Almeno nove morti nelle proteste a Gaza
Nel secondo venerdì della “Marcia del Ritorno” l'esercito israeliano ha di nuovo sparato sui manifestanti, uccidendo anche un giornalista
Almeno otto manifestanti palestinesi sono stati uccisi dall’esercito israeliano (IDF), e altri 1.000 sono stati feriti, nelle proteste che si sono tenute ieri al confine tra la Striscia di Gaza e Israele, organizzate per protestare contro l’occupazione israeliana della Palestina, dopo quelle tenute venerdì scorso. Nelle proteste è morto anche il giornalista e fotografo palestinese Yaser Murtaja, dopo le ferite da arma da fuoco al petto riportate nonostante indossasse un giubbotto antiproiettile e fosse riconoscibile come giornalista internazionale.
Il ministero ha anche detto che 293 persone sono state ferite da proiettili sparati dall’esercito israeliano, che come la scorsa settimana è stato denunciato a livello internazionale per aver usato una forza eccessiva per rispondere alle proteste. Come venerdì scorso, erano stati disposti lungo il confine dei tiratori scelti, che hanno nuovamente sparato sui manifestanti. E come la scorsa settimana, l’esercito israeliano ha detto di aver sparato soltanto contro i manifestanti che provavano ad attraversare il confine.
Secondo il ministero palestinese per la Salute, però, Murtaja era a 350 metri dal confine quando è stato colpito: anche lui è stato ucciso dai tiratori scelti, così come altri giornalisti sono stati feriti a loro volta mentre indossavano un giubbotto con la scritta “press”, a quanto ha detto il sindacato palestinese dei giornalisti. I manifestanti hanno provato a bruciare degli pneumatici per nascondersi dai tiratori dietro al fumo. L’esercito israeliano ha usato anche lacrimogeni e proiettili di gomma per rispondere alle proteste, e ha detto che il fumo è stato usato come copertura per provare a piazzare esplosivi lungo il confine. Secondo l’IDF, alle manifestazioni hanno partecipato circa 20mila persone.
Mohamad was a gifted artist. Yesterday he sculpted the #GreatReturnMarch hashtag on the #Gaza beach. Today he was among those shot and killed by Israeli snipers while marching. RIP pic.twitter.com/TaqSxBn861
— Nour Odeh 🇵🇸 #NojusticeNopeace (@nour_odeh) March 30, 2018
Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha chiesto che il rappresentante della Palestina all’ONU, quelli nella Lega Araba e l’Unione Europea facciano pressioni internazionali per fermare le violenze dell’esercito israeliano. Dopo le proteste della scorsa settimana, nelle quali erano state uccise 18 persone, il segretario dell’ONU António Guterres aveva chiesto un’indagine indipendente sul comportamento dell’esercito israeliano, a cui aveva chiesto di fare «estrema attenzione» nella gestione delle proteste di ieri.
Nonostante le condanne e le critiche internazionali, i leader israeliani avevano celebrato il comportamento dell’esercito israeliano la scorsa settimana, sostenendo che avesse difeso la sicurezza dei confini e permesso agli israeliani di festeggiare una serena pasqua ebraica.
Un articolo di Haaretz ha spiegato che l’esercito israeliano non si aspettava molta attenzione internazionale per le proteste, ed era preoccupata che per delle debolezze nel sistema di recinzioni che protegge il confine con la Striscia di Gaza dei palestinesi armati potessero penetrare nel territorio israeliano, raggiungendo alcuni insediamenti (kibbutz) poco distanti. Secondo Haaretz, Israele non ha dedicato troppe risorse all’organizzazione della risposta al primo venerdì di proteste, e ha semplicemente permesso ai tiratori scelti di sparare alle gambe ai manifestanti che avessero superato una linea immaginaria ad alcune centinaia di metri dal confine, dopo alcuni colpi di avvertimento.
Haaretz dice però che i comandanti dell’esercito non hanno avuto il controllo diretto sulle decisioni dei singoli tiratori, che hanno agito largamente a propria discrezione. Parte delle persone uccise venerdì scorso appartenevano ad Hamas, il gruppo politico-terrorista che controlla la Striscia di Gaza: Israele ha detto che erano 10, secondo Hamas soltanto 5. Giornalisti e osservatori internazionali, oltre che foto e video diffusi sui social network, hanno però confermato che una larga parte delle persone colpite erano disarmate, e che le proteste sono state soprattutto pacifiche. Elizabeth Throssell, portavoce dell’agenzia dell’ONU che si occupa di diritti umani, ha detto che ci sono prove che diverse persone uccise o ferite dall’IDF non rappresentavano una minaccia, e stavano in molti casi allontanandosi, e non avvicinandosi, al confine.
Anche ieri, come venerdì scorso, ci sono state cinque manifestazioni diverse lungo il confine della Striscia, identificate dal nome “Marcia per il Ritorno”. Al confine della Striscia si sono visti diversi leader di Hamas fra cui il primo ministro della Striscia di Gaza, Yahya Sinwar, che si fa vedere in pubblico molto raramente. Nelle intenzioni degli organizzatori, le proteste proseguiranno ogni settimana fino all’inaugurazione della nuova ambasciata statunitense a Gerusalemme, frutto di una controversa decisione del presidente statunitense Donald Trump, prevista per il 14 maggio.
Per gli israeliani il 14 maggio è il giorno dell’Indipendenza, quello in cui festeggiano la vittoria nella guerra arabo-israeliana del 1948. I palestinesi invece celebrano il 15 maggio il giorno della nakba – “la catastrofe” – cioè quello in cui molti di loro furono costretti a lasciare le proprie case, finite in territorio israeliano. Il primo venerdì di proteste ha invece coinciso con l’anniversario di un’altra protesta di massa, tenuta nel 1976, in cui 6 manifestanti palestinesi che protestavano contro l’occupazione israeliana furono uccisi dall’esercito israeliano.