L’attacco chimico a Douma c’è stato davvero
Le testimonianze, i video e le immagini di quello che è successo lo scorso 7 aprile, e che la Russia e Assad sostengono sia solo una messinscena dei ribelli e dei loro alleati
di Elena Zacchetti
La sera di sabato 7 aprile, cinque giorni fa, i siti di news di mezzo mondo hanno cominciato a dare conto di una notizia che stava arrivando dalla Siria: a Douma, nella periferia di Damasco, molte persone erano state uccise a causa di un attacco aereo che sembrava essere stato compiuto usando un qualche tipo di sostanza chimica. Nelle ore successive sono stati pubblicati i primi video e le prime foto che dicevano di mostrare i corpi di molte persone – tra cui diversi bambini – uno di fianco all’altro in un edificio della città distrutto dai bombardamenti. Gli attivisti siriani anti-governativi hanno accusato il regime del presidente Bashar al Assad di essere responsabile del presunto attacco chimico, l’ennesimo della guerra siriana. Assad ha negato qualsiasi responsabilità, e lo stesso ha fatto la Russia, sua alleata.
La notizia dell’attacco ha fatto il giro del mondo e ha provocato la reazione di molti paesi occidentali. Il presidente americano Donald Trump ha annunciato che gli Stati Uniti avrebbero bombardato la Siria come ritorsione per il presunto attacco chimico, anche se per il momento non si hanno altri dettagli. Negli ultimi giorni, però, il governo russo e alcuni commentatori hanno messo in dubbio l’esistenza stessa dell’attacco chimico. Hanno sostenuto che la notizia fosse stata diffusa per ragioni politiche, cioè per screditare il regime di Assad e per dare una ragione agli Stati Uniti e ad alcuni paesi europei per attaccare la Siria e confrontarsi con la Russia. Questa interpretazione, nonostante sia stata ripresa anche da diversi siti online, non ha trovato finora alcun fondamento, ad eccezione delle dichiarazioni del governo russo, il quale però già in passato aveva mentito ripetutamente su questioni simili.
Quindi ripartiamo dall’inizio: cos’è successo a Douma la sera del 7 aprile? C’è stato o no un bombardamento chimico? E se sì, si possono attribuire responsabilità certe?
Cos’è Douma
Douma è la città principale di Ghouta orientale, un’area alla periferia occidentale di Damasco che per anni è stata controllata dai ribelli. Qualche settimana fa il regime siriano, con l’aiuto dei suoi alleati, aveva cominciato a bombardare intensamente Ghouta orientale, con l’obiettivo di riconquistarla e ridurre a zero la presenza dei ribelli anti-governativi in quella zona. Pezzo a pezzo le forze di Assad avevano ripreso il controllo di parti di Ghouta orientale, in molti casi stringendo accordi con i gruppi ribelli locali: gli accordi prevedevano la resa in cambio del trasferimento dei combattenti e dei civili verso altre aree della Siria fuori dal controllo di Assad. A Douma però le cose erano andate diversamente. Il governo non era riuscito a trovare un accordo con Jaish al Islam, il gruppo di ribelli presente in città, e i colloqui tra le parti erano naufragati venerdì 6 aprile, il giorno precedente al presunto attacco chimico. L’8 aprile, dopo il bombardamento, i ribelli si sono arresi.
La ricostruzione dell’attacco fatta da Bellingcat, tra gli altri
La ricostruzione più precisa degli eventi del 7 aprile è stata fatta da Bellingcat, il sito di giornalismo investigativo fondato dal britannico Eliot Higgins. Mettendo insieme documenti diversi – tra cui quelli dell’ong britannica Syrian Network for Human Rights e della rete di attivisti di opposizione Violation Documentation Center –, Bellingcat ha scritto che il 7 aprile a Douma ci sono stati due attacchi chimici. Il primo è stato compiuto alle 16 ora locale vicino al panificio Sa’da di via Omar ben al Khattab, nel quale sono state ferite 15 persone; il secondo alle 19.30 vicino a piazza al Shuhada, nel quale sono state uccise almeno 55 persone e ferite altre centinaia. Prima dei due attacchi, ha detto il Violation Documentation Center, c’era stato anche un bombardamento contro la sede della Mezzaluna Rossa locale.
Nelle ore successive al secondo attacco, quello delle 19.30, sono stati pubblicati su Internet immagini e video molto crudi con le immagini dei corpi delle persone uccise. Uno dei video è stato pubblicato alle 00.20 ora locale dell’8 aprile e mostra i corpi sul pavimento di quello che sembra essere il piano terra di un edificio residenziale (il video è molto crudo: si può vedere qui). Un altro video, altrettanto crudo (qui il link), è stato pubblicato alle 03.46 dell’8 aprile e mostra altri corpi posizionati al secondo piano e sulle scale dello stesso edificio. Si può dire con certezza che sia lo stesso edificio perché in entrambi i video, e in molti altri postati sui social network, si vedono alcune cose particolari: una bici con un cestino bianco, una signora anziana vicino all’ingresso dell’edificio con un solo calzino nero tirato sul polpaccio e il corpo di un bambino con una maglietta a righe bianche e rosse. Nei due video si contano 34 corpi: 23 al piano terra, 10 al secondo piano e uno sulle scale tra il secondo e il terzo piano (non ci sono solo questi due video: solo il New York Times, per esempio, ha visionato una ventina di video girati sul posto dell’attacco).
Nello stesso edificio, vicino a piazza al Shuhada, è stato inoltre trovato un contenitore di gas tossico. Il contenitore, di colore giallo, si può vedere in un video pubblicato dai Caschi Bianchi, organizzazione nata in Siria nel 2013 che ha come principale obiettivo quello di soccorrere i civili feriti nei bombardamenti e negli scontri: confrontando i palazzi che si vedono nel video con le immagini satellitari dell’area, ha scritto Bellingcat, è possibile confermare che il contenitore ha colpito il tetto dell’edificio dove sono stati trovati i corpi delle persone morte.
Important: video from 9 April, 7:02pm showing presence of chemical gas canister in Douma. Same location as video of casualties. Also same location that Russia visited reporting ‘no sign of chemical weapons’. pic.twitter.com/Sbz64cPi4w
— The White Helmets (@SyriaCivilDef) April 10, 2018
Il contenitore, inoltre, è simile a quelli che il regime siriano aveva già usato negli anni passati per compiere attacchi con bombe al cloro sulle zone controllate dai ribelli. Sembra essere stata uguale anche la modalità di sganciamento delle bombe, avvenuto tramite l’uso di elicotteri. Diversi abitanti di Douma citati dal New York Times hanno raccontato di avere sentito il rumore degli elicotteri poco prima dell’attacco. Sentry Syria, rete di osservatori che monitora i movimenti vicino alle maggiori basi aeree siriane, ha detto che due elicotteri Hip diretti verso sud ovest e provenienti dalla base aerea di Dumayr, a nord est di Damasco, sono stati visti andare verso Douma 30 minuti prima dell’attacco chimico delle 19.30. Due elicotteri Hip sono stati visti inoltre sopra Douma in prossimità del bombardamento. Non si può sapere con certezza se gli elicotteri avvistati nei due momenti fossero gli stessi.
I sintomi: di che sostanze stiamo parlando?
Subito dopo il secondo attacco, diverse persone hanno cominciato a mostrare sintomi mai osservati prima a Douma, hanno raccontato civili e personale medico locale: convulsioni, pupille a punta di spillo, bradicardie così estreme da garantire a malapena la sopravvivenza, schiuma alla bocca e al naso e in alcuni casi bruciature della cornea.
L’impressione che hanno avuto molti soccorritori e medici, alcuni dei quali hanno raccontato la loro esperienza a diversi giornali internazionali, è che l’attacco sia stato compiuto usando il cloro – una sostanza ampiamente impiegata dal regime di Assad contro i ribelli – ma anche qualcos’altro: una sostanza che provochi effetti simili al gas sarin – anch’esso già usato da Assad, anche se solo in poche occasioni – ma diverso dal sarin. Un medico di Douma che ha parlato con il Guardian ma ha voluto rimanere anonimo per ragioni di sicurezza, ha detto: «Qualcosa stava agendo sul sistema nervoso [dei pazienti]. Il cloro non lo fa. C’erano certamente chiari segni della presenza del cloro in alcune persone che abbiamo trattato, ma c’era anche qualcos’altro». Un rapporto dei Caschi Bianchi ha concluso che i morti e i feriti dell’attacco del 7 aprile sono stati esposti a «sostanze tossiche; molto probabilmente un organofosfato». Il dipartimento di Stato americano ha detto che i sintomi sono compatibili con un agente asfissiante e un agente nervino di qualche tipo.
Sarà difficile avere una conferma definitiva sulle sostanze tossiche usate nell’attacco. Un funzionario che si era già occupato in passato di analizzare le prove di altri attacchi chimici in Siria ha spiegato al Guardian che la presenza di agenti nervini nel sangue e nelle urine è riscontrabile per circa una settimana dall’intossicazione, forse poco più. Il problema è che la zona è ora completamente controllata dal regime siriano e dai russi, che giovedì hanno annunciato di avere preso il controllo completo di Douma; la Russia ha detto che gli osservatori dell’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche potranno visitare il sito dell’attacco, ma c’è il rischio che quando succederà sarà troppo tardi per rilevare qualsiasi prova.
Le versioni della Russia
Negli ultimi giorni la Russia ha cambiato più volte la sua versione su quanto successo a Douma. Lunedì, due giorni dopo l’attacco, i soldati russi sono entrati a Douma e hanno visitato lo stesso edificio filmato nei video dei corpi e del contenitore di gas tossico (qui il video della visita). Dopo l’ispezione, il governo ha pubblicato un comunicato sul sito del suo ministero della Difesa: «Oggi i rappresentanti del Centro di riconciliazione russo hanno esaminato le aree di Douma. In precedenza i Caschi Bianchi avevano parlato di uso di armi chimiche. I risultati dell’ispezione smentiscono tutte le ricostruzioni di uso di armi chimiche in città».
Mercoledì mattina il governo russo ha cambiato versione, o così è sembrato. Commentando l’ipotesi che gli Stati Uniti potessero attaccare il regime siriano come ritorsione per l’attacco del 7 aprile, la Russia ha suggerito che eventuali bombardamenti americani avrebbero potuto distruggere le prove di un presunto attacco chimico: è sembrato quindi che la Russia riconoscesse che fosse avvenuto un bombardamento chimico, e che accusasse gli Stati Uniti di voler nascondere qualcosa. Vale tenere a mente però che lo spazio aereo sopra Douma e dintorni è completamente controllato dalla Siria e dalla Russia: è impensabile che qualcuno abbia pilotato degli elicotteri sopra Douma e sganciato delle bombe senza l’autorizzazione del regime siriano o dei russi.
Mercoledì pomeriggio la Russia è tornata alla prima versione. Il generale russo Viktor Poznikhir ha detto che di recente le forze russe e siriane avevano sventato diversi tentativi dei ribelli di Ghouta orientale di inscenare attacchi chimici del regime. Quello del 7 aprile, ha aggiunto Poznikhir, è stato proprio questo: una grande messa in scena, secondo la Russia orchestrata dai Caschi Bianchi. Già in passato i Caschi Bianchi erano stati oggetto di una intensa campagna di disinformazione sostenuta tra gli altri dal governo russo.
https://twitter.com/michaeldweiss/status/984083152585895937
Venerdì il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha ribadito in conferenza stampa che l’attacco non c’è mai stato. Lavrov ha aggiunto di avere «prove indiscutibili» che sia stata tutta una messinscena organizzata da «agenti stranieri», ma non ha specificato né quali siano queste prove né chi siano gli agenti stranieri.
A cosa dobbiamo credere?
Per valutare la veridicità della versione russa vale la pena tenere a mente due cose. Prima: il governo russo e tutti i commentatori che lo hanno sostenuto non hanno fornito alcuna prova in grado di smentire la ricostruzione minuziosa fatta da Bellingcat e le testimonianze riprese da molte testate internazionali. L’unica prova portata a sostegno della tesi che dice che l’attacco non è mai avvenuto è la versione del Centro di riconciliazione russo e dei militari russi che hanno visitato l’edificio colpito a Douma. Non c’è altro. Seconda: la Russia ha mentito ripetutamente in passato su episodi simili. Dopo l’ultimo grande attacco chimico in Siria, quello compiuto nella provincia di Idlib nell’aprile 2017, il governo russo si era contraddetto più volte in maniera anche piuttosto goffa e aveva dato una versione che non stava in piedi (qui la storia completa).
Vale la pena ricordare anche un altro paio di cose. Alcuni dei commentatori che negli ultimi giorni hanno sostenuto la versione della Russia hanno suggerito che dietro a tutto potessero esserci gli Stati Uniti, che sarebbero stati d’accordo con i ribelli per avere una scusa per attaccare Assad. Nemmeno questa interpretazione però sta in piedi. Se avessero voluto, gli Stati Uniti avrebbero potuto attaccare Assad quando era più vulnerabile e non poteva contare sulla presenza fisica degli uomini e dei mezzi militari russi (la Russia è intervenuta in Siria nel novembre 2015). Il fatto di essersi comportati diversamente, concentrandosi sulla guerra contro l’ISIS, è stata una scelta precisa e calcolata, non una condizione dettata dalla mancanza di opportunità o risorse. Anzi, l’impressione è che l’attacco del 7 aprile stia portando solo preoccupazioni e nuovi guai all’amministrazione americana, come è spiegato meglio qui.
La seconda cosa utile da tenere a mente è che un attacco chimico compiuto dal regime di Assad non sarebbe una cosa nuova nella guerra in Siria, ma la continuazione di una strategia precisa iniziata diverso tempo fa: colpire duramente la popolazione civile nelle aree controllate dai ribelli, compiere attacchi così brutali da rendere impossibile continuare a vivere in queste aree, costringere gli abitanti ad andarsene e i ribelli ad arrendersi, riprendere il controllo dei territori.
Quindi, per tirare le conclusioni, le opzioni sembrano essere due: o il 7 aprile c’è stato effettivamente un attacco chimico a Douma, l’ultima città dell’area di Ghouta orientale che al momento del bombardamento era ancora controllata dai ribelli, oppure centinaia di persone bombardate intensamente da settimane, costrette per lo più a vivere nei bunker sottoterra e sfinite da sette anni di guerra hanno messo in piedi un’incredibile messinscena, fregando mezzo mondo.