Cosa sappiamo sull’autobomba scoppiata in Calabria
Un uomo incensurato è stato ucciso con un metodo che in Italia non si vedeva da anni: in passato aveva litigato con una famiglia vicina alla 'ndrangheta
Una persona è morta e un’altra è rimasta gravemente ferita nell’esplosione di un’autobomba nel piccolo comune di Limbadi, vicino a Vibo Valentia, in Calabria. A rimanere ucciso nell’esplosione, avvenuta ieri pomeriggio, è stato Matteo Vinci, rappresentante di medicinali di 42 anni incensurato ed ex candidato non eletto al comune con una lista civica. Suo padre, Francesco Vinci, 73 anni, è rimasto gravemente ferito nello scoppio e ora ha ustioni sul 20 per cento del corpo.
Erano anni che in Calabria – e anche nel resto d’Italia, a dire il vero – non veniva usata un’autobomba per uccidere qualcuno. Vibo Valentia è una zona dove è molto forte l’influenza della ‘ndrangheta, la mafia calabrese diventata negli ultimi anni l’organizzazione criminale italiana più ricca e potente. I Vinci non erano mai stati coinvolti in affari di mafia, ma in passato avevano avuto degli scontri per questioni di confini agricoli con i Mancuso, esponenti di un clan mafioso e proprietari di alcuni appezzamenti di terreno nel comune di Limbadi. Al momento però non è ancora chiaro chi sia il responsabile dell’attacco.
Ci sono volute alcune ore per capire che quello di ieri era stato un attentato. L’auto dei Vinci è a metano e in un primo tempo i soccorritori aveva pensato che l’esplosione fosse stata causata da un incidente. Poi però sono state trovate tracce di esplosivo: la bomba si trovava sotto il sedile del guidatore e probabilmente si è innescata nel momento in cui Matteo Vinci ha messo in moto l’automobile. L’esplosione, hanno detto i medici, gli ha fratturato le gambe, bloccandolo all’interno del veicolo che ha preso rapidamente fuoco. Il padre, Francesco, è rimasto ferito più lievemente ed è riuscito a scendere; ha fatto in tempo a chiamare i soccorsi e poi è svenuto. Il figlio è morto pochi istanti dopo per le ferite riportate.
I giornali scrivono che un attacco del genere è difficile da comprendere. In Calabria le autobombe sono state usate poche volte e in genere per uccidere personalità di spicco della criminalità organizzata. I Vinci, invece, erano incensurati e non sono mai stati sospettati di essere coinvolti in affari di ‘ndrangheta. In passato avevano avuto almeno in un’occasione uno scontro con i Mancuso, una famiglia molto importante nel mondo della criminalità organizzata calabrese. Il piccolo appezzamento di terra dei Vinci confina con una grande proprietà dei Mancuso e da anni le due famiglie hanno in corso una disputa sui confini, che a quanto pare è finita anche in tribunale. Nel 2014 tra le due famiglie scoppiò una rissa: Matteo Vinci e suo padre Francesco furono fermati insieme a Rosa Mancuso, sorella di due importanti boss della famiglia Mancuso, e al marito e alla figlia della stessa Mancuso.
Non è ancora chiaro se questo precedente abbia a che fare con l’esplosione dell’autobomba di ieri, ma per il momento le indagini sembrano muoversi in questa direzione. Nella notte, i carabinieri hanno perquisito l’abitazione di Rosa Mancuso e il marito della donna, Domenico Di Grillo, 71 anni, è stato arrestato perché trovato in possesso di un fucile che non aveva il permesso di possedere.