Cosa succede ora, in breve
Quali sono i quattro scenari possibili che possono seguire alla nomina del "governo neutrale" annunciata ieri da Sergio Mattarella
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Dopo cinque giri di consultazioni andati a vuoto – tre condotti dal presidente della Repubblica e due dai presidenti delle Camere – lunedì sera è arrivata la prima vera svolta nella situazione politica bloccata successiva alle elezioni politiche del 4 marzo. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, preso atto del fallimento di tutte le opzioni politiche possibili, ha descritto quindi quali saranno le sue prossime mosse a cominciare da una: dato che all’Italia serve comunque un governo nella pienezza dei suoi poteri, e che il governo dimissionario guidato da Paolo Gentiloni ha evidentemente più che esaurito il suo corso, sarà presto nominato un governo “neutrale, di garanzia”.
Il presidente Mattarella dovrebbe dare questo incarico domani, mercoledì, a una personalità scelta da lui che si impegni, insieme a tutti i suoi ministri, a non candidarsi alle prossime elezioni politiche. La Costituzione prevede che il governo presti giuramento ed entri in carica prima di presentarsi alle camere per ottenere la fiducia: è stato così per tutti i governi repubblicani fin qui.
A questo punto però possono succedere due cose.
1. il governo “neutrale” riceve il voto di fiducia in Parlamento.
L’Italia avrebbe un governo nella pienezza dei suoi poteri, almeno finché il Parlamento non dovesse decidere di togliergli la fiducia.
A questo punto possono succedere altre due cose.
1-a. Nasce un accordo politico.
Dopo l’insediamento del governo “neutrale”, i partiti in Parlamento trovano un accordo per formare una maggioranza politica sulla base di una delle alleanze fin qui impossibili: in questo caso Mattarella ha detto che il governo “neutrale” si dimetterebbe immediatamente, così da far proseguire la legislatura con un governo espressione del voto del 4 marzo.
1-b. Non nasce nessun accordo politico in Parlamento.
Mattarella ha detto che il governo “neutrale” resterebbe al potere fino a dicembre del 2018 e non oltre, per permettere all’Italia di superare alcune scadenze molto importanti e tornare a votare nei primi mesi del 2019.
Torniamo quindi allo scenario precedente, e all’altra alternativa:
2. Il governo “neutrale” non riceve il voto di fiducia in Parlamento.
È l’esito oggi più probabile, viste le dichiarazioni della Lega e del Movimento 5 Stelle, ma bisognerà verificare di nuovo queste intenzioni quando il governo “neutrale” avrà effettivamente dei nomi e dei cognomi. In questo caso, comunque, il governo sarebbe immediatamente dimissionario: potrebbe occuparsi solo di “affari correnti” con poteri limitati, come oggi il governo di Paolo Gentiloni, ma almeno – dal punto di vista di Mattarella – sarebbe politicamente neutrale e non legato alla maggioranza politica di una precedente legislatura come è con Gentiloni. In questo caso, naturalmente, si tornerebbe a votare al primo momento utile.
Anche qui ci sono due alternative possibili.
2-a. Si vota a luglio.
La prima data utile sarebbe a luglio, probabilmente il 22 se si conta che servono 60 giorni dallo scioglimento delle camere e ancora questo governo “neutrale” – che dovrebbe prima giurare ed essere bocciato in Parlamento – non esiste. Questa è a oggi l’opzione preferita da M5S e Lega ma Mattarella ha espresso preoccupazioni per come il voto in piena estate possa condizionare la partecipazione. In Italia non si è mai votato in piena estate (al massimo a fine giugno), e durante la Prima Repubblica in situazioni simili si faceva ricorso a governi debolissimi e precari, definiti per l’appunto “governi balneari”.
2-b. Si vota in autunno.
Si supera l’estate e si vota alla prima data utile in autunno, tra settembre e ottobre. L’Italia ci arriverebbe con un governo dimissionario debolissimo e soprattutto, nel caso altamente probabile di una nuova situazione di incertezza successiva al voto, rischierebbe di non avere un governo nel pieno delle sue funzioni che possa approvare la legge di stabilità entro fine anno e la manovra finanziaria necessaria a evitare l’aumento automatico dell’IVA. In quel caso resterebbe in carica il governo dimissionario “neutrale” che non avrebbe mai ottenuto la fiducia in Parlamento.