La vera storia di Osho
La storia pazzesca di un predicatore indiano con 93 Rolls-Royce e centinaia di migliaia di seguaci, e di uno dei più gravi attacchi batteriologici negli Stati Uniti
All’inizio degli anni Ottanta una setta religiosa di origine indiana riuscì ad attrarre migliaia di persone in una regione degli Stati Uniti, dove stabilì una enorme comunità che provò a prendere – e ci riuscì, per un po’ – il controllo politico della zona. Nel giro di pochi anni i leader della comunità religiosa si resero responsabili della militarizzazione della comunità e di vari tentativi di avvelenamento collettivo, fino a quando nel 1985 furono espulsi dagli Stati Uniti. Più di recente, sono diventati i protagonisti di un popolare documentario di Netflix, Wild Wild Country. Questa è la storia incredibile di Bhagwan Shree Rajneesh, detto Osho, e della comunità sannyasin.
Negli anni Sessanta l’India era un posto ancora più diviso e arretrato di oggi. Il messaggio del leader politico e spirituale Mohandas Karamchand Gandhi, che predicava uguaglianza e sobrietà ed era stato ucciso nel 1948, rimaneva ancora molto vivo. Bhagwan Shree Rajneesh non credeva in nulla di tutto ciò.
Sin da quando lavorava come ricercatore di filosofia in una remota università pubblica nell’India centrale, in molti si erano interessati ai comizi che teneva in inglese, che in India è una delle lingue ufficiali e soprattutto è comprensibile anche dagli occidentali. Erano sermoni pieni di battute contro i cattolici e gli ebrei, tirate contro Gandhi e il socialismo e lodi alla civiltà moderna, alla scienza, alla libertà sessuale. I suoi spettatori erano soprattutto giovani borghesi occidentali, affascinati da un orientalismo un po’ grossolano e arrivati in India grazie al passaparola e delusi dalla società che si stava consolidando in Europa o negli Stati Uniti. Rajneesh «li faceva sentire come se appartenessero a una élite di pensatori liberi, che guardavano oltre il bigottismo e le consuetudini sociali di tutti gli altri», scriveva il New Yorker.
La sua fama come oratore bizzarro e irriverente si diffuse a tal punto che nel 1966 fu costretto a dimettersi dal suo incarico di professore. Rajneesh diventò allora un mistico. Nel 1970 raccontò di avere ricevuto un’illuminazione e si stabilì in un appartamento di Mumbai per dedicarsi alla meditazione e all’insegnamento ai suoi discepoli, che continuavano ad aumentare.
Quattro anni più tardi Rajneesh e i suoi discepoli comprarono un’ampia proprietà a Pune, una città a circa duecento chilometri da Mumbai, dove iniziarono a vivere come una sola comunità. La proprietà disponeva di vari alloggi e di un grande parco costantemente affollato di discepoli, che Rajneesh chiamava sannyasin – dallo stadio più realizzato dell’esistenza, secondo l’induismo – e a cui consigliava di vestire di rosso, per celebrare l’alba del sole. Lui, invece, teneva sermoni seduto su una poltrona in mezzo a loro e benediva quelli che gli si avvicinavano. Le “sedute di gruppo” prevedevano dei momenti in cui sfogarsi fisicamente, e le immagini di quelle sedute impressionarono molti: persone che urlano, si agitano, si scontrano, si picchiano.
Attorno alle predicazioni di Rajneesh iniziò a formarsi una struttura gerarchica gestita dai fedeli più devoti, che riempiva i momenti fra un sermone e l’altro con “sedute di gruppo” e piccoli incarichi per far funzionare la comunità. La più carismatica fra i leader emergenti di questa comunità si chiamava Ma Anand Sheela.
Come Rajneesh, anche Sheela parlava un ottimo inglese: era nata in India ma a 18 anni si era trasferita in Michigan per studiare. Lì aveva incontrato suo marito, un americano dell’Illinois, con cui era tornata in India nel 1972 per entrare nella comunità di Rajneesh. Dopo la morte di suo marito, malato da tempo, Sheela diventò ancora più vicina a Rajneesh e lo spinse a trovare un posto diverso per i sannyasin. I soldi non gli mancavano – i libri e il materiale divulgativo di Rajneesh vendevano benissimo, i discepoli lavoravano gratuitamente e donavano molti dei loro soldi per la causa – e la comunità era malvista da tempo dalle autorità locali. Nel 1980 un uomo aveva persino provato ad accoltellare Rajneesh durante uno dei suoi sermoni. L’anno successivo Sheela convinse Rajneesh e il gruppo dei suoi discepoli più fedeli a comprare un enorme ranch di 260 chilometri quadrati – il doppio di Torino, per capirci – nella contea di Wasco, in Oregon, in mezzo al nulla.
Furono Sheela e i suoi collaboratori a occuparsi di tutto: comprarono il ranch e da un giorno all’altro si trasferirono in Oregon e iniziarono i lavori per costruire la nuova comune che avrebbe ospitato i sannyasin. Un’intera valle fu dedicata alle strutture abitative e ricreative: furono costruite decine di dormitori, un enorme centro di meditazione, una pista di atterraggio per aerei, e tutto intorno campi e piccole industrie per rendere autosufficiente la comunità. Sia Rajneesh sia Sheela ottennero una villa privata dove vivere per conto proprio.
Rajneesh arrivò in Oregon nel 1981, quando la comune si era già data un nome – Rajneeshpuram – e si era registrata ufficialmente come una città, dotata di un proprio sindaco e un apposito corpo di polizia (vestito di rosso, come da tradizione sannyasin). Fin da subito la città fu abitata da centinaia di seguaci di Rajneesh, provenienti da tutto il mondo occidentale, che si guadagnavano da vivere facendo piccoli lavoretti per sostenere la comunità. Dai tempi di Pune però qualcosa era cambiato: Rajneesh aveva smesso di parlare in pubblico. Il suo silenzio durò fino al 1985. Il suo unico contatto con la comunità era una sfilata di alcuni centinaia di metri che faceva ogni giorno a bordo di una delle sue Rolls-Royce (ne possedeva 93).
Il trasferimento della comunità sannyasin a Wasco non fu indolore. I quaranta abitanti di Antelope, il paese più vicino a Rajneeshpuram, soprattutto pensionati, persone semplici, religiose e dalle idee conservatrici, si attivarono da subito per contrastare quella che consideravano un’invasione della loro contea. Riuscirono ad attirare le attenzioni delle autorità locali, che iniziarono ad indagare se il Rajneeshpuram fosse stato costruito senza rispettare i vincoli ambientali, ma Sheela e i suoi collaboratori reagirono duramente: iniziarono a comportarsi in modo ostile con i residenti e comprarono quante più case possibili ad Antelope, convincendo molti degli abitanti a trasferirsi altrove. Il bar del paese, l’unico posto di ritrovo dei vecchi abitanti, fu comprato e sostituito con un ristorante per sannyasin.
Nel 1982 era chiaro che i sannyasin erano in maggioranza e avrebbero vinto le successive elezioni, quindi gli abitanti rimasti di Antelope indissero un referendum per sciogliere la città per evitare di essere assorbiti dai sannyasin. Una vecchia legge dell’Oregon, però, permetteva a chiunque fosse residente nello stato di partecipare a tutte le elezioni, anche quelle locali. I sannyasin americani votarono in massa al referendum e sconfissero i vecchi abitanti. Il consiglio comunale di Antelope divenne controllato dai sannyasin, che cambiarono da subito il nome della città in Rajneesh e rinominarono le sue vie. Un’oscura comunità religiosa nata in India ma frequentata soprattutto da occidentali, guidata da un bizzarro santone muto e collezionista di Rolls Royce, si era presa una città americana.
Nel frattempo, soprattutto grazie alla riluttanza di Rajneesh ad apparire in pubblico, Sheela diventò il capo e portavoce della comunità. Grazie al suo carisma e al suo inglese partecipò a moltissime trasmissioni tv locali e nazionali per difendere i sannyasin, anche con una certa efficacia. In una memorabile intervista a una tv australiana, ad esempio, litigò per tutto il tempo col giornalista, concludendo l’intervista augurando «buona fortuna, a te e ai tuoi papponi».
Quella dove abitava Rajneesh non era l’unica comunità sannyasin nel mondo. All’inizio degli anni Ottanta si diffusero in tutta Europa: questa foto, per esempio, è stata scattata nel 1981 a Margarethenried, in Germania.
A Wasco, però, le ostilità non si fermarono. Nel 1983 qualcuno piazzò una bomba all’Hotel Rajneesh, un albergo di proprietà sannyasin a Portland, la città più grande dello stato. Nessuno si fece nulla, ma Sheela decise che il Rajneeshpuram era in pericolo e comprò centinaia di armi per difendere la comunità. I sannyasin iniziarono dei programmi di addestramento militare, convinti che prima o poi le autorità statali avrebbero attaccato la comunità. Fu in quel momento che i leader della comunità decisero di alzare il livello dello scontro: per ottenere maggiore peso politico, e magari interrompere le indagini locali nei loro confronti, decisero che avrebbero provato a vincere le elezioni della contea, previste per il 1984. Fu forse la scelta che causò la fine del Rajneeshpuram.
La strategia di Sheela prevedeva due passaggi. Per prima cosa, il Rajneeshpuram era grande – ci abitavano migliaia di persone – ma non così popolato da condizionare le elezioni dell’intera contea. Serviva un piano per abbassare drasticamente l’affluenza alle elezioni.
In un locale nascosto del Rajneeshpuram era stato installato un piccolo laboratorio chimico. Al suo interno un’ex infermiera di nome Diane Onang – che fra i sannyasin si faceva chiamare Ma Anand Puja – era riuscita a ricreare il batterio della salmonella, un germe che si può trovare in alcuni cibi e provoca infezioni all’intestino. L’obiettivo era contaminare il più ampio numero di persone nei giorni immediatamente precedenti al voto, in modo da impedir loro di presentarsi ai seggi. Un’operazione del genere però andava sperimentata su scala più piccola: un anno fa l’ha descritta sull’Oregonian il giornalista Les Zaitz, che per anni si è occupato del Rajneeshpuram.
In quei mesi, [i sannyasin] furono mandati a diffondere il batterio a The Dalles, la capitale della contea. Inizialmente speravano di infettare i funzionari pubblici per strada, ma poi cambiarono piano e presero di mira i comuni cittadini. Swami Krishna Deva, il sindaco del Rajneeshpuram, sparse il liquido sintetizzato da Puja nel bagno degli uomini al tribunale di The Dalles. Alma Peralta, conosciuta come Ma Dhyan Yogini, andò in città con una fiala nella borsa. Incrociò il comizio di un politico locale e si sedette ad ascoltarlo. Poi si versò il liquido della fiala sulle mani e strinse la mano a un anziano signore seduto accanto a lei. Poi riuscì ad entrare in un ospizio, ma il suo piano di contaminare il cibo fu rovinato da un inserviente sospettoso. Anche Sheela fece la sua parte: portò cinque-sei sannyasin, compresa Puja, in un supermercato di The Dalles. Arrivati sul posto, disse loro: «divertiamoci un po’».
Il piano non andò a buon fine, e Sheela e i suoi collaboratori decisero allora di prendere di mira i ristoranti di The Dalles. Ma Anand Puja girò vari ristoranti versando il liquido con la salmonella nei buffet delle insalate. Centinaia di persone furono contaminate e finirono al pronto soccorso con sintomi di nausea, diarrea e affaticamento. Ancora oggi qualcuno lo considera l’attacco batteriologico più ampio mai avvenuto negli Stati Uniti. Ai tempi però non c’erano prove per accusare i sannyasin, e un funzionario statale decise che la colpa era stata della scarsa igiene nelle cucine dei ristoranti.
Grazie a un’epidemia di salmonella, insomma, l’affluenza alle elezioni del 1984 poteva essere abbassata: ma i soli voti degli abitanti del Rajneeshpuram non erano ancora sufficienti ad assicurarsi la maggioranza. Sheela si inventò un altro piano: affittò dei pullman e mandò dei sannyasin in giro per le città americane a invitare i senzatetto ad unirsi al Rajneeshpuram. Sheela contava che le leggi molto morbide dell’Oregon consentissero di iscrivere nei registri elettorali i nuovi arrivati, ma con una procedura d’urgenza la contea impedì la registrazione. I senzatetto rimasero ad abitare con i sannyasin e ci furono parecchie difficoltà di integrazione: molti di loro avevano problemi di tossicodipendenza o malattie mentali, e per non creare troppi disagi dormivano in tende separate dalla comunità. Una sera in cui i sannyasin li videro particolarmente agitati, indissero un party e mischiarono del sonnifero nelle birre.
La situazione di Sheela era sempre più compromessa: il suo piano per vincere le elezioni era fallito, la comunità era sempre meno unita – anche per via dei nuovi arrivati – ma soprattutto Rajneesh aveva iniziato a circondarsi di gente molto diversa rispetto ai primi sannyasin. Molti del suo nuovo circolo ristretto erano benestanti signori statunitensi: la più visibile di loro, Francoise Ruddy, era l’ex moglie del produttore di Hollywood Albert S. Ruddy, che fra le altre cose aveva lavorato al Padrino.
Gli ultimi mesi di Sheela nel Rajneeshpuram furono molto difficili: a causa delle crescenti tensioni all’interno e all’esterno della comunità – dove all’indagine per abuso edilizio se ne era aggiunta un’altra per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina – diventò sempre più sospettosa e paranoica. A un certo punto organizzò un piano per uccidere l’avvocato federale per l’Oregon, Charles Turner, e il procuratore generale Dave Frohnmayer, che stavano indagando su di loro. Infine, mandò una sua collaboratrice a uccidere il nuovo medico personale di Rajneesh, marito di Ruddy. Il tentativo fallì. Poco dopo Sheela radunò i suoi collaboratori e fuggì a bordo di un aereo. Era il maggio del 1985.
Il cerchio intorno a Rajneesh si strinse ancora di più. Un po’ a sorpresa, poco dopo la fuga di Sheela riprese a parlare e la accusò di tutte le macchinazioni degli ultimi anni. Poi, in una serie di discorsi, proclamò che la sua dottrina non doveva essere racchiusa in una religione e ordinò che fossero bruciati tutti i suoi libri che si trovavano nel Rajneeshpuram, circa cinquemila.
Il 23 ottobre 1985, una giuria federale accusò lui e altri leader della comunità di avere violato le leggi sull’immigrazione: fra le altre cose fu accusato di avere obbligato i sannyasin americani a sposare dei membri stranieri, per agevolare il loro soggiorno negli Stati Uniti. Il 28 ottobre Rajneesh e alcuni dei suoi collaboratori provarono a scappare su un aereo privato: sembra che fossero diretti alle Bermuda, uno dei rari paesi dove non sarebbe stata possibile l’estradizione. Poche ore dopo fu arrestato in North Carolina, dove l’aereo si era fermato per fare rifornimento. Nel giro di tre settimane in cui venne frequentemente trasferito da un carcere all’altro, Rajneesh patteggiò una sentenza di dieci anni – poi sospesa – e l’obbligo di non tornare negli Stati Uniti prima di cinque anni. Era tutto finito.
Rajneesh tornò in India e nel 1987 si stabilì definitivamente a Pune, dove riprese a parlare ogni giorno ai suoi discepoli. Fu in quegli anni che iniziò a farsi chiamare Osho, una parola di origine sanscrita che significa “maestro”. Morì nel 1990 a 58 anni, e fu sepolto a Pune. Sulla sua tomba si legge: «Osho / mai nato / mai morto / ha soltanto visitato il pianeta Terra fra l’11 dicembre 1931 e il 19 gennaio 1990».
Sheela fu condannata a 20 anni di carcere per vari crimini, ma è uscita da una prigione federale nel dicembre del 1988. Oggi vive in Svizzera, dove lavora in una comunità per disabili. Dopo essere tornato brevemente di proprietà dello stato, il terreno del Rajneeshpuram fu venduto al costruttore Dennis R. Washington, che nel 1996 lo ha donato all’organizzazione giovanile evangelica Young Life. Oggi si chiama Washington Family Ranch, e d’estate ospita campi per giovani.
Anziché diminuire, la fama di Osho è aumentata dopo la sua morte. Alcuni “centri di meditazione” seguono ancora la sua dottrina, anche in Italia. I libri con i suoi insegnamenti vendono ancora parecchio – in Italia li pubblica Mondadori – e una fondazione organizza corsi ed eventi legati alla dottrina sannyasin. Il Rajneeshpuram viene considerato una spiacevole parentesi nella sua storia personale.