Ci sono accuse molto gravi contro Tidal
Un'inchiesta di un giornale norvegese dice che il servizio di streaming di Jay-Z ha gonfiato (e tanto) i numeri sui dischi di Beyoncé e Kanye West, imbrogliando sulle royalties
Un’inchiesta del quotidiano finanziario norvegese Dagens Næringsliv ha ipotizzato che il servizio di streaming musicale Tidal, di proprietà del rapper americano Jay-Z, abbia gonfiato i dati riguardo al numero delle riproduzioni di canzoni sulla propria piattaforma. In particolare si parla di quelli che probabilmente sono i due dischi più importanti che il servizio ha pubblicato in esclusiva: Lemonade di Beyoncé (che è la moglie di Jay-Z), e The Life of Pablo di Kanye West (che, almeno fino a qualche tempo fa, era molto amico di Jay-Z). Supposizioni simili erano già state fatte in passato, ma la novità è l’accusa di aver calcolato le royalties (cioè i soldi derivanti dal diritto d’autore) sulla base dei numeri gonfiati, favorendo Beyoncé e West a discapito degli altri artisti.
Tidal è una delle principali piattaforme di streaming musicale al mondo, che fin dall’inizio puntò a distinguersi dai concorrenti per una maggiore qualità dei file audio. Jay-Z lo comprò nel 2015, provando a renderlo un servizio competitivo coinvolgendo molti altri importanti artisti, da Kanye West a Jack White a Rihanna ai Daft Punk. In particolare, negli anni il servizio ha puntato molto sulle esclusive, cioè sui dischi che erano disponibili solo su Tidal: tra questi i principali sono stati proprio Lemonade (tuttora non disponibile sulle altre piattaforme di streaming) e The Life of Pablo (che invece dopo qualche settimana arrivò anche altrove).
Nonostante questi sforzi, Tidal non è mai arrivato neanche lontanamente ai numeri di Spotify e Apple Music, i due più grandi servizi di streaming al mondo, che hanno rispettivamente circa 71 e 38 milioni di utenti. Non si sa quanta gente usi Tidal: nel 2016 disse di avere 3 milioni di utenti, ma indagini indipendenti e fonti vicine all’azienda dicono che il numero è più vicino a un milione. In ogni caso, dopo l’uscita di Lemonade nell’aprile del 2016 Tidal disse che nei primi 15 giorni il disco era stato riprodotto in streaming 306 milioni di volte: cioè, anche basandosi sui dati ufficiali, circa sette volte al giorno da ogni utente. Per The Life of Pablo, la cifra riportata da Tidal era di 250 milioni di riproduzioni in 10 giorni: cioè più di otto volte per utente.
Erano evidentemente numeri inverosimili e una prima indagine di DN, confermata dalla società di ricerche sull’industria discografica Midia, aveva suggerito che Tidal avesse gonfiato i numeri. Ora però DN dice di avere ottenuto un hard disk contenente “miliardi” di dati riservati sulla società, che coincidono con quelli – non pubblici – condivisi da Tidal con le etichette discografiche.
Questi dati comprendono i codici identificativi dei singoli utenti, associati ai loro ascolti. DN ha allora contattato direttamente alcuni di questi utenti, chiedendo conferma delle riproduzioni musicali registrate a loro nome. Secondo i dati di Tidal, per esempio, il compositore danese Halfdan Nielsen avrebbe ascoltato in 50 occasioni diverse le canzoni di Lemonade: lui ha negato, definendo “senza senso” la cifra. Uno studente di Washington di nome Tiare Faatea ha negato di avere mai ascoltato 180 volte le canzoni di Lemonade in 24 ore, come invece dicono i dati, e il critico Geir Rakvaag ha detto di non avere mai ascoltato 96 volte le canzoni di The Life of Pablo in un solo giorno.
Per confermare i dati ottenuti, DN ha chiesto aiuto al Centro per la Sicurezza Informatica dell’Università Norvegese di Scienza e Tecnologia, che ha analizzato l’hard disk concludendo che ci sono state delle manipolazioni sui dati relativi agli streaming dei due album. Secondo i ricercatori, nel caso di The Life of Pablo la manipolazione è avvenuta intervenendo sui veri account di circa 1,3 milioni di utenti in totale (cioè plausibilmente tutti quelli di Tidal), attribuendo loro un grande numero di riproduzioni – circa 150 milioni, in realtà mai avvenute – esattamente nello stesso momento. Nel caso di Lemonade, secondo i ricercatori, Tidal avrebbe moltiplicato il numero delle riproduzioni autentiche degli utenti. La moltiplicazione è stata rilevata grazie ad alcuni pattern sospetti: per esempio i registri mostrano che le varie riproduzioni sono avvenute sempre a distanze temporali di sei minuti, oppure di multipli di sei. In tutto, le riproduzioni sospette rilevate sono state 170 milioni. I ricercatori hanno escluso che sia il risultato di un errore o di una falla informatica.
DN dice di avere ottenuto i dati sui pagamenti effettuati da Tidal alle etichette discografiche che detengono le royalties di Lemonade e The Life of Pablo. Nel primo caso si tratta di Sony, che tra aprile e maggio 2016 ricevette da Tidal 4 milioni di dollari: di questi, 2,5 milioni arrivavano da Lemonade. Per The Life of Pablo invece si parla di Universal, che tra febbraio e marzo 2016 ricevette 3,3 milioni: di questi, circa 2 milioni arrivavano dal disco di West.
Tidal ha negato categoricamente di aver gonfiato i numeri delle riproduzioni o di avere imbrogliato sul pagamento delle royalties. Gli avvocati di Tidal dicono che DN ha falsificato i dati forniti al centro dell’Università Norvegese di Scienza e Tecnologia, per ottenere uno studio che confermasse le proprie insinuazioni.