Le riforme di Macron per cambiare la politica francese
Sono state presentate ieri: includono una riduzione del numero dei parlamentari, l'introduzione di una quota proporzionale per la loro elezione e un limite dei mandati
Mercoledì 4 aprile, il primo ministro francese Edouard Philippe ha presentato le linee generali del progetto di riforma delle istituzioni promesso dal presidente Emmanuel Macron durante la campagna elettorale. Le misure principali – che sono anche le più contestate – prevedono una riduzione del 30 per cento del numero dei deputati e dei senatori, l’elezione del 15 per cento dei deputati con metodo proporzionale e il divieto di più tre mandati per i funzionari eletti, con alcune eccezioni.
Il progetto di riforma dovrebbe essere approvato l’anno prossimo ed è stato presentato dopo settimane di negoziati tra maggioranza e opposizione. Il testo finale del governo è stato giudicato come un debole compromesso tra il desiderio di rispettare gli impegni presi dal presidente in campagna elettorale e il desiderio di raggiungere un accordo con il Senato, il cui sostegno è necessario e dove il partito di Macron non ha la maggioranza.
La riforma sarà suddivisa in tre diversi testi che saranno presentati al Consiglio di Stato e poi al Consiglio dei ministri il prossimo 9 maggio: un progetto di revisione costituzionale, una legge organica e una legge ordinaria. Su alcune proposte di modifica c’è un consenso diffuso: sulla riforma del Consiglio supremo della magistratura, ad esempio, e su quella del Consiglio economico, sociale e ambientale (i cui membri saranno ridotti della metà). Su altre proposte, invece, che sono anche le più significative, non è stato ancora trovato un accordo. Sono tre.
Il governo ha proposto di ridurre del 30 per cento il numero dei deputati e dei senatori: e questo porterebbe a 244 il numero dei senatori (contro i 348 di oggi) e a 404 il numero dei deputati dell’Assemblea Nazionale (contro i 577 di oggi). Se la riforma dovesse passare la Francia diventerebbe uno dei paesi d’Europa con il maggior numero di abitanti per deputato. Il 15 per cento dei deputati all’Assemblea Nazionale sarebbero poi eletti attraverso il metodo proporzionale a partire già dalle prossime elezioni, nel 2022. Attualmente i membri dell’Assemblea Nazionale sono eletti in un collegio elettorale uninominale a doppio turno.
Chi si oppone alla riduzione del numero dei parlamentari e al metodo proporzionale (in generale la destra che ha la maggioranza al Senato) sostiene che i territori in cui è divisa la Francia potrebbero essere meno rappresentati. Il loro calcolo è semplice: se in futuro ci saranno 404 deputati di cui 61 eletti con il sistema proporzionale, questo ridurrà il numero di deputati per circoscrizione. Un deputato rappresenterà dunque un’area più ampia e un numero maggiore di persone, con il conseguente allontanamento dei politici dai loro elettori. Lo stesso ragionamento viene applicato ai senatori. Il governo si è però impegnato a garantire che tutti i dipartimenti in cui è suddivisa la Francia siano rappresentati. La quota di rappresentanza proporzionale piace invece ai partiti più piccoli, che a causa del doppio turno hanno avuto difficoltà ad eleggere dei deputati a livello locale.
Il terzo punto contestato della riforma prevede il divieto di accumulare tre mandati identici per ciascun funzionario eletto, con l’eccezione dei sindaci dei comuni con meno di 9 mila abitanti. La concessione per i sindaci delle piccole città è stata fatta per trovare un compromesso con il presidente del Senato, Gérard Larcher, del partito Les Républicains, che era contrario in generale al divieto di un limite dei mandati. Dalla riforma, e sempre per trovare un compromesso con le opposizioni, è stata invece ritirata la limitazione alla quantità degli emendamenti stabilita in base alla dimensione dei gruppi parlamentari.
Molte delle riforme principali, per essere approvate, richiedono una revisione della Costituzione, che presuppone il voto favorevole di entrambe le camere del parlamento. Ma anche la riduzione del numero dei parlamentari e il limite dei mandati, che rientrano nel progetto di legge organica, hanno bisogno dell’accordo del Senato. La modifica del sistema elettorale rientra invece in una legge ordinaria, per la quale la maggioranza ha l’ultima parola in Assemblea. Il sostegno del Senato – che ha una maggioranza di destra – è comunque essenziale per il governo. Per evitare il problema del Senato l’esecutivo potrebbe organizzare un referendum per far decidere direttamente i cittadini. Diversi osservatori sostengono però che per Macron potrebbe essere un grosso rischio: i francesi potrebbero essere tentati di votare tenendo conto del contesto politico e non tanto delle questioni poste. Macron non intende dunque sottoporsi a un referendum politico preferendo per il momento tentare la strada parlamentare e trovare un accordo con il Senato.
All’interno del pacchetto di riforme si parla anche della Corsica. «Conformemente agli impegni del Presidente della Repubblica, la Corsica troverà il suo posto nella nostra Costituzione», ha affermato il primo ministro Edouard Philippe. La Corsica potrà «adattare le leggi della Repubblica alle proprie specificità insulari», ma lo farà «sotto il controllo del Parlamento». In Corsica le elezioni anticipate dello scorso dicembre erano state vinte con ampio margine dalla coalizione autonomista e indipendentista “Pe’ a Corsica” e i due leader del movimento, Gilles Simeoni e Jean-Guy Talamoni, erano stati eletti presidente del Consiglio esecutivo dell’isola e presidente dell’Assemblea di Corsica. “Pe’ a Corsica” aveva fatto campagna elettorale chiedendo non l’indipendenza ma innanzitutto una maggiore autonomia. Le richieste che i nazionalisti hanno cercato di negoziare con il governo francese dopo la vittoria sono sostanzialmente tre: l’amnistia per i «prigionieri politici», l’ufficialità della lingua corsa e il riconoscimento dello statuto di residenti corsi per opporsi alla compravendita di terreni sull’isola ed evitare speculazioni immobiliari (la richiesta prevede la possibilità di comprare beni immobiliari solo a chi vive nell’isola da cinque anni e di concedere soltanto a loro gli eventuali sgravi fiscali).
I nazionalisti chiedono inoltre che la Corsica venga menzionata esplicitamente nell’articolo 74 della Costituzione che ha a che fare con le collettività d’oltremare, quei territori che un tempo facevano parte dell’impero coloniale francese e che oggi sono soggetti a regimi amministrativi e giuridici specifici e molto diversi tra loro. Il riconoscimento della Corsica come collettività d’oltremare potrebbe garantire una maggiore autonomia in materia di gestione dei terreni, fiscalità e lingua.
La legge costituzionale proposta dal governo è però molto lontana da tutto questo. Jean-Guy Talamoni ha infatti reagito dicendo che le riforme sono una «negazione della democrazia». E ancora: «Questo è inaccettabile, molto, molto lontano dal progetto di autonomia per cui il 57 per cento dei corsi ha votato nelle ultime elezioni».
Gli osservatori sono piuttosto divisi sulle riforme proposte dal governo. Bruno Cautrès, analista politico all’università Sciences-Po, ha dichiarato: «Emmanuel Macron ha detto fin dall’inizio ai francesi che vuole riformare le istituzioni. Il segnale che Macron sta dando è che neanche i politici sono protetti. Sta dicendo che vuole riformare le ferrovie e le pensioni, ma vuole riformare anche il mondo politico. I politici sono visti come un’élite privilegiata e lui lo sa». Thomas Guénolé, un altro analista, ha affermato invece che le riforme presentate non sono molto incisive e che non cambieranno molto le cose: «Come si potrebbe migliorare la democrazia riducendo semplicemente i deputati? Non vedo il punto». Secondo Guénolé, la riforma aprirebbe la strada a un ripensamento delle circoscrizioni elettorali e al cosiddetto gerrymandering, la pratica di disegnare strumentalmente i confini dei collegi elettorali in modo da influenzare il risultato finale: «È pericoloso».