I dati diffusi dalla segreteria del Sistema Nazionale di Sicurezza Pubblica dicono anche che nel 2017 in Messico c’è stato uno tra i più alti livelli di violenza degli ultimi vent’anni: 26.573 persone uccise da gennaio a novembre, 2.764 solo nel mese di ottobre. La media è di oltre 2.000 omicidi al mese per tutto l’anno. Secondo l’Istituto di Statistica Nazionale in undici anni di lotta militarizzata ai cartelli della droga ci sono stati 240.000 omicidi in totale e un numero di desaparecidos pari a quasi 35 mila persone.
L’aumento dei rapimenti in Messico è alimentato in gran parte dalla domanda di stupefacenti. Per sostenerla, le organizzazioni criminali messicane hanno bisogno di personale e di armi e a partire dal 2006 i gruppi criminali messicani hanno iniziato a utilizzare il sequestro di persona, e il denaro dei riscatti, per finanziare le loro attività.
I numeri e la storia dei rapimenti in Messico hanno seguito le evoluzioni della criminalità organizzata locale e il cambiamento nei loro modi di operare. Tra il 2000 e il 2006 si sono verificati circa 400 rapimenti all’anno, che sono molti ma sempre un terzo dei numeri degli ultimi anni. Dopo il 2007, quando il crimine organizzato si è frammentato e i gruppi hanno dovuto far fronte a una maggiore concorrenza e competizione, i rapimenti sono aumentati di quasi il 200 per cento, sempre secondo i dati dell’SNSP. Dal 2007 al 2016, il numero di gruppi criminali in Messico è salito da 6 a 400. L’ex presidente Calderón, in carica dal 2006 al 2012, aveva investito moltissimo nella lotta alla criminalità organizzata e aveva deciso di concentrarsi sulla cattura dei capi dei grandi cartelli della droga sconvolgendo quello che un tempo era un pacifico equilibrio di potere e causando la frammentazione in gruppi più piccoli. Enrique Peña Nieto, presidente dal 2012, ha invece cambiato approccio, passando a quella che la sua amministrazione ha chiamato “agopuntura sociale”: molti piccoli interventi mirati.
Negli anni Novanta, spiega Vox, la maggior parte dei gruppi di sequestratori era formata da agenti di polizia, sia attivi che in pensione. E gli obiettivi erano i ricchi cittadini dell’élite economica e politica del paese. Nel 1994 fece molta notizia il rapimento di Alfredo Harp Helú, un imprenditore messicano liberato dopo un riscatto di circa 30 milioni di dollari. Per molti gruppi criminali, però, i rischi legati a questi rapimenti cominciarono ad attirare l’attenzione sia della stampa internazionale che della polizia: per chi li compiva il clamore minacciava di compromettere le altre attività e i rischi iniziarono a superare i potenziali benefici. Venne dunque introdotto un nuovo modo di operare.
Dall’inizio degli anni 2000, i gruppi criminali hanno spostato la loro attenzione sulle classi medie e basse della popolazione. Hanno cioè puntato sulla quantità, guadagnando meno per ciascun sequestro, ma aumentando il numero dei sequestri senza attirare troppo l’attenzione delle autorità e del pubblico. Questa tendenza è stata definita dagli esperti come “democratizzazione del rapimento”: il rischio di essere sequestrati ha cominciato a riguardare non solo i più ricchi del paese, ma anche tutti gli altri. E ha cominciato a riguardare anche molte più donne che in passato. Mentre nel mondo a scomparire sono soprattutto uomini, dice la International Commission on Missing Persons – la Commissione internazionale per le persone scomparse (ICMP) – in Messico le donne sono sempre più a rischio e sempre più vulnerabili. In alcune regioni del paese, come Chihuahua e Nuevo León, la maggior parte di coloro che scompaiono sono giovani donne e ragazze che nella maggior parte dei casi lavorano nelle fabbriche e che devono percorrere lunghe distanze, a piedi o in autobus, per andare al lavoro.
Oltre agli obiettivi, sono cambiati anche i metodi delle organizzazioni criminali. Nel 2016, il 66 per cento sono stati “sequestri lampo”, rapimenti molto brevi che richiedono un pagamento praticamente immediato di una piccola somma.
Finora, il governo messicano non ha avuto molto successo nel ridurre il fenomeno dei sequestri, e gran parte di questo fallimento può essere attribuito agli alti livelli di corruzione nel paese. La polizia è spesso coinvolta in queste operazioni, sia attivamente nell’organizzazione vera e propria, sia passivamente, nel far finta di niente. Secondo uno studio della Commissione nazionale per i diritti umani, in Messico, l’85-95 per cento dei cittadini ritiene che la polizia sia corrotta. E questo, visto dall’altra parte, significa anche che i gruppi criminali sentono di poter agire indisturbati e senza particolari problemi: solo l’1 per cento dei responsabili dei sequestri viene catturato e consegnato alla giustizia. E c’è, di fatto, un grande e reale incentivo a partecipare a questo tipo di attività.
Negli ultimi anni ci sono stati diversi casi celebri di rapimenti e omicidi che sono finiti sulle prime pagine dei giornali internazionali, come quelo dei 43 studenti scomparsi nel 2014 a Iguala, nello stato messicano di Guerrero. In Messico di recente sono scomparsi anche tre cittadini italiani: Raffaele Russo, suo figlio Antonio e suo nipote Vincenzo Cimmino, di 60, 25 e 29 anni, di cui non si hanno notizie da più di tre mesi. Quattro poliziotti sono stati arrestati in relazione alla loro scomparsa: secondo la ricostruzione degli investigatori messicani avrebbero consegnato i tre italiani a un gruppo della criminalità organizzata in cambio di denaro.