Forse i vichinghi usavano cristalli al posto delle bussole
Si può fare, sfruttando la polarizzazione della luce, e spiegherebbe come i vichinghi arrivarono in America del Nord
Per molto tempo gli storici si sono interrogati su come facessero i vichinghi a orientarsi nelle loro esplorazioni dei mari settentrionali, grazie alle quali nel decimo secolo arrivarono in Islanda, in Groenlandia e sull’isola di Terranova, nell’attuale Canada. Quelli che dovettero attraversare sono mari dove spesso c’è brutto tempo e il cielo è coperto, e dove quindi è difficile distinguere i punti cardinali. Non si poteva usare la bussola solare, una specie di meridiana che però funziona solo con cielo sereno, e le bussole magnetiche sarebbero arrivate dalla Cina in Europa solo duecento anni dopo. Di come si orientassero i vichinghi in mare si sta riparlando in questi giorni, perché secondo uno studio pubblicato all’inizio di aprile sulla rivista Royal Society Open Science ci sono buone ragioni per pensare che usassero dei cristalli.
Non si tratta di una teoria nuova: fu formulata per la prima volta nel 1967 dall’archeologo danese Thorkild Ramskou ed è anche illustrata nella serie tv Vikings. Ramskou ipotizzò che i navigatori vichinghi usassero dei cristalli per orientarsi perché nelle saghe islandesi si parla di sólarsteinn, letteralmente “pietre del sole”, che permettevano di localizzare la posizione del sole quando il cielo era coperto: secondo Ramskou queste pietre non erano oggetti magici, bensì cristalli, e permettevano di capire dove fosse il sole grazie a due fenomeni fisici, la polarizzazione della luce e la birifrangenza dei cristalli.
La polarizzazione è una caratteristica della luce abbastanza difficile da spiegare, per farlo davvero bene servirebbero delle equazioni. Per averne un’idea intuitiva, sappiate che più una fonte luminosa emette luce in un’unica direzione – come fa un laser – più la luce è polarizzata. Tutta la luce che vediamo ha un certo grado di polarizzazione: quella solare, nonostante sia diffusa, ce l’ha perché quando i raggi incontrano le particelle dell’atmosfera vengono deviate verso particolari direzioni. La birifrangenza invece è una proprietà di alcuni mezzi trasparenti che fa sì che quando un raggio di luce colpisce la loro superficie, si divida in due, diretti in due direzioni diverse. Questo succede per tutte le facce del cristallo tranne una, quella che i fisici chiamano “dell’asse ottico o asse di simmetria principale del cristallo”. Tutto questo succede per via della struttura interna dei cristalli: non tutte le loro facce sono uguali. Tra i cristalli che hanno questa proprietà c’è lo spato d’Islanda, o calcite ottica, che come suggerisce il nome poteva essere trovato in un territorio abitato dai vichinghi.
Per via di queste proprietà della luce e dei cristalli, questi possono essere usati per determinare dove si trovi il sole in una giornata di nebbia o con cielo molto coperto. Per farlo è necessario innanzitutto capire quale sia la faccia dell’asse ottico del proprio cristallo – lo si fa ad esempio in un giorno senza nuvole – e disegnarci sopra un segno ben visibile, ad esempio un pallino nero fatto con il carbone. Dopodiché nei giorni di nebbia bisogna rivolgere la faccia dell’asse ottico verso la parte più luminosa del cielo, quella da cui si pensa provenga la luce del sole. Solo quando questa faccia si trova in direzione perpendicolare rispetto ai raggi provenienti dal sole il segno disegnato sulla sua superficie e il suo riflesso sulla faccia opposta sono sovrapposti.
In questo video, a partire dal minuto 1:31, un’animazione spiega come si possano usare i cristalli per capire dove si trovi il sole quando il cielo è coperto, in inglese:
In quest’altro video potete vedere un’applicazione del principio, a partire dal minuto 4:48:
Dimostrare che i vichinghi usassero questo metodo però non è facile perché nelle loro navi e nei loro insediamenti non sono mai stati trovati dei cristalli che avrebbero potuto essere usati in questo modo. L’unico ritrovamento che alla lontana sosterrebbe la teoria di Ramskou è quello di un cristallo di calcite trovato nel relitto di una nave da guerra britannica del sedicesimo secolo: secondo gli studiosi che lo hanno analizzato è possibile che venisse usato come strumento di navigazione.
In assenza di prove dirette, lo studio pubblicato sulla Royal Society Open Science ha cercato di capire se, nel caso in cui i vichinghi avessero davvero avuto accesso a cristalli birifrangenti e avessero capito come usarli per determinare la posizione del sole in un giorno di nebbia, sarebbero davvero stati in grado di usarli per arrivare in Groenlandia. Si tratta di uno studio basato su un modello statistico, che risponde alla domanda: qual era la probabilità che i vichinghi raggiungessero la Groenlandia controllando la posizione del sole con un cristallo e regolando la propria rotta di conseguenza ogni tre ore di navigazione? La risposta trovata dagli autori dello studio, che sono i fisici ungheresi Dénes Szás e Gábor Horváth, è che le probabilità sono superiori al 92 per cento. Lo hanno stabilito facendo mille diverse simulazioni computazionali di un viaggio di tre settimane dalla Norvegia alla Groenlandia con diverse situazioni di cielo coperto e in due diversi periodi dell’anno: subito dopo l’equinozio di primavera e subito dopo il solstizio d’estate.
Secondo Szás e Horváth ora i risultati delle simulazioni fatte al computer dovrebbero essere confermati da viaggi reali: vorrebbero provare a navigare dalla Norvegia alla Groenlandia usando solo cristalli e bussole solari.