C’è un’emergenza incidenti sul lavoro?
Per la prima volta in dieci anni il numero di incidenti in Italia è tornato ad aumentare, ma a guardare bene le statistiche si trovano dati inaspettati
Lo scorso 28 marzo intorno alle 13 e 30 c’è stata una forte esplosione a Livorno. Un serbatoio di solvente, nella zona del porto, è esploso, uccidendo i due operai che si trovavano al suo interno. Meno di una settimana dopo, il primo aprile, il giorno di Pasqua, c’è stata un’altra esplosione, questa volta in un serbatoio di mangime in provincia di Bergamo. Due operai che stavano lavorando nell’azienda sono morti. Il 4 aprile, altri due operai sono morti a Crotone, in Calabria, schiacciati dal muro che stavano cercando di mettere in sicurezza. Questa serie di incidenti che ha impressionato l’opinione pubblica è arrivata poche settimane dopo la pubblicazione degli ultimi dati ufficiali degli incidenti sul lavoro in Italia: nel 2017, per la prima volta da più un decennio, il numero di incidenti mortali è tornato ad aumentare.
I numeri
«Con la ripresa economica, sono tornati ad aumentare infortuni e morti sul lavoro e, secondo i dati INAIL, il trend, che per quasi 10 anni ha registrato una lieve ma costante diminuzione, sembra essersi arrestato», ha spiegato la settimana scorsa Franco Bettoni, presidente dell’Associazione nazionale lavoratori mutilati e invalidi del lavoro. I numeri a cui si riferisce Bettoni sono quelli pubblicati all’inizio dell’anno, che mostrano per la prima volta un incremento nel numero di morti sul lavoro: nel 2017 ce ne sono stati più di tre al giorno, per un totale di 1.115, un aumento del 1,1 per cento rispetto al 2016. Significa che l’anno scorso sono morte sul lavoro 11 persone in più rispetto al 2016.
Quasi tutti i giornali hanno parlato di “emergenza”, mentre i sindacati hanno diffuso comunicati duri e critici nei confronti delle misure prese dagli ultimi governi. Tra le cause che sono state additate per questa inversione di tendenza c’è stata la ripresa economica, che avrebbe portato ad assumere nuovo personale non sempre sufficientemente preparato; i macchinari usati dalle aziende, spesso vecchi di decenni e la cui sostituzione con apparecchi più nuovi e sicuri è stata rallentata dalla lunga recessione; l’aumento del precariato, che avrebbe portato in molti posti di lavoro giovani poco formati sui quali nessuno vuole investire in formazione e specialmente in formazione sulla sicurezza.
Altri puntano il dito contro quelli che spesso sono considerati problemi di lunga durata dell’economia italiana: la diffusione delle piccole e medie aziende (dove secondo l’INAIL si verificano l’83 per cento degli incidenti) in cui l’investimento sulla sicurezza di solito è molto inferiore rispetto alle grandi società. Una burocrazia sulla sicurezza pletorica e complessa, che spesso porta alla produzione di decine di moduli e certificazioni che fanno poco in concreto per prevenire gli incidenti. Infine, la diminuzione del personale addetto alla vigilanza sulla sicurezza che, come tutto il personale pubblico, ha subìto i tagli degli ultimi anni (complessivamente in dieci anni il numero di ispettori si è quasi dimezzato).
Si può parlare di emergenza?
Si può parlare di una vera e propria emergenza? Come spesso accade, la risposta non è semplice. Ogni incidente sul lavoro è di per sé molto grave, soprattutto se causa morti o feriti. Molto spesso questo genere di incidenti potrebbe essere evitato con maggiori controlli, una migliore formazione del personale e macchinari più nuovi e sicuri. È quindi preoccupante che il trend di diminuzione degli incidenti, che era in discesa da più di dieci anni, si sia arrestato, se non proprio invertito. A guardare bene i numeri, però, c’è anche di che attenuare almeno una parte delle preoccupazioni.
I dati dell’INAIL mostrano che il totale degli incidenti denunciati nel 2017 – inclusi anche quelli non mortali – è rimasto praticamente invariato rispetto al 2016: sono stati circa 635 mila, cioè 1.379 denunce in meno rispetto al 2016. Il calo risulterebbe ancora più drastico se non venissero contati i cosiddetti incidenti “in itinere”, cioè quelli che si verificano sul tragitto per andare al lavoro, che sono aumentati del 2,8 per cento (e che sono circa il 30 per cento di tutti gli infortuni in Italia). Quelli che invece si verificano sul luogo di lavoro sono scesi dello 0,7 per cento. Stessi numeri si trovano per quanto riguarda gli incidenti mortali: quelli in itinere sono aumentati del 5,2 per cento, mentre quelli durante il lavoro vero e proprio sono calati dello 0,4 per cento. In Europa le agenzie di statistica sono divise tra l’includere gli incidenti in itinere tra gli incidenti sul lavoro: l’Italia è uno dei pochi paesi ad adottare questa classificazione.
A questa andrebbe aggiunta anche un’altra considerazione. Il numero di incidenti mortali è, da un punto di vista statistico, “basso”: circa mille morti su decine di milioni di lavoratori. Sono quindi sufficienti pochi incidenti con un alto numero di morti per alterare le statistiche (come abbiamo visto, nel 2017 ci sono stati 11 morti sul lavoro in più rispetto all’anno precedente). E questo è proprio quello che sembra sia accaduto nel 2017, quando, scrive l’INAIL, si è verificato «un maggior numero di incidenti “plurimi”, che hanno cioè causato la morte di almeno due lavoratori». La valanga di Rigopiano, ad esempio, che il 18 gennaio travolse un hotel in Abruzzo, causò la morte di 29 persone, tra cui dieci dipendenti dell’albergo che per questa ragione sono stati considerati morti sul lavoro. Pochi giorni dopo, un elicottero impegnato nelle operazioni di soccorso si schiantò a Campo Felice, causando la morte di 9 persone, tutti considerati morti sul lavoro. Senza questi due incidenti, il numero di morti sul lavoro nel 2017, compresi quelli in itinere, sarebbe sceso, invece che aumentato.
Il confronto europeo
Per capire meglio quello che è successo con gli incidenti del lavoro in Italia del 2017, potrebbe essere utile fare un confronto con altri paesi d’Europa, tenendo conto però che non è semplice perché non tutti i paesi usano la stessa definizioni di incidente sul lavoro. Ad esempio alcuni, come abbiamo visto, non includono nel conto degli incidenti “in itinere”, mentre altri, come l’Italia, lo fanno.
Un altro problema è che non tutti i paesi hanno economie facili da comparare in questo ambito. Prendiamo per esempio un paese dove l’economia si basi su settori dove è relativamente pericoloso lavorare: industria pesante, meccanica ed edilizia. Questo fatto si rifletterà sul numero di incidenti che si verificano in quel paese. Ora immaginiamo un altro paese, con un’economia basata su settori a basso rischio, ad esempio il turismo. In questo caso la differenza nel numero di incidenti tra i due paesi non dovrebbe far pensare che uno è molto più preparato dell’altro sulla sicurezza: potrebbe essere semplicemente il riflesso del fatto che hanno due economie molto diverse.
Per questo Eurostat, l’agenzia di statistica europea, utilizza nei suoi confronti un dato particolare: il tasso di incidenti e di incidenti mortali “normalizzato”, quello cioè in cui viene conteggiato il peso delle diverse tipologie di attività economiche, in modo da ottenere numeri il più possibile comparabili tra loro. Guardando a questi dati si scopre più di una sorpresa.
Ad esempio, viene fuori che il tasso normalizzato di infortuni in Italia è più basso di quello di Francia, Spagna e Germania e in linea con quello dell’Unione Europea (sono però numeri abbastanza vecchi, che risalgono al 2014). Anche il tasso di incidenti mortali è in linea con la media europea e inferiore a quello di Francia e Spagna, ma superiore a quello della Germania. Possono sembrare dati incoraggianti, ma hanno anche una seconda lettura e cioè che in materia di incidenti e sicurezza sul lavoro circa metà dei paesi europei continua a fare meglio dell’Italia. Anche se l’Italia non è in fondo alle classifiche, non significa che non ci siano molti aspetti ancora migliorabili.
Purtroppo la sicurezza sul lavoro è un tema che viene affrontato raramente in maniera seria nel dibattito pubblico, dove di solito opinionisti e media si limitano a fare grandi titoli e denunce in occasione degli incidenti più gravi, senza approfondire. Qualcosa, comunque, è stato fatto, anche se indirettamente. Il grande piano di incentivi all’acquisto di nuovi macchinari, Industria 4.0, voluto dal governo di Paolo Gentiloni, ha in parte contribuito a un ricambio degli impianti con nuovi sistemi più avanzati e sicuri. Rimangono però ancora molti problemi, in particolare per quanto riguarda prevenzione e controlli, che vengono effettuati dai tecnici delle ASL e dagli ispettori del ministero del Lavoro. A causa del blocco del “turn over” degli ultimi anni, che ha impedito di rimpiazzare i dipendenti pubblici che andavano in pensione, gli ispettori addetti a verificare la sicurezza nel paese si sono dimezzati. Oggi, 4,4 milioni di imprese italiane devono essere vigilate da appena 3.500 ispettori.