La ragazza di Verona portata in Pakistan dalla famiglia per abortire è stata liberata
È nota solo come Farah, ed era tenuta prigioniera in casa: ora dovrebbe tornare in Italia
Negli scorsi giorni i quotidiani italiani hanno parlato di una giovane donna pakistana residente a Verona e nota solo con il nome “Farah” che, secondo una serie di messaggi ricevuti dalle sue compagne di scuola e dal suo fidanzato, era stata portata dai genitori in Pakistan e lì costretta ad abortire. La ragazza era tenuta prigioniera in casa, ma venerdì il ministero degli Esteri ha annunciato che la ragazza è stata liberata dalla polizia di Islamabad, la capitale del Pakistan, e ora si trova al sicuro. Ora sia il ministero che l’ambasciata italiana in Pakistan si stanno occupando di far tornare Farah in Italia. Repubblica scrive che l’ambasciatore Stefano Pontecorvo ha incontrato la ragazza dopo la sua liberazione e che le sue condizioni di salute sono buone.
Secondo quanto riportato dai giornali e confermato da fonti diplomatiche, Farah era stata portata in Pakistan lo scorso febbraio e da allora era rimasta prigioniera in casa: sua madre e le sue sorelle le avevano sottratto i documenti. La ragazza era rimasta incinta lo scorso autunno e avrebbe dovuto partorire a giugno; insieme al fidanzato, italiano di origini colombiane, aveva deciso di tenere il bambino, ma la famiglia di lei era contraria e l’aveva portata in Pakistan senza dirle le vere ragioni del viaggio. In uno dei messaggi che Farah aveva mandato alle compagne di classe prima di essere liberata, aveva detto di essere stata tenuta legata per otto ore prima di subire l’operazione di interruzione di gravidanza.
A Verona la ragazza era seguita dal Progetto Petra, un centro antiviolenza del Comune, dato che lo scorso anno suo padre era stato denunciato per maltrattamenti e per un periodo la ragazza non aveva vissuto con la famiglia.
Le autorità italiane non potevano occuparsi direttamente del caso di Farah, visto che la ragazza non è cittadina italiana, ma Pontecorvo aveva incontrato i ministri degli Esteri e dell’Interno pakistani, oltre al capo del tribunale di Islamabad e al presidente della commissione per i diritti delle donne del Punjab, per convincerli a intervenire. Nelle scorse settimane i giornali italiani si erano occupati della storia di un’altra giovane donna portata in Pakistan contro la sua volontà, italiana ma di origini pakistane: Sana Chema, che è stata uccisa da alcuni dei suoi familiari per aver rifiutato un matrimonio combinato.