Cosa aspettarsi dalle nuove consultazioni
Cominceranno giovedì mattina, ma è difficile che ne esca qualcosa: Lega e Movimento 5 Stelle non riescono ad accordarsi e il PD non vuole saperne di entrare in un governo
Giovedì mattina comincerà il secondo giro di consultazioni, gli incontri del Presidente della Repubblica con le forze parlamentari e le cariche istituzionali per cercare di trovare una maggioranza in grado di dare la fiducia a un nuovo governo. Il momento più importante sarà giovedì pomeriggio, quando il Presidente della Repubblica incontrerà le forze politiche più numerose in Parlamento: PD, centrodestra e Movimento 5 Stelle. Una settimana fa le consultazioni avevano fallito nel trovare un qualsiasi tipo di accordo tra i vari partiti ed è molto probabile che la situazione si ripeta questa settimana. Lega e Movimento 5 Stelle, infatti, sono ancora lontani dall’aver raggiunto un accordo tra loro, mentre il PD al momento non è disposto a entrare a far parte di alcun governo.
#Quirinale – Il Presidente #Mattarella riprenderà il 12 aprile le #consultazioni per la formazione del nuovo Governo. Qui di seguito il calendario: pic.twitter.com/0IvrD2O80J
— Quirinale (@Quirinale) April 10, 2018
Rispetto alla scorsa settimana, il presidente Mattarella ha deciso di invertire l’ordine degli incontri. Domattina saranno ricevute al Quirinale le forze parlamentari più piccole: il gruppo Per le autonomie, i gruppi misti e Liberi e Uguali. Nel pomeriggio saranno ricevute le forze politiche principali. Prima il PD, poi il centrodestra e infine il Movimento 5 Stelle. I presidenti di Camera e Senato e il presidente della Repubblica emerito Giorgio Napolitano saranno invece ascoltati venerdì. Un’altra novità è rappresentata dal fatto che la coalizione di centrodestra presenterà un’unica delegazione di cui faranno parte esponenti di Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia (la settimana scorsa, invece, i tre partiti erano stati ricevuti separatamente).
La delegazione unita del centrodestra è considerata una sorta di messaggio politico destinato al Movimento 5 Stelle, il cui capo politico Luigi Di Maio ha più volte chiesto alla Lega di abbandonare i suoi alleati ed entrare a far parte di un governo di coalizione con il Movimento. Fino a questo momento, la Lega e il suo segretario Matteo Salvini si sono rifiutati di rompere l’unità della coalizione. La settimana scorsa, il capogruppo alla Camera della Lega e stretto consigliere di Salvini Giancarlo Giorgetti ha sottolineato con forza il concetto dicendo che la Lega ha con Forza Italia «un patto di sangue». Allo stesso tempo la Lega ha negato ogni possibilità di accordo con il PD.
Mercoledì mattina si è affacciata anche un’altra possibilità. Per la prima volta, Salvini ha detto che, in caso di mancato accordo, il centrodestra potrebbe tentare di farsi affidare un incarico e governare da solo. Significherebbe andare in Parlamento e cercare di ottenere la fiducia su un governo del solo centrodestra, magari grazie all’appoggio esterno di altre forze politiche o tramite la loro astensione. «L’extrema ratio è che ci facciamo carico di tutto noi, siamo pronti ad andare a governare anche da soli», ha detto Salvini questa mattina. Negli ultimi giorni diversi leader di Forza Italia avevano chiesto a Salvini di accettare un incarico o un pre-incarico da Mattarella, ma fino ad oggi il segretario della Lega aveva sempre escluso questa possibilità.
A parte queste due possibilità, l’unica altra strada per formare un governo è quindi quella di un accordo tra PD e Movimento 5 Stelle, ma anche questa strada sembra molto difficile da percorrere. Anche se alcuni leader del PD, come il ministro della Cultura Dario Franceschini, sono più aperti alla possibilità di entrare a far parte di un governo, tutti i dirigenti del partito hanno escluso la possibilità di formare una maggioranza con il Movimento 5 Stelle, come più volte chiesto da Luigi Di Maio. La linea del partito è stata confermata ieri durante un incontro dei gruppi parlamentari del PD.
Non è ancora chiaro cosa accadrà se anche questo giro di consultazioni dovesse fallire. Nella legislazione italiana non è prevista una durata massima della fase di consultazioni, che in passato è arrivata a durare anche più di due mesi. Se però non fosse possibile raggiungere alcun tipo di accordo, il presidente sarà costretto a sciogliere le camere e a indire nuove elezioni. In questo caso, la prima data utile per il voto sarebbe probabilmente il mese di ottobre. Quasi tutti però sono concordi nel dire che Mattarella non vede di buon occhio la possibilità di elezioni anticipate e che il presidente proverà tutte le strade possibili prima di rassegnarsi allo scioglimento delle camere.
Ad esempio, sia Repubblica che il Corriere della Sera ipotizzano che Mattarella potrebbe decidere affidare a un’altra figura politica il compito di svolgere ulteriori consultazioni, affidandogli quello che in gergo viene definito “mandato esplorativo”. Questa decisione è considerata un modo per “forzare la mano” alle forze politiche nel tentativo di superare i veti incrociati che al momento bloccano la possibilità di formare un governo.
Una “forzatura” ancora più drastica, e al momento piuttosto improbabile, ma comunque ipotizzata dai giornali, è quella di affidare l’incarico di formare un governo a una figura istituzionale, come la presidente del Senato Maria Elisabetta Alberti Casellati. La differenza tra affidare un “mandato esplorativo” e l’incarico di formare il governo è che nel primo caso il presidente seleziona una figura che, sostanzialmente, lo sostituisce nelle consultazioni per poi riferire se è in grado o meno di ottenere una maggioranza. Nel secondo, invece, il Presidente della Repubblica nomina direttamente il presidente del Consiglio che quindi forma un nuovo governo, che giura e tenta poi di ottenere la fiducia delle camere. Se non ci riesce, rimane in carica da dimissionario, con l’incarico di sbrigare gli affari correnti.
Nonostante l’attuale stallo politico, le scelte che ha a sua disposizione Matarella sono varie e numerose. La fase delle consultazioni, infatti, non è codificata da alcuna legge, ma si basa su un numero piuttosto ampio di consuetudini che si sono affermate nel corso del tempo. La Costituzione stabilisce soltanto che il Presidente della Repubblica nomina il presidente del Consiglio che poi, insieme al suo governo, chiede la fiducia alle camere. All’interno di questa cornice, il Presidente della Repubblica ha la possibilità di attuare soluzioni anche molto creative. Dopo le elezioni del 2013, ad esempio, quando l’allora segretario del PD Pier Luigi Bersani non riuscì a formare una maggioranza, il presidente Napolitano creò due commissioni formate da personaggi provenienti da tutti gli schieramenti politici con il compito di elaborare un programma di riforme condiviso che potesse servire da base per la formazione di un nuovo governo (diversi membri di quelle commissioni poi entrarono effettivamente a far parte del governo Letta).