Trump si tira fuori dall’accordo con l’Iran
Quello sul nucleare, firmato da Obama nel 2015 e definito "storico" per la sua importanza: e ora che succede?
Il presidente statunitense Donald Trump ha annunciato il ritiro degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare iraniano firmato nell’aprile 2015 dall’Iran e dai paesi del cosiddetto gruppo “5+1”, cioè i cinque che hanno il potere di veto al Consiglio di sicurezza dell’ONU (Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Cina) più la Germania. La decisione di Trump – che tecnicamente corrisponde alla reintroduzione delle sanzioni all’Iran – era nell’aria da qualche giorno, nonostante le pressioni contrarie dei paesi europei alleati degli Stati Uniti. È difficile dire cosa succederà ora, per le enormi implicazioni che una tale decisione avrà sull’Iran, sulla stabilità del Medio Oriente e sui rapporti tra Stati Uniti ed Europa. Partiamo dall’inizio.
Il 2 aprile 2015 a Losanna, in Svizzera, l’Iran e i paesi del “5+1” firmarono il testo di quello che era stato definito un “accordo storico”.
L’intesa, che era arrivata alla fine di negoziati lunghi e faticosi, prevedeva una significativa riduzione della capacità dell’Iran di arricchire l’uranio – passaggio fondamentale per la produzione dell’arma nucleare – e la rimozione di alcune delle sanzioni imposte all’economia iraniana negli anni precedenti. L’accordo soddisfaceva tutti i partecipanti, anche se fin da subito fu visto come “imperfetto”: da una parte non garantiva che l’Iran non sarebbe mai entrato in possesso dell’arma nucleare, anche se lo rendeva praticamente impossibile nel breve periodo; dall’altra stabiliva la rimozione solo di una parte delle sanzioni: sarebbero rimaste in vigore quelle imposte a causa dell’appoggio iraniano a gruppi considerati terroristici dall’Occidente, come il libanese Hezbollah.
Nel corso dell’ultimo anno e mezzo, nonostante l’accordo sia stato rispettato e non siano state riscontrate violazioni significative da parte dell’Iran, gli umori sono cambiati.
Negli Stati Uniti l’elezione di Trump ha rivoluzionato l’approccio dell’amministrazione nei confronti dell’Iran, che col passare dei mesi è diventato sempre più duro. Oggi le critiche di Trump all’accordo sono diverse: sostiene che l’intesa sia “a tempo” e che lasci libero il governo iraniano di continuare a testare i missili balistici intercontinentali, oltre che di sostenere gruppi e milizie fuori dai suoi confini nazionali, come Hezbollah in Libano, gli houthi in Yemen e le milizie sciite in Siria. Secondo Trump, e secondo altri critici, l’accordo non sarebbe solo inefficace, ma anche dannoso: con i benefici ottenuti dalla rimozione di parte delle sanzioni, sostiene il presidente americano, il governo iraniano starebbe finanziando una grande campagna militare all’estero, che gli avrebbe permesso negli ultimi anni di guadagnare un’enorme influenza in diversi paesi del Medio Oriente (Siria e Iraq, soprattutto).
The Iran nuclear deal is a terrible one for the United States and the world. It does nothing but make Iran rich and will lead to catastrophe
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) April 3, 2015
«L’accordo sul nucleare iraniano è terribile per gli Stati Uniti e il mondo. Non fa altro che rendere ricco l’Iran e porterà alla catastrofe»
La decisione di Trump di ritirarsi dall’accordo è stata condizionata anche dalle ultime sostituzioni all’interno della sua amministrazione. L’ex segretario di stato Rex Tillerson e l’ex consigliere alla sicurezza nazionale H. R. McMaster, entrambi orientati a continuare a rispettare l’intesa, sono stati di recente sostituiti con Mike Pompeo e John Bolton, molto più bellicosi verso l’Iran. A differenza di Barack Obama, inoltre, Trump ha mostrato di voler recuperare un rapporto pienamente positivo con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che si è sempre detto contrario a un accordo che non elimini completamente la minaccia nucleare iraniana.
Israele identifica l’Iran come la principale minaccia alla sua sicurezza nazionale e il governo israeliano, parecchio conservatore, crede che se l’Iran dovesse riuscire a dotarsi di un’arma atomica potrebbe usarla per distruggere – o minacciare di distruggere – lo stato d’Israele. Netanyahu ha detto di avere apprezzato la decisione di Trump, definendola “coraggiosa”.
Diversi analisti, tra cui Suzanne Maloney del centro per il Medio Oriente della Brooking Institution, avevano molto criticato l’eventualità di un ritiro degli Stati Uniti dall’accordo: «Data la situazione nella regione, è meglio avere un Iran sotto controlli e verifiche costanti – un Iran che ha accettato di trasferire all’estero importanti elementi della produzione di combustibile nucleare, e un Iran che ha messo sotto ghiaccio diversi aspetti del suo programma, almeno per un certo periodo di tempo –, invece che un Iran che corre verso la bomba [nucleare]», ha detto Maloney all’americana PBS. Ali Vaez, analista dell’International Crisis Group, ha messo insieme dieci motivi per i quali avere un accordo sarebbe stato meglio che non averlo. Uno di questi riguarda il cosiddetto “breakout time”, cioè il tempo necessario all’Iran per produrre sufficiente combustibile per una singola bomba nucleare: l’accordo fissa questo tempo a 12 mesi, a cui vanno aggiunti dai 6 ai 18 mesi per completare la costruzione del resto della bomba. Senza intesa, questo tempo si riduce sensibilmente.
Ora l’accordo sul nucleare iraniano potrebbe saltare del tutto, anche se i paesi europei firmatari (Francia, Regno Unito e Germania) hanno già detto di avere intenzione di continuare a rispettarlo. Federica Mogherini, alto rappresentante degli Affari Esteri dell’Unione europea, ha detto che per i paesi europei l’accordo rimane in piedi. In un comunicato congiunto, Francia, Regno Unito e Germania si sono detti preoccupati della decisione di Trump. Macron ha detto che lavorerà per una nuova intesa.
Ci sono diverse incognite in questo senso. La più grande è che non si sa esattamente come reagirà l’Iran, anche se le dichiarazioni degli ultimi giorni sono state piuttosto decise. Dopo l’annuncio di Trump il presidente iraniano, il moderato Hassan Rouhani, ha detto che vuole discutere con gli altri paesi dell’accordo, senza gli Stati Uniti. Se le trattative falliranno, ha detto, l’Iran riprenderà il processo di arricchimento dell’uranio a ritmi industriali nelle prossime settimane. Nei giorni scorsi aveva detto che se gli Stati Uniti si fossero ritirati dall’accordo «lo avrebbero rimpianto a lungo». Il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Zarif, aveva detto che l’Iran non sarà disposto in futuro a firmare un altro accordo simile con gli americani, cosa che invece ancora oggi è stata suggerita da Trump. Zarif aveva aggiunto che il governo iraniano potrebbe essere disposto a continuare a rispettare l’accordo, se i paesi europei firmatari si mostrassero disposti a non rinnovare le sanzioni.
Non è certo però che sia una via percorribile, per due ragioni: primo perché molte delle sanzioni rimosse grazie all’accordo erano state imposte dagli americani, e quindi l’Iran potrebbe non essere disposto a pagare lo stesso prezzo ottenendo molto meno; inoltre il ritiro degli Stati Uniti potrebbe diventare un’arma dei conservatori iraniani – quelli che si oppongono all’attuale governo e che sono da sempre contrari all’accordo – per attaccare il primo ministro Rouhani e indebolirlo, lasciando spazio a forze ancora più aggressive.
L’impressione di diversi analisti che si occupano di proliferazione nucleare e di Iran è che nonostante l’accordo abbia diverse debolezze e problemi, la sua cancellazione potrebbe provocare una cosa che tutti – Stati Uniti, Europa ed Israele – vorrebbero evitare: la ripresa del programma nucleare militare da parte del governo iraniano, cioè la produzione di un’arma nucleare.