Le false confessioni di stato in Cina
Vengono spesso organizzate e trasmesse dalla tv governativa, per scoraggiare oppositori politici e attivisti per i diritti civili
A volte la televisione centrale cinese, CCTV, trasmette un format piuttosto strano: video di persone, spesso attivisti per i diritti umani, che confessano davanti a una telecamera di aver compiuto crimini o altre cose disdicevoli. Un report (PDF) diffuso da Safeguard Defenders, una ong che si occupa di diritti umani in Asia, sostiene che queste confessioni siano spesso estorte con la forza e prima di un regolare processo per accertare i crimini di cui sono accusati i protagonisti.
Il report prende in esame 45 casi avvenuti fra il 2013 e il 2018. Più della metà, fa notare il New York Times, riguarda «avvocati, giornalisti e persone che promuovono il rispetto dei diritti umani in Cina». Safeguard Defenders è riuscita a parlare con dodici persone filmate, che hanno confermato che i video sono una sostanziale messinscena. RSDL Monitor, un’altra ong che si occupa dei rapimenti di stato in Cina, ha sintetizzato così il rapporto di Safeguard Defenders:
Gli intervistati hanno raccontato che a capo delle confessioni c’era la polizia, che veste in un certo modo il protagonista, gli scrive quello che deve dire e lo costringe a imparare a memoria il testo. La polizia dà anche istruzioni su come recitarlo – in un caso, a una delle persone è stato detto di piangere – e ordina di rigirare alcune scene quando non è soddisfatta del risultato. Un intervistato ha raccontato di aver passato sette ore a registrare una confessione di soli pochi minuti; un altro è stato drogato e chiuso in una gabbia mentre una telecamera lo riprendeva attraverso le sbarre.
Video del genere sono realizzati anche in Iran, ma non sono nuovi neppure per la Cina. Il Guardian ricorda che fra il 1966 e il 1976, gli anni della cosiddetta “Rivoluzione culturale” promossa da Mao Zedong, gli oppositori politici venivano «fatti sfilare per le strade e costretti a confessare i loro presunti crimini». In questi anni le associazioni per la libertà di stampa hanno denunciato più volte gli arresti di centinaia di avvocati e attivisti per i diritti umani sotto la presidenza di Xi Jinping, iniziata nel 2012.
Il caso più famoso è quello di Gui Minhai, un libraio svedese di origini cinesi rapito in Thailandia nel 2015 per ragioni misteriose, e finora apparso in tre video di confessioni. Nel frattempo Gui è stato rilasciato e poi arrestato di nuovo dalle autorità cinesi. Nell’ultimo video trasmesso da CCTV, Gui ha bizzarramente accusato il governo svedese di usarlo come strumento di propaganda. Una delle figlie di Gui che sta facendo campagna per il suo rilascio ha raccontato a Safeguard Defenders che guardare i video in cui suo padre confessa cose inesistenti «è il genere di cose che nessuno dovrebbe mai sperimentare».