La Spagna contro i suoi rapper
Negli ultimi mesi diversi rapper spagnoli sono stati condannati al carcere per incitamento al terrorismo e insulto alla Corona, tra le critiche
L’8 aprile scorso è stato diffuso su YouTube il video “Los Borbones son unos Ladrones”, “I Borbone sono dei ladri”, girato nell’ex carcere Modelo di Barcellona, che di recente è stato convertito a spazio aperto al pubblico. La canzone, cantata da una ventina di rapper spagnoli, contiene versi molto duri contro i Borbone, la casa reale spagnola, e contro lo Stato, accusato di limitare la libertà di espressione e di essere una continuazione del regime fascista di Francisco Franco. I versi sono cantati sia in catalano che in spagnolo e sono stati diffusi per protestare contro alcune sentenze molto controverse e discusse: cioè le condanne al carcere per diversi rapper spagnoli, accusati di incitamento al terrorismo, insulti alla Corona e alle istituzioni dello stato.
La storia delle condanne ai rapper sta provocando da settimane un ampio dibattito tra forze politiche e opinionisti spagnoli, in un momento nel quale la giustizia è molto sotto pressione per la crisi catalana e i processi contro i leader indipendentisti, tra cui l’ex presidente Carles Puigdemont. Secondo alcuni, tra cui i rapper condannati e diversi indipendentisti catalani, le sentenze sarebbero parte di una strategia per eliminare il dissenso, elaborata da presunte persone e forze di estrema destra ancora presenti nelle istituzioni statali e che sarebbero sopravvissute alla fine del regime franchista. Secondo altri, la linea dura adottata dal sistema giudiziario spagnolo sarebbe il risultato di un complesso insieme di fattori politici e legali, collegati per lo più al difficile passato della Spagna con il terrorismo interno, in particolare con ETA, gruppo basco che nei suoi 40 anni di attività uccise più di 800 persone.
I guai giudiziari per i rapper spagnoli sono cominciati lo scorso anno, con la condanna a un anno di carcere per César Strawberry, il cantante della band metal-rap Def con Dos. Strawberry, il cui vero nome è César Montaña Lehmann, è stato condannato per avere twittato una serie di battute sul terrorismo e sul re spagnolo. A dicembre è arrivata la sentenza contro diversi membri del gruppo hip hop “La Insurgencia”, condannati a due anni e un giorno di carcere per incitamento al terrorismo (il fatto che la condanna superasse i due anni di carcere ha impedito la sospensione della pena). Più di recente sono stati condannati al carcere altri due rapper: Valtònyc (Josep Miquel Arenas Beltrán, il suo vero nome), originario di Mallorca e condannato a tre anni e mezzo di carcere per incitamento al terrorismo, insulto al re di Spagna e minacce a un politico di estrema destra; e Pablo Hasél (Pablo Rivadulla Duró, il suo vero nome), comunista e sostenitore dell’indipendenza catalana, condannato per gli stessi reati e per avere insultato le istituzioni statali spagnole.
Tra le altre cose, Hasél aveva fatto diversi tweet offensivi contro la polizia e aveva pubblicato una fotografia di Victoria Gómez, che faceva parte del gruppo terroristico marxista GRAPO, oggi scomparso, il quale tra il 1975 e il 2006 rivendicò più di 80 omicidi. A fianco della foto di Gómez, Hasél aveva scritto: «Le manifestazioni sono necessarie ma non sufficienti, appoggiamo quelli che vanno oltre». Come prova contro di lui, l’accusa aveva portato anche il video della canzone “Juan Carlos el Bobón”, nella quale Hasél se la prendeva soprattutto con re Juan Carlos I e con il governo spagnolo, accusato di avere legami con la dittatura di Franco.
La canzone diffusa l’8 aprile e cantata nell’ex carcere di Barcellona riprende invece i versi di una canzone di Valtònyc, “No al borbó”, anch’essa incentrata sulle critiche alla monarchia spagnola.
Le condanne contro i rapper spagnoli hanno provocato parecchie reazioni nel mondo della politica e della cultura, e hanno alimentato le critiche contro il sistema giudiziario spagnolo già sotto pressione per i processi contro gli indipendentisti catalani. La storia è stata ripresa anche da diversi giornali internazionali, tra cui il Washington Post, che l’ha pubblicata come prima notizia della sua sezione “internazionale” nell’edizione del 19 marzo.
“¿A la cárcel por cantar?” #MarcaEspaña pic.twitter.com/Vzc7EVhuWI
— Beatriz Navarro (@beanavarro) March 19, 2018
Il governo spagnolo ha mantenuto le distanze dai casi che hanno coinvolto i rapper, ma il ministro degli Interni Juan Ignacio Zoido ha espresso il suo appoggio per la condanna di Valtònyc, dicendo: «Dobbiamo condannare l’intolleranza. Per questa ragione abbiamo una serie di armi legali. E alla fine è l’istituzione competente che deve decidere». A favore, tra gli altri, si è espressa anche la principale associazione dei magistrati spagnoli, di orientamento conservatore, e l’Associazione delle vittime del terrorismo (AVT), un’influente organizzazione che raggruppa i familiari delle persone uccise dal terrorismo e che riceve finanziamenti annuali dal governo spagnolo. Antonio Guerrero, avvocato del gruppo, ha detto: «Il diritto alla libertà di espressione, che è nella nostra Costituzione, come tutti i diritti fondamentali, ha dei limiti. Nessun diritto fondamentale è assoluto».
Non tutti però sono d’accordo.
Le condanne sono state criticate dai principali partiti di sinistra spagnoli, tra cui Podemos e il Partito Socialista (PSOE), che hanno accusato il Partito Popolare (PP), al governo in Spagna da diversi anni, di avere promosso una “regressione delle libertà civili”. José Luis Ramírez, magistrato spagnolo e membro dell’associazione progressista Giudici per la democrazia, ha spiegato a Politico che da molti anni in Spagna si dà priorità alla lotta al terrorismo e ai crimini d’odio rispetto alla tutela delle libertà personali. Ramírez ha detto: «[In Spagna] non è necessario provare che l’espressione in questione potrebbe incitare al compimento di un crimine. Solo il fatto che ci sia una cattiva intenzione è sufficiente per la condanna. L’asticella è bassa. Si dovrebbe richiedere di più». E ha aggiunto: «Anche le espressioni contro la polizia e le altre istituzioni statali sono considerate “hate speech”. Non hanno niente a che fare con l’origine del concetto di “hate speech”, che era inteso per proteggere i gruppi vulnerabili. Ma ora è una categoria che vuole proteggere lo stato ed è sbagliato».