Ostriche e vongole possono far parte di una dieta vegana?
Secondo alcuni sì, dato che non ci sono prove che percepiscano il dolore e allevarle spesso non danneggia l'ambiente
Chi segue una dieta vegana non solo non mangia la carne e il pesce, ma nemmeno qualsiasi prodotto di origine animale, come uova, latte e derivati. Le motivazioni per scegliere una dieta di questo tipo sono diverse e personali – c’è chi lo fa per un profondo animalismo, chi per ragioni ambientali o di salute – e per questo ci sono persone che pur definendosi vegane si comportano diversamente da altre: ad esempio mangiando il miele, usando oggetti di pelle se sono di seconda mano, o ancora mangiando ostriche, vongole e altri frutti di mare. Infatti, spiega un articolo di Munchies, secondo alcuni vegani la differenza tra questi organismi e le piante è talmente sottile da poter essere ignorata.
Quelli che chiamiamo “frutti di mare” ovviamente non sono piante: dal punto di vista scientifico sono molluschi bivalvi, animali appartenenti allo stesso phylum dei polpi e delle seppie, ma molto meno intelligenti di questi lontani cugini, dato che non hanno un sistema nervoso centrale. Tutto quello che fanno è aprire e chiudere la propria conchiglia, spostarsi un po’ (a seconda delle specie) grazie a un piede e filtrare l’acqua marina nutrendosi del plancton che contiene. Secondo alcune interpretazioni, i loro movimenti non sono tanto diversi da quelli di una pianta carnivora, in quanto reazioni automatiche agli stimoli esterni. In realtà però non sappiamo se possano provare dolore o meno. Sono sicuramente vivi – come del resto le piante – ma non è certo che siano senzienti.
Robert Elwood, professore di Comportamento animale alla Queen’s University di Belfast, ha spiegato a Munchies che si può ipotizzare che i bivalvi non provino dolore perché dal punto di vista evolutivo è difficile immaginare che possa costituire per loro un vantaggio. Quando un predatore li attacca, la loro conchiglia si chiude e, nel caso di alcune specie come le capesante, possono muoversi per fuggire, ma questo non implica necessariamente che provino dolore. Anche quando hanno delle reazioni motorie ai danni fatti ai loro tessuti non è detto che stiano soffrendo: potrebbe trattarsi di semplice nocicezione, cioè percezione di uno stimolo che danneggia.
Ciononostante, la famosa associazione animalista PETA è contraria al mangiare i bivalvi, dato che non c’è ancora certezza riguardo al dolore che percepiscono: per non sbagliare, considera che i bivalvi siano senzienti fino a prova contraria.
Dal punto di vista dell’impatto ambientale, le cose cambiano a seconda della specie. Le ostriche vengono allevate, secondo qualcuno in modo non molto diverso da come si coltiva un ortaggio. Gli allevamenti si trovano lungo la costa o all’interno di stagni marini, e a differenza di altre forme di acquacoltura non danneggiano l’ecosistema marino. Il discorso è diverso per quanto riguarda ad esempio l’allevamento delle capesante, che si fa sui fondali marini: se vengono recuperate con reti a strascico possono fare danni, anche gravi, all’ecosistema che le circonda. Un’obiezione che potrebbe essere fatta ai vegani che per questa ragione mangiano le ostriche e non le capesante è che anche molte pratiche agricole sono dannose per l’ambiente. Anche le alghe, poi, possono essere raccolte con reti a strascico: è così nel caso delle laminariali, o kelp, che fanno parte della cucina giapponese. In ogni caso, l’allevamento delle capesante non produce lo stesso inquinamento prodotto dagli allevamenti di polli e maiali, né richiede le stesse risorse, dato che i bivalvi si alimentano semplicemente filtrando l’acqua marina, senza mangimi.
Per quanto riguarda le proprietà nutritive dei frutti di mare, le ostriche sono molto ricche di vitamina B12, notoriamente assente dalle diete vegane che per questo spesso vengono integrate con l’assunzione di pillole.