Cosa vuol dire per l’Iran il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare
Molta rabbia e frustrazione, un duro colpo per il governo moderato di Hassan Rouhani e una vittoria per gli ultraconservatori
In Iran gli unici che hanno celebrato con una certa soddisfazione il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano, annunciato martedì dal presidente Donald Trump, sono stati gli ultraconservatori, cioè quella parte della politica iraniana più aggressiva e bellicosa nei confronti dell’Occidente. Mercoledì, durante una sessione del Parlamento iraniano, alcuni parlamentari ultraconservatori hanno bruciato una bandiera americana e una copia del testo dell’accordo, e hanno cantato slogan come “morte all’America!”, tra gli applausi dei loro alleati politici e le proteste dei più moderati.
Gli ultraconservatori sono la fazione più vicina ad Ali Khamenei, la Guida suprema, cioè la carica politica e religiosa più importante e potente dell’Iran. Erano stati proprio loro a opporsi nel 2015 all’accordo sul nucleare iraniano, che invece era stato appoggiato presidente moderato Hassan Rouhani e dal suo esperto ministro degli Esteri Mohammad Zarif (qui alcune cose per capire come funziona il sistema iraniano, e le differenze tra ultraconservatori e moderati).
Gli ultraconservatori avevano ripetuto fino allo sfinimento che «dell’America non ci si può fidare», una linea politica in parte strumentale all’idea di trovare sempre un nemico a cui dare le colpe di tutti i mali. Il governo guidato da Rouhani aveva invece creduto che l’accordo avrebbe migliorato sia la posizione internazionale dell’Iran che la sua economia: in cambio delle limitazioni allo sviluppo dell’energia nucleare – secondo l’Occidente finalizzata alla costruzione dell’arma atomica, cosa sempre negata dal governo iraniano – l’Iran avrebbe ottenuto la rimozione parziale delle sanzioni economiche internazionali. Dopo la firma dell’accordo, nell’aprile 2015, Zarif tornò a Teheran e fu accolto come un eroe.
Da allora in Iran sono cambiate molte cose. Primo: i benefici derivanti dalla rimozione di parte delle sanzioni sono stati molto sotto le aspettative. Rouhani aveva promesso che l’intesa sul nucleare avrebbe risolto molti dei problemi dell’Iran, che le società occidentali sarebbero arrivate di corsa per sfruttare un mercato rimasto fino a quel momento quasi isolato, che si sarebbero creati molti nuovi posti di lavoro. Quasi niente di tutto questo però è successo, ha spiegato il corrispondente a Teheran del New York Times, Thomas Erdbrink.
I motivi sono stati vari: l’esistenza di leggi sugli investimenti non competitive, la corruzione dilagante e soprattutto il fatto che molte delle sanzioni americane fossero rimaste in vigore nonostante l’accordo. Negli ultimi anni, infatti, gli Stati Uniti avevano imposto all’Iran sanzioni legate al suo programma missilistico e al suo appoggio a gruppi considerati terroristici, come per esempio il partito libanese Hezbollah. L’esistenza di queste sanzioni ha impedito alle grandi banche occidentali di iniziare a operare in Iran e ha limitato di parecchio le normali transazioni finanziarie. Molte società americane, inoltre, hanno abbandonato l’idea di investire in Iran per paura di violare per errore le sanzioni ancora in vigore. L’accordo, insomma, ha prodotto risultati molto inferiori alle promesse di chi lo avevamo appoggiato.
D’altra parte – e questo è un punto importante per capire tutta la storia – negli ultimi due anni l’Iran non ha mai violato l’accordo. Non è stato il governo iraniano a dirlo, ma l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (AIEA), l’organizzazione indipendente incaricata di compiere regolari ispezioni nei siti iraniani. Mercoledì il direttore generale dell’AIEA ha detto: «Fino a oggi, l’AIEA può confermare che gli impegni relativi alla questione nucleare sono stati rispettati dall’Iran». La violazione, tecnicamente parlando, è stata piuttosto degli Stati Uniti, che di fatto non si sono ritirati dall’accordo ma lo hanno violato, annunciando l’imposizione di nuove sanzioni relative al nucleare iraniano.
La complicata situazione economica dell’Iran, unita alla decisione americana di ritirarsi senza alcuna violazione della controparte, hanno provocato in Iran sensazioni di rabbia, rassegnazione e confusione. La giornalista iraniano-americana Negar Mortazavi ha scritto che familiari e amici che vivono in Iran le hanno chiesto cosa succederà ora, quanto la situazione potrebbe peggiorare e se ci sarà una nuova guerra. Slavosh Ghazi ed Eric Randolph, giornalisti di AFP a Teheran, hanno chiesto a diverse persone cosa pensino della decisione di Trump. Katayoon Soltani, una contabile che vive nella capitale, ha detto: «Il primo pensiero che ho avuto, che abbiamo avuto io e la mia famiglia, è che non dovremmo stare più qui. Anche senza sanzioni la nostra economia era terribile. Con questa decisione non so cosa succederà. Tutti i miei amici vogliono lasciare l’Iran». Ali Bigdeli, autista di autobus, ha detto: «Stavo dormendo quando Trump ha fatto il suo discorso. Non è importante per noi, non ci importa. Siamo iraniani e facciamo a modo nostro, non c’importa delle azioni americane».
L’impressione, hanno scritto diversi analisti e giornalisti in Iran, è che questa frustrazione e rabbia potrebbe indebolire di parecchio la posizione di Rouhani, che è il vero sconfitto di tutta questa storia: è stato lui a fidarsi degli americani, dicono i suoi critici. Martedì Rouhani ha detto che l’Iran potrebbe rimanere nell’accordo con gli altri paesi firmatari, primi fra tutti quelli europei, che hanno già anticipato di non voler far saltare il banco. Il fatto è che potrebbe non essere Rouhani a decidere, perché il vero potere in Iran è detenuto dalla Guida suprema Ali Khamenei, dalle Guardie rivoluzionarie (il corpo di élite militare che risponde direttamente a Khamenei) e dagli ultraconservatori, che controllano le forze di sicurezza, il potere giudiziario e la televisione di stato, tra le altre cose. Khamenei si è sempre detto contrario all’accordo, anche se nel 2015 aveva dato la sua approvazione alla firma, visto l’ampio sostegno popolare a favore dell’intesa.
Con la decisione di Trump, però, le cose sono cambiate. Mercoledì Khamenei ha fatto un discorso molto duro contro la decisione americana e ha detto di non avere più fiducia nemmeno nei tre paesi europei coinvolti, Francia, Germania e Regno Unito. Su Twitter ha scritto che l’energia nucleare è necessaria per l’Iran e ha aggiunto che per gli Stati Uniti la questione del nucleare è solo una scusa: «Se anche ci dicessimo d’accordo con loro [con gli americani] sulla questione della nostra presenza nella regione e dei nostri missili, gli Stati Uniti continuerebbero ad avere problemi con noi, e ne creeranno altri». In pratica, ha detto Khamenei, non serve cercare di fare accordi con gli Stati Uniti: in un modo o nell’altro cercherebbero sempre di litigare con noi e danneggiarci.
If we agree with them on the issue of our presence in the region and our missiles, the U.S.'s problem with Iran won't be over. The U.S. will create a new problem.
— Khamenei.ir (@khamenei_ir) May 9, 2018
Diversi altri ultraconservatori hanno sostenuto che l’Iran dovrebbe tornare ad arricchire l’uranio, processo indispensabile per la produzione di un’arma nucleare e sospeso con l’accordo del 2015. Abolfazl Hassan Beige, parlamentare ultraconservatore, ha detto a un giornale locale: «Romperemo il cemento di Arak; riapriremo il cuore della centrale nucleare», riferendosi a un sito nucleare iraniano che era stato reso inutilizzabile dall’intesa. «La Repubblica Islamica dell’Iran riprenderà le sue attività nucleari e con più forza rispetto al passato, e sarà una perdita per l’America e i suoi alleati». Mohammad Ali Jafari, capo delle Guardie rivoluzionarie, ha detto: «Accolgo con favore il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare. Fin dall’inizio è stato chiaro che gli Stati Uniti non sono affidabili».
Non si sa ancora cosa succederà all’accordo sul nucleare iraniano, se rimarrà in vigore ugualmente anche senza la partecipazione degli Stati Uniti o se verrà definitivamente stracciato. Stando alle dichiarazioni degli ultimi due giorni, e all’aria che tira in Iran da un po’ di tempo, sembra molto improbabile che la leadership iraniana decida di tornare a trattare con gli americani, soprattutto finché alla presidenza ci sarà Trump. Questa è un’ipotesi che hanno suggerito negli ultimi giorni diversi commentatori favorevoli alla decisione di Trump, che credono possibile che i leader iraniani, sotto la pressione delle sanzioni e del malcontento popolare, possano decidere di sedersi a un tavolo e trattare un nuovo accordo magari più favorevole agli Stati Uniti. La conseguenza più immediata sembra invece essere un’altra: la delegittimazione di quel fronte che aveva sostenuto l’accordo – quello moderato di Rouhani – e il rafforzamento dei gruppi politici che si erano opposti, che sono anche i più aggressivi e pericolosi per l’Occidente: cioè quelli degli ultraconservatori di Khamenei.