, di avere in comune con me quel paio (non ne servono molti di più) di valori imprescindibili che non sempre trovi nelle persone del tuo stesso ambiente. E una voglia, e una capacità, di fare cose belle, rischiando ma con intelligenza. Ci abbiamo provato e finora ci è andata abbastanza bene».
Come è nata l’idea di fare un festival?
Pilo: «Dall’amore per la mia città e per i libri, un mix perfetto. Mi servivano il “socio” ideale, un’amministrazione consapevole e imprenditori generosi. Quando Marco mi ha detto che Ivrea era una città ideale per un festival (ho scoperto dopo che l’aveva detto altre volte ad altri librai), mi sono immaginato un evento letterario come piaceva a me. Ho chiesto un incontro con il sindaco e con alcuni imprenditori, mi hanno ascoltato e hanno creduto nel progetto. Così è nata La grande invasione».
Cassini: «La prima volta che andai a Ivrea, Gianmario mi portò a fare un giro per il centro storico: le strade intorno alla sua libreria. Di Ivrea conoscevo per sommi capi la vicenda olivettiana che mi aveva sempre affascinato, e avevo visto immagini del Carnevale. Ma le strade, la conformazione dell’isola pedonale nel centro, la vicinanza dei principali luoghi significativi ovviamente non la conoscevo. Dopo quella passeggiata gli dissi, ma senza davvero crederci o pensare fosse possibile realizzare l’idea: “Sembra il posto perfetto per farci un festival letterario”. Il giorno dopo mentre ero in treno per rientrare a Roma, Gianmario mi chiamò. “Ho parlato del nostro progetto col sindaco e l’assessore alla cultura. Sono disposti a darci il loro appoggio”. Gli chiesi di cosa stesse parlando. “Del festival che mi hai proposto. Abbiamo appuntamento in Comune tra una settimana”. Ovviamente non avevo idea che la mia frase fosse un progetto e che la mia osservazione fosse una proposta. Ma mi piacque che l’esuberante spirito imprenditoriale di Gianmario, un libraio con esperienza di produzione di eventi e spettacoli, fosse l’ingrediente mancante alla mia indole di perenne sfornatore di nuove idee».
Qual è stata la cosa che vi è venuta meglio in questi anni?
Pilo: «Abbracciarci dopo i nostri litigi. A parte le battute credo che la scelta vincente sia stata trattare contenuti importanti con leggerezza. Il nostro è un festival pop nell’accezione più positiva possibile».
Cassini: «Credo che finora la cosa che ha funzionato di più nel nostro festival sia stato il giusto equilibrio nella proposta dei contenuti. È chiaro che se vuoi riempire un teatro da 450 posti con letture tratte da romanzi (per di più quasi sempre tratti da opere pubblicate da editori indipendenti) devi avere in cartellone nomi del calibro di Fabrizio Gifuni, Anna Bonaiuto, Neri Marcorè, Giuseppe Battiston, Ottavia Piccolo; ma abbiamo sempre scelto noi cosa fargli leggere. E solo al terzo anno abbiamo aggiunto una sezione del festival con autori di sicuro richiamo come Michela Murgia, Diego De Silva, Niccolò Ammaniti, Concita De Gregorio, Antonio Manzini (chiedendo loro però di parlare non di cosa hanno scritto ma dei libri che hanno letto: si intitola “La nostra carriera di lettori”); e solo dallo scorso anno abbiamo iniziato una felice collaborazione con la Fondazione Bellonci per portare a Ivrea alcuni vincitori di edizioni passate del Premio Strega (quest’anno ci saranno Mazzucco, Gordano, Siti; nel 2017 erano venuti Ferrero, Starnone, Lagioia).
Altrimenti il resto del programma è fatto di autori emergenti: ci impegniamo ogni anno a presentare i tre o quattro esordi per noi più interessanti; e da un paio di anni abbiamo aggiunto – come a voler idealmente seguire un percorso letterario – un incontro su autori al loro secondo romanzo. Tra gli autori stranieri che a partire dalla terza edizione il nostro budget ci ha permesso di invitare, abbiamo preferito puntare non già sui nomi famosissimi, che pure meritoriamente vengono invitati da altri festival, ma sul criterio della ricerca di una grande qualità letteraria, che spesso è stata premiata dal successo di pubblico in anni successivi alla partecipazione alla Grande invasione. Lagioia, Piccolo, Siti, Cognetti sono stati nostri ospiti prima di vincere lo Strega; cantautori come Brunori, Dente, Niccolò Contessa, Calcutta e il “padrone di casa” Cosmo erano ancora poco noti quando hanno suonato sul nostro palco. Una delle esperienze più gratificanti è sentire di anno in anno gli affezionati frequentatori del festival dirci “quello scrittore non lo avevo mai sentito nominare, da quando l’ho visto qui ho seguito la sua traiettoria: ora è su tutti i giornali, o in classifica”».
E quella che vi è venuta peggio?
Pilo: «Crediamo molto in tutte le nostre proposte: forse una volta abbiamo ceduto ai consigli di un amico e abbiamo portato a Ivrea un ospite che non ci piaceva».
Da dove arrivano il nome e il logo della Grande invasione?
Pilo: «Il nome dall’idea che la Dora, fiume di Ivrea, diventasse un fiume di parole che invade la città, il logo da un mix di cose ma la macchina da scrivere è un omaggio alla Olivetti».
Cassini: «Per sintetizzare l’idea del festival, ossia la lettura come momento di condivisione “ad alta voce” di una passione comune, volevamo un logo che richiamasse quello della Voce del padrone, dove l’imbuto amplificasse un suono letterario, proveniente cioè da una macchina da scrivere, simbolo della città. Quella del cagnolino che “cresce” grazie al supporto dei libri è una brillante interpretazione dell’artista Savethewall che ce l’ha regalata dopo la seconda edizione: dal 2015 è stata quindi integrata nel logo insieme al “grammofono da scrivere”».
Cosa succede ai “pranzi letterari” della Grande invasione?
Pilo: «Intanto hanno sempre un tema, l’anno scorso i racconti, quest’anno le ossessioni. La scrittrice o lo scrittore parlano per dieci minuti, poi si serve il primo piatto, per altri dieci minuti si approfondisce e dopo il secondo piatto lo si fa ancora per altri dieci. Sicuramente l’autore non riesce quasi mai a mangiare perché c’è sempre il commensale invadente che sfrutta il momento dei piatti per fare delle domande. Il pranzo che ha avuto più richieste l’anno scorso è stato quello di Cognetti, quest’anno sarà una bella sfida».
Cassini: «Gli autori e le autrici hanno scelto ossessioni particolari: dall’ossessione per il padre a quella per i figli, da Mickey Mouse alle chat di Whatsapp, dalle donne come oggetto d’amore alle donne “libere tutte”; ci sono ossessioni più letterarie come quelle per Malcolm Lowry, David Foster Wallace o Paolo Volponi e ossessioni più misteriose come quelle per il ritmo, la foresta o lo svanire…».
Molti eventi della Grande invasione sono letture, peraltro molto spesso fatte da persone che non sono gli autori di ciò che si legge: ma in Italia non siamo poco abituati a seguire i reading?
Pilo: «A Ivrea no. La principale caratteristica del nostro festival è che solo gli autori stranieri parlano dei propri libri, tutti gli altri o parlano delle loro letture o, nel caso di quest’anno, delle loro ossessioni. I reading alla Grande invasione hanno sempre richiamato un pubblico attento e numeroso».
Cassini: «Parafrasando il famoso incipit del suo amico Allen Ginsberg, il poeta e editore Lawrence Ferlinghetti scrisse “Ho visto le menti migliori della mia generazione morire di noia a una lettura di poesia”, e certo in alcuni casi è difficile dargli torto. Come sappiamo ci sono scrittori mediocri che sono bravissimi però nella performance, e autori eccellenti a cui l’editore dovrebbe vietare per contratto di leggere pubblicamente. Ma forse, anche grazie al proliferare dei festival letterari che richiedono una presenza scenica da parte di chi scrive, sono sempre di più i bravi scrittori che sanno anche ben interpretare i propri testi».
Ai bambini cosa piace di più?
Cassini: «Sporcarsi le mani, fare i libri, sia in senso letterario sia in senso fisico. Ma, per rispondere anche con un addendum alla domanda precedente, e ancor più per sfatare il mito delle nuove generazioni “sempre attaccate a quei dannati tablet”, sorprendentemente la cosa che gli piace di più è – ancora, sempre – farsi raccontare le storie».
Come mai alla Grande invasione ci sono eventi a pagamento?
Pilo: «Io e Marco abbiamo sempre discusso su questo, ma abbiamo trovato un equilibrio perfetto. Gli eventi a pagamento sono diventati fondamentali per il nostro festival per svariati motivi: il primo è che regolamentano meglio l’afflusso, il secondo è che ci garantiscono un contributo al budget, e il terzo educano il pubblico a un aspetto importantissimo: la cultura non può sempre essere gratuita. Comunque gli eventi a pagamento sono una piccolissima parte».
Cassini: «Gianmario e io ricordiamo sempre come la richiesta del pagamento di un biglietto, con nostra grande sorpresa, ci sia stata suggerita dal pubblico stesso del festival. Alla prima edizione – l’unica con tutti gli incontri a ingresso gratuito –rimanemmo davvero stupefatti di come un evento (una lettura!) che iniziava a mezzanotte e che avevamo perciò programmato in un luogo di relativamente piccola capienza (un ristorante con una sessantina di posti) fu preso d’assalto: restarono fuori un centinaio di persone, noi due decidemmo di restare fuori con chi non aveva potuto entrare, e proprio lì, nella mezz’oretta che rimanemmo a chiacchierare con loro, ci dissero che non erano arrabbiati, anzi erano felici che nella loro città potesse succedere addirittura qualcosa del genere. Ma ci consigliarono di mettere un prezzo, basso e accessibile, per meglio gestire l’affluenza del pubblico. Quei pochi incontri a pagamento garantiscono oggi una piccola entrata che contribuisce a rendere il festival migliore, e ci evitano di dover consolare qualche spettatore “escluso” all’ultimo momento».
Qual è stato l’incontro più affollato della storia del festival?
Pilo: «Forse il dialogo tra Concita De Gregorio e Michela Murgia, o forse quello tra Luca Sofri e Daria Bignardi?».
Cassini: «Ricordo che la prima volta che avemmo la sensazione che stavamo “facendo sul serio”, che il nostro festival assomigliava a quei festival grandi e importanti che per un paio di decenni avevamo frequentato da spettatori, fu quando festeggiammo i trent’anni di carriera di Domenico Starnone. Ce la rischiammo, e chiedemmo al comune di concederci l’utilizzo del cortile del Castello. Sfidammo la sorte riempiendo lo spazio con trecento sedie. L’incontro era programmato per mezzogiorno, sotto un sole giaguaro; a metà mattinata ci chiedemmo se non fosse il caso di impilare qualche sedia per evitare la brutta impressione dello spazio semivuoto. Mezz’ora prima dell’inizio le trecento sedie erano tutte riempite, e ricordo che passammo buona parte del tempo a gestire il flusso perché c’era anche un centinaio di persone in piedi, ben oltre il numero massimo consentito per la sicurezza, e altre avevano dovuto restare fuori, tra cui l’assessore alla cultura: aprimmo il cancello perché anche chi era fuori potesse assistere. Da allora non credo ci siamo mai soffermati a riflettere su che bel momento avevamo vissuto; ma una frase detta da Starnone quel giorno è rimasta nel nostro cuore ed è diventato il motto del festival: “La parola è il più straordinario degli effetti speciali”.
Successivamente, abbiamo ottenuto dal Comune l’utilizzo di uno spazio più capiente, il cortile del Museo Garda, dove ora ospitiamo incontri che possono accogliere più di 500 persone. A parte questo però ci piace mantenere una dimensione “intima” ove possibile, anche perché abbiamo solo due spazi così capienti. Tutti gli altri sono sale, locali, chiese, ristoranti, bar che possono accogliere mediamente fino a 40-50 persone, e così il crescente successo della manifestazione ci ha costretti ad articolare il calendario con più incontri in contemporanea».
Quali sono stati i libri che hanno venduto di più nella storia del festival?
Pilo: «Sicuramente tutti quelli di Rebecca Dautremer [l’illustratrice francese a cui è stata dedicata una mostra durante l’edizione 2016, ndr]».
Qual è stato l’ospite più difficile da ottenere?
Pilo: «Quello che ancora dobbiamo invitare».
Cassini: «Ci siamo trovati nella situazione di dover cancellare un incontro perché un importante autore statunitense che conosco personalmente da molti anni si era proposto: ci aveva scritto “passerò un lungo periodo in Italia, sono stato invitato a un festival ma mi piacerebbe molto venire anche al vostro”. Per fortuna ho chiesto qualche dettaglio in più e abbiamo scoperto che il festival in questione gli aveva imposto una sorta di esclusiva. Una pratica piuttosto inusuale e che noi non ci sogneremmo mai di mettere in atto. In che modo potrebbe la presenza di uno stesso scrittore in due diversi festival essere un problema? Noi anzi abbiamo una politica opposta: cerchiamo sempre più spesso collaborazioni con altri festival, con cui condividiamo spirito e attitudine, e da questi rapporti sono invece nate a volte coproduzioni che hanno reso possibile la condivisione di costi e la fruizione di uno stesso contenuto in più piazze. (È con questo spirito poi che abbiamo ideato il Superfestival, un contenitore ospitato nelle due ultime edizioni del Salone del libro di Torino cui hanno partecipato oltre 80 diversi festival da tutta Italia)».
Chi è stato l’ospite più antipatico?
Pilo: «Gli ospiti antipatici non li invitiamo… Una c’è stata ma lascio a Marco il racconto».
Cassini: «La frase lapidaria di Gianmario ha una sua origine, e mi permetto di raccontarla. Una scrittrice – ignara del fatto che tutti gli ospiti fossero alloggiati nello stesso hotel, poco fuori città – subito dopo aver fatto il check-in mi chiamò furiosa accusandomi di averle riservato un “trattamento di serie B”. Le suggerii di farsi mostrare le stanze dalla reception, e di sbrigarsi se non voleva perdersi l’aperitivo di benvenuto: stava partendo una navetta su cui erano già prenotati più o meno altri venti scrittori, tutti ospitati nel suo stesso albergo. Si calmò, ma solo dopo qualche bicchiere di Erbaluce».
E quello più simpatico?
Pilo: «Diciamo che abbiamo fatto fatica a “liberarci” simpaticamente di Francesco Piccolo, voleva tornare sempre».
Che voi sappiate, al festival sono nati libri o storie d’amore?
Pilo: «Libri non lo so, storie d’amore neanche, ma forse qualcos’altro…».
Cassini: «So per certo che una delle collane più vivaci nate negli ultimi anni, Incendi di add editore, ha preso forma lì. Fabio Geda era ospite del festival, e tra il pubblico c’era Francesca Mancini, editrice di add che allora viveva a Ivrea. Buttarono giù l’idea della collana, che hanno poi sviluppato e ora dirigono insieme, e contattarono sul momento i primi autori che avrebbero poi scritto per la collana. Quanto alle storie d’amore: non ne abbiamo contezza, ma considerando che “ogni storia è una storia d’amore”, e che di storie alla Grande invasione se ne raccontano tante, se non altro per la proprietà transitiva, è del tutto lecito ipotizzarlo».