Come si smantella uno stato di polizia?
Ci sta provando l'Uzbekistan del presidente Shavkat Mirziyoyev, con risultati ridotti ma incoraggianti
Negli ultimi due anni l’Uzbekistan sta andando in direzione opposta rispetto al resto del mondo. In un periodo di generale rafforzamento dei regimi autoritari – Turchia, Filippine, Russia e Cambogia, tra gli altri – il nuovo presidente Shavkat Mirziyoyev ha avviato delle piccole ma significative aperture nel sistema politico e sociale del paese, adottando comportamenti meno rigidi verso gli oppositori e allentando il controllo dello stato sui media.
La cosa che più colpisce, però, è che Mirziyoyev ha cominciato a ridimensionare il ruolo dei potentissimi servizi segreti che hanno spadroneggiato durante gli anni della dittatura di Islam Karimov, quando l’Uzbekistan era uno dei paesi più autoritari e chiusi del mondo. Gli sforzi di Mirziyoyev sono raccontati da mesi tra lo stupore generale da diversi esperti e giornali internazionali, e di recente sono stati ripresi in un lungo articolo del New York Times.
Il fatto che Mirziyoyev sia considerato il politico che più sta promuovendo il cambiamento in Uzbekistan è sorprendente: all’inizio del suo mandato era molto diffusa tra esperti ed analisti la convinzione opposta. Mirziyoyev era stato primo ministro sotto Karimov e si era sempre mostrato d’accordo con le dure politiche di repressione dell’allora presidente uzbeko. Si pensava anche che avrebbe gestito il potere di comune accordo con Rustam Inoyatov, che fino a due mesi fa guidava i servizi segreti uzbeki: Inoyatov era diventato capo dell’intelligence nel 1995 e per diverso tempo era stato considerato un possibile successore di Karimov.
Sotto Inoyatov, i servizi segreti uzbeki erano diventati ultra-pervasivi e temutissimi in tutto il paese, tanto che ancora oggi il loro nome ufficiale – Milliy Xavfsizlik Xizmati – viene pronunciato con un certo timore dai cittadini uzbeki. «Inoyatov sarà ricordato come uno dei personaggi più spietati in tutta l’area post-sovietica», ha raccontato di recente un ricercatore di Human Rights Watch al sito The Diplomat.
Inoyatov è stato licenziato un po’ a sorpresa due mesi fa da Mirziyoyev. Ufficialmente lo ha “promosso” a suo consigliere personale, ma Reuters ha spiegato che in passato un provvedimento del genere ha avuto una funzione onorifica e veniva riservato ai funzionari più anziani. Mirziyoyev non si è limitato ad allontanare Inoyatov. Pochi giorni prima, nel suo discorso di fine anno al Parlamento e ai diplomatici stranieri, durato in tutto quattro ore, Mirziyoyev aveva rimproverato pubblicamente i servizi segreti per avere ottenuto un potere eccessivo sulla base di leggi ormai anacronistiche – i servizi acquisirono moltissimo potere soprattutto dopo una serie di attentati nel 1999 – e più in generale aveva ammesso che le forze militari uzbeke non avevano rispettato i diritti umani dei loro concittadini.
Mirziyoyev è andato anche oltre. Nel 2017 aveva già licenziato il vice di Inoyatov, Shukhrat Gulyamov, anticipando la direzione che avrebbe preso di lì a poco il suo governo. Due mesi fa Gulyamov è stato condannato all’ergastolo per traffico di armi e associazione a delinquere. «Gulyamov si è dimostrato un traditore del nostro paese», ha detto Mirziyoyev. Nello stesso periodo, scrive il New York Times, «più di una decina di funzionari dei servizi segreti è stata arrestata e all’agenzia è stato ordinato di trasferire la sua sede da una temuta cittadella nel centro di Tashkent [la capitale dell’Uzbekistan] a un quartiere meno imponente alla periferia della città». Due settimane fa, infine, Mirziyoyev ha modificato il nome e lo statuto dei servizi segreti, includendo il compito di «proteggere la libertà e i diritti umani degli uzbeki».
«Non sembrano esserci dubbi sul fatto che Mirziyoyev stia facendo pulizia ai piani alti», ha detto al New York Times Steve Swerdlow, un ricercatore di Human Rights Watch: «potrebbe essere una misura per cancellare un’eventuale opposizione, ma è in corso una vera purga all’interno dei servizi segreti, nella procura generale e al ministero degli Interni».
Il fatto che ci sia ancora molto lavoro da fare lo dimostra per esempio il caso di Bobomurod Abdullaev, un giornalista freelance fermato dai servizi segreti a settembre e da allora detenuto in un carcere a Tashkent. Abdullaev ha raccontato al suo avvocato che dopo il suo arresto i funzionari dei servizi lo hanno tenuto in una cella senza riscaldamento né vestiti per sei giorni, impedendogli di dormire e dandogli da mangiare solo al quinto giorno di prigionia.
Ma anche il caso di Abdullaev è in qualche modo esemplare. I due funzionari dei servizi che erano a capo dell’inchiesta sul suo conto sono stati rimossi dal proprio incarico e sono a loro volta sotto indagine per negligenza professionale. La scorsa settimana, inoltre, la seduta del processo a suo carico è stata aperta al pubblico e ai giornalisti, una cosa impensabile fino a pochi anni fa.