In Libano hanno vinto gli amici dell’Iran
Cioè il blocco di Hezbollah, che potrebbe avere ottenuto la maggioranza dei seggi, mentre sono andate male le forze politiche vicine ai sauditi e agli americani
In Libano sono stati diffusi lunedì i risultati ufficiosi delle elezioni legislative che si sono tenute domenica, già riconosciuti come validi da tutte le forze politiche libanesi: hanno vinto le forze alleate a Hezbollah, gruppo radicale sciita alleato dell’Iran e del regime siriano di Bashar al Assad, mentre il partito dell’attuale primo ministro, il sunnita Saad Hariri, ha perso circa un terzo dei seggi. Non è chiaro quando saranno diffusi i risultati ufficiali ma potrebbe passare un po’ di tempo, dato il complicato sistema di ripartizione dei seggi nel Parlamento libanese e l’altrettanto complicata legge elettorale.
Secondo i dati preliminari elaborati da Reuters, Hezbollah e i suoi alleati avrebbero ottenuto 67 dei 128 seggi in palio, quindi più della metà (sembra invece che Hezbollah da solo abbia più o meno mantenuto i 13 parlamentari che già aveva). Hezbollah, nato negli anni Ottanta come movimento di resistenza all’occupazione israeliana del Libano, è uno dei partiti politici più influenti nel paese e dispone tra le altre cose di una forza militare superiore allo stesso esercito libanese. È considerato un gruppo terroristico da diversi paesi occidentali (tra cui gli Stati Uniti) e da Israele, con cui nel 2006 combatté una guerra. Hezbollah è anche accusato di essere responsabile dell’uccisione nel 2005 del primo ministro libanese Rafiq Hariri, padre dell’attuale capo del governo Saad. L’uccisione di Hariri fu uno dei momenti più importanti della storia recente del Libano, perché provocò l’inizio della cosiddetta “rivoluzione dei cedri” e il ritiro delle forze siriane che non se n’erano andate dopo la fine della guerra civile, 15 anni prima.
La nota più rilevante per il resto del mondo è che la vittoria del blocco di Hezbollah è di fatto una vittoria dell’Iran. Hezbollah e Iran sono alleati da sempre e da qualche anno combattono dalla stessa parte della guerra siriana, cioè con Bashar al Assad. L’Iran non appoggia Hezbollah solo politicamente, ma anche da un punto di vista militare: per esempio manda regolarmente armi e missili verso le postazioni di Hezbollah in Libano, passando per la Siria.
Se Hezbollah e l’Iran hanno vinto, non si può dire lo stesso per lo schieramento considerato filo-Arabia Saudita e filo-Stati Uniti, cioè quello guidato dal primo ministro Hariri, leader del Movimento il Futuro. Hariri ha ammesso lunedì di avere perso un terzo dei seggi precedentemente occupati; se i risultati saranno confermati, come sembra, significa che l’influenza del suo partito nel prossimo Parlamento sarà molto ridotta. Tutto questo non significa però che in Libano ci sarà un primo ministro di Hezbollah o che Hariri dovrà trovarsi un’altra occupazione.
Il sistema politico libanese è infatti molto complicato e si basa su due accordi particolari: quello di Taif del 1989, che mise fine a 15 anni di violenta guerra civile, e quello chiamato “Patto nazionale” del 1943, che trasformò il Libano in uno stato multiconfessionale: il primo prevede che i seggi del Parlamento siano equamente divisi tra musulmani (circa il 45 per cento della popolazione) e cristiani (il 55 per cento), mentre il secondo che il presidente debba essere sempre un cristiano maronita, il primo ministro un musulmano sunnita e il presidente del Parlamento un musulmano sciita. L’impressione, hanno scritto diversi analisti nelle ultime ore, è che Hariri possa riproporsi come primo ministro (è il leader del partito sunnita più votato), anche se la sua posizione sarebbe molto debole. Non è detto che Hezbollah e qualche suo alleato non gli diano la fiducia, visto che i suoi membri avevano già partecipato come ministri al governo uscente.
L’affluenza alle elezioni di domenica è stata piuttosto bassa, solo il 49,2 per cento degli aventi diritto al voto, 5 punti percentuali in meno rispetto alle elezioni precedenti. Quando si formerà, il nuovo governo avrà diverse cose di cui occuparsi: l’accoglienza di un milione di profughi siriani, le tensioni tra gruppi religiosi e forze politiche, la paura dell’inizio di una nuova guerra con Israele, la corruzione dilagante e l’inefficacia di molti servizi pubblici, solo per dirne alcune.