In Nicaragua le proteste stanno funzionando
Il presidente Daniel Ortega ha ritirato la sua controversa riforma delle pensioni, ma le manifestazioni non si sono fermate e ora puntano proprio lui
In Nicaragua ci sono stati giorni di grandi proteste, in cui sono morte almeno trenta persone, contro una riforma del sistema previdenziale decisa dal presidente Daniel Ortega. La riforma, ora ritirata, era stata proposta il 18 aprile e prevedeva che le persone pagassero più contributi ma ricevessero il cinque per cento in meno di pensione. Le proteste, iniziate nelle università pubbliche, sono cresciute col passare dei giorni e hanno portato Ortega a cancellare la riforma, per cercare di placare i manifestanti.
Le proteste, quindi, sono servite. Ma ora ci sono questioni più grandi: la contestazione nei confronti di Ortega, che andò al potere per la prima volta nel 1979 e ha governato il paese per 22 anni, non si è fermata. Ortega si è detto disponibile a mediare con i manifestanti e fare altre concessioni, ma molti manifestanti dicono che il loro unico obiettivo è la rinuncia al potere da parte di Ortega.
Parlando di Ortega, Frances Robles ha scritto sul New York Times che «secondo molti nicaraguensi, il rivoluzionario sta subendo una rivoluzione». Il rivoluzionario è Ortega, che ha 72 anni ed è un ex guerrigliero sandinista, con idee marxiste, che nel 1979 pose fine alla dittatura di Anastasio Somoza e che poi, dopo aver vinto una guerra civile contro forze ribelli di destra (i Contras), guidò il paese secondo principi di estrema sinistra. Restò al potere fino al 1990, anno in cui decise di concedere le elezioni e le perse. In quegli anni Ortega si fece notare anche per la forte opposizione agli Stati Uniti, che avevano supportato il movimento controrivoluzionario dei Contras.
Ortega è poi tornato nel 2006 ed è ora al suo terzo mandato consecutivo. Ci è riuscito dopo aver fatto un accordo con un partito conservatore, e rinunciando a molte delle sue politiche di sinistra. Ha mantenuto il potere rendendo la vita molto difficile alle forze di opposizione, sfruttando il supporto del Venezuela, cambiando la Costituzione (per esempio per farsi rieleggere per un terzo mandato) e accumulando sempre più potere e controllo. L’Economist ha scritto che dal 2006 Ortega «ha governato unendo retorica di sinistra e decisioni di destra, lasciando che il settore privato e la Chiesa cattolica agissero liberamente ed evitando diatribe con gli Stati Uniti».
Di recente Ortega è anche riuscito a far diventare vice-presidente sua moglie, Rosario Murillo: una cosa alla House of Cards. Molti osservatori concordano sul fatto che il piano di Ortega per i prossimi anni sia far passare il suo potere nelle mani di Murillo.
Le proteste degli ultimi giorni sono state le più grandi degli ultimi anni, oltre che le più efficaci. Sono tra l’altro partite dalle università pubbliche, dove un tempo Ortega aveva buoni consensi. Robles ha scritto sul New York Times che i giovani del Nicaragua stanno «portando avanti la loro versione della Primavera Araba. Con smartphone e social media, la loro sfida ha stupito quelli che hanno assistito alla rivoluzione di Ortega degli anni Settanta, alla guerra civile degli anni Ottanta e ai trent’anni che ci sono stati dopo».
Le prime proteste erano in realtà iniziate nei primi giorni di aprile, contro la lenta e scarsa risposta del governo a un incendio nell’Indio Maiz, una riserva naturale nel sud-est nel paese. Come nel caso delle proteste contro la riforma previdenziale, si trattava però di un pretesto per criticare gli ultimi anni di guida politica del paese e ancora più nello specifico contro Ortega e sua moglie. Le proteste si sono poi intensificate in seguito alla morte di decine di persone, compresi alcuni studenti e un giornalista, morto mentre stava raccontando le proteste in una diretta su Facebook (perché il suo canale televisivo era stato oscurato da Ortega).
Già in passato c’erano state proteste, ma Ortega era riuscito a mitigarle organizzando contro-proteste e, in certi casi, come ha scritto Robles «dando lavori fittizi ai leader delle proteste, per silenziare le principali voci del dissenso». Queste proteste sono state più efficaci perché hanno unito più fasce di popolazione – studenti ma anche ex combattenti sandinisti – e perché non sono guidate da un sindacato, un partito, o una persona (cosa che rende più difficile «silenziare le principali voci del dissenso»). In una delle più recenti manifestazioni – a Managua, la capitale, ma anche altrove – gli slogan più frequenti erano “non abbiamo paura” e “Ortega e Somoza sono la stessa cosa”. L’Economist ha anche raccontato che i manifestanti hanno preso come simbolo delle loro proteste delle sculture, fatte mettere nelle principali strade del paese da Murillo.
Ortega ha deciso di ritirare la sua riforma del sistema previdenziale il 20 aprile, ma le proteste sono andate avanti. Un po’ perché la riforma era solo un pretesto, un po’ perché nel suo discorso Ortega aveva evitato ogni riferimento agli studenti morti durante le manifestazioni, probabilmente uccisi dalla polizia. Ortega aveva anzi detto che tra i manifestanti c’erano gang, che si erano infiltrati per approfittare della situazione per saccheggiare i negozi.
Nel provare a mediare coi manifestanti, Ortega ha anche liberato alcuni studenti e cercato la mediazione della Chiesa cattolica, ma per il momento non ci sono stati progressi. Già il 25 aprile, AFP ha scritto che la situazione nel paese stava tornando un po’ più tranquilla, almeno per il momento.
Intanto resta il fatto che senza gli aiuti economici del Venezuela, il Nicaragua sta per andare incontro a problemi di liquidità (per esempio mancano i soldi per pagare le pensioni) e che, come ha scritto l’Economist «i problemi di Ortega potrebbero essere appena iniziati». Per via delle proteste, dei problemi economici e del contesto generale in cui si trova il Nicaragua, spiegato così dal Washington Post:
Le più importanti manifestazioni degli ultimi 40 anni dell’America centrale stanno succedendo ora, ed è una cosa che sta sconvolgendo alcune delle più importanti figure della generazione di rivoluzionari latinoamericani di sinistra che sono saliti al potere. I Castro non sono più presidenti a Cuba, Hugo Chávez è morto e ora, in Nicaragua, Ortega e il movimento sandinista potrebbero essere vicini alla fine.