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  • Domenica 29 aprile 2018

Contro i “tolleranti”

Come inizia il nuovo libro di Claudio Cerasa: spiegando cos'hanno in comune una partita a bocce, una chat su WhatsApp e Karl Popper

(ANSA-ALINARI)
(ANSA-ALINARI)

Il 30 aprile uscirà per Rizzoli il nuovo libro del direttore del Foglio, Claudio Cerasa, che si intitola Abbasso i tolleranti. È una raccolta di saggi su temi attuali come il populismo, la corruzione, il giornalismo, ma anche su cose un po’ più concrete, come le chat dei genitori su WhatsApp o la “moviola in campo”. Il tratto che tiene insieme tutte queste cose, e che dà il titolo al libro, si ispira a un saggio molto citato del filosofo Karl Popper, secondo cui una società troppo tollerante finisce paradossalmente per darla vinta alle sue componenti più intolleranti: come quelle che danno più ascolto ai genitori su WhatsApp che agli insegnanti, secondo Cerasa. Di seguito trovate la premessa che introduce il resto dei saggi del libro.

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Che cosa tiene insieme una partita a bocce, una chat su WhatsApp, una paura percepita, una corruzione fasulla, un telefono sul comodino, un robot in mano a un figlio, un presepe che una scuola non vuol fare a Natale, un palleggio di Messi, una canzone su Spotify, una notizia su Facebook, una bufala a proposito di un braccialetto, una buona notizia che non diventa mai notizia, una cattiva che diventa sempre notizia, una moneta che diventa algoritmo, un taxi che diventa ostacolo, un moralismo spacciato per efficienza, un bambino che nasce per caso, una splendida bugia di un figlio, una caccia alle streghe, un corteggiamento scambiato per molestia, una squadra di calcio che ce la fa perché fallisce e un totalitarismo spacciato per democrazia? Cosa tiene insieme tutto questo?

Semplice: l’orrore della tolleranza per i tolleranti. L’orrore della tolleranza per gli sfascisti. «La tolleranza illimitata porta alla scomparsa della tolleranza. Se estendiamo l’illimitata tolleranza anche a coloro che sono intolleranti, se non siamo disposti a difendere una società tollerante contro gli attacchi degli intolleranti, allora i tolleranti saranno distrutti e la tolleranza con essi».

A metà del Novecento, nei passaggi che hanno condotto l’Europa verso la fine della Seconda guerra mondiale, il formidabile filosofo austriaco Karl Popper – autore delle parole appena citate – scelse di pubblicare un saggio destinato ad avere un’enorme influenza, La società aperta e i suoi nemici.

Il senso del saggio venne sintetizzato in un’espressione a cui si richiama il titolo di questo libro – smettiamola con la tolleranza – e il paradosso messo a fuoco da Popper ebbe il merito di descrivere un meccanismo cruciale, senza il quale ancora oggi non è possibile capire nulla del mondo in cui ci troviamo. Il paradosso di Popper è facile e immediato da spiegare e stabilisce che una collettività caratterizzata da una tolleranza indiscriminata è inevitabilmente destinata a essere stravolta, a essere dilaniata e a essere dominata dalle frange più intolleranti, e sfasciste, presenti al suo interno.

Per questo, di fronte a una società in cui gli invasati trionfano, gli estremisti spopolano, gli integralisti dilagano, i fanatici crescono, smetterla di essere tolleranti con gli intolleranti è una condizione necessaria per provare a portare avanti l’unica battaglia culturale oggi degna di questo nome: difendere con i denti la natura tollerante di una società aperta. Questo libro nasce dunque da questa idea. Ma non nasce per parlare di politica, di filosofia, di economia, di costume, di società, di cultura, di giustizia. Non solo, quantomeno. Nasce partendo dall’idea ambiziosa di spiegare perché, oggi, la vera lotta da portare avanti contro gli intolleranti non può essere combattuta fino in fondo se non si è in grado prima di riconoscere le nuove grandi divisioni del mondo in mezzo alle quali si nascondono i molti ingredienti della società dello sfascio.

Questo libro, dunque, non nasce per parlarvi di politica, di economia, di capitalismo, di Europa, di globalizzazione. Nasce per spiegare perché i segni dell’intolleranza oggi non si possono cogliere senza comprendere quello che in troppi continuano a ignorare. Senza capire cioè che la sfida della società libera oggi passa da una serie di nuove dicotomie. L’ottimismo contro il pessimismo. L’apertura contro la chiusura. Il reale contro il virale. La gerarchia contro l’anarchia. Le garanzie contro il sospetto. La competenza contro l’incompetenza. La leadership contro la followship. La mediazione contro la disintermediazione. La democrazia contro l’algoritmo. L’essere dirigente, inteso come classe, contro l’essere, semplicemente, una classe digerente.

I nuovi segni di un’intolleranza sfascista contro la quale occorre combattere a ogni latitudine sono quelli che si annidano in mezzo a questi conflitti. E si trovano all’interno di un mondo molto particolare. Dove si considera ciò che è percepito più importante di ciò che è reale, dove si scommette sul catastrofismo per non illudersi con l’ottimismo, dove si usa il moralismo come surrogato del riformismo, dove si usa il garantismo come un gargarismo, dove si considera la fine delle gerarchie il simbolo di un nuovo ordine e non l’inizio di una nuova anarchia, dove si considerano le chat dei genitori più importanti delle lezioni degli insegnanti, dove non si capisce che la democrazia diretta si chiama così perché c’è qualcuno che la dirige, dove non si comprende che il pessimismo è il più grande incubatore mondiale di fake news, dove non ci si scandalizza di fronte alla propagazione dell’odio attraverso l’immediato processo mediatico, dove si prende per vero non ciò che è reale ma ciò che è virale, dove si trasformano le elezioni in una puntata di X-Factor, dove si giudica un Parlamento meno importante dei big data.

Questo libro nasce dunque per spiegare perché non possiamo più permetterci di essere tolleranti con i nuovi fanatici della democrazia. Nasce per spiegare quali sono i danni di una società che sceglie non di governare ma di farsi governare dall’algoritmo. Nasce per spiegare che essere ottimisti non significa essere degli stupidi sognatori che descrivono un mondo che non esiste ma capire una cosa ovvia: negare il mondo per quello che è non porta ad alimentare una gioiosa rivoluzione positiva ma semplicemente a essere sempre più fuori dal mondo. E nasce per spiegare, infine, offrendovi tanti e veloci spunti di cui parlare a cena tra amici, che essere intolleranti con gli intolleranti significa, al fondo, soffermarsi sulle ragioni che negli ultimi anni hanno portato all’affermazione di alcune pericolose post-verità: il mito farlocco dell’infallibilità universale della rete, la convinzione che i processi democratici maturati sul web siano l’evoluzione naturale della nostra democrazia, l’idea che ogni regola imposta alla rete sia un potenziale bavaglio per la nostra democrazia e il conseguente desiderio di creare a tutti i costi una società senza gerarchie, senza filtri, senza corpi intermedi, senza mediazioni e naturalmente trasparente.

In fondo la questione è facile: chi negli ultimi anni ha soffiato con forza sulla società del virale, sulla società del pessimismo, sulla società della disintermediazione ha contribuito a creare un mondo in cui la decentralizzazione presunta non ha avuto l’effetto di generare una società più uguale, ma al contrario ha reso possibile l’affermazione di alcuni tratti autoritari. Ce ne accorgiamo, o ce ne dovremmo accorgere, ogni giorno quando accompagniamo i nostri figli a scuola, quando accendiamo il computer, quando leggiamo una notizia su Facebook, quando ascoltiamo un talk show, quando leggiamo un libro, quando prendiamo in mano un telefonino, quando giochiamo con un algoritmo, quando trasformiamo un problema in un’emergenza, quando scegliamo di urlare invece di pensare, quando veniamo travolti da una notifica, quando osserviamo il mondo e non capiamo più quali sono le nuove coordinate che ci governano.

La questione è dunque evidente: fino a quando potremo restare tolleranti di fronte all’intollerabile società dello sfascio? In una formidabile intervista rilasciata all’inizio del 2018 a un importante giornale italiano, il filosofo Roger Scruton, il più celebre intellettuale conservatore britannico, ricordando il suo Sessantotto disse che in un certo senso, per chi amava andare controcorrente, il Sessantotto fu il momento del risveglio, sì, ma in una forma particolare: «Avevo ventiquattro anni e mi ero ribellato tutta la vita. E ora finalmente avevo trovato qualcosa per cui valesse la pena ribellarsi. Sono diventato un ribelle contro la ribellione».

Nella nostra società dilaniata da nuove divisioni che fingiamo di non vedere, oggi l’unica rivoluzione possibile è quella di ribellarsi contro i professionisti della ribellione. E mai come oggi vale l’esortazione di Popper: «Dovremmo rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti». E se volete capire cosa c’entrano con questa storia una partita a bocce, una chat su WhatsApp, una paura percepita, una corruzione fasulla, un telefono sul comodino, un robot in mano a un figlio, un presepe che una scuola non vuol fare a Natale, un palleggio di Messi, una canzone su Spotify, tra le vostre mani avete il libro giusto da spulciare. Buona lettura.