Le grandi proteste nella Striscia di Gaza
Si sono tenute lungo il confine con Israele, ci sono 12 morti e centinaia di feriti
12 persone palestinesi sono state uccise e oltre un migliaio sono state ferite dall’esercito israeliano nella protesta di massa che si è svolta oggi contro Israele, sul confine fra la Striscia di Gaza e il territorio israeliano, e alla quale hanno partecipato circa 30mila persone. La protesta era prevista da settimane e si sta svolgendo in sei diverse manifestazioni coordinate lungo il confine della Striscia.
L’esercito israeliano ha usato munizioni, proiettili di gomma e gas lacrimogeni per disperdere la protesta, che sembra sia stata largamente pacifica. Le circostanze in cui sono stati uccisi i manifestanti palestinesi non sono ancora chiare; da ieri si sa che l’esercito israeliano ha schierato oltre 100 cecchini con il permesso di sparare per rispondere alla protesta. Secondo Adalah, organizzazione per i diritti dei palestinesi in Israele, l’esercito israeliano ha sparato su manifestanti palestinesi disarmati. Anche diverse testimonianze e video diffusi venerdì sui social network da attivisti locali hanno sostenuto questa versione.
Un portavoce dell’esercito israeliano ha invece sostenuto che i soldati hanno fatto fuoco solo sui manifestanti che provavano a sfondare la recinzione sul confine. Il generale dell’esercito Eyal Zamir ha detto che tra i manifestanti c’erano membri di organizzazioni terroristiche che hanno provato a compiere attacchi usando le proteste come copertura. La rete televisiva israeliana Channel 10 dice che i palestinesi uccisi dai cecchini stavano piazzando esplosivi lungo la recinzione.
La protesta è stata indetta per celebrare l’anniversario di un’altra protesta di massa, tenuta nel 1976, in cui 6 manifestanti palestinesi che protestavano contro l’occupazione israeliana furono uccisi dall’esercito israeliano. La marcia in ricordo dei manifestanti uccisi si tiene ogni anno il 30 marzo, ma quest’anno la tensione è decisamente più alta per via della prossima inaugurazione dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme, prevista per il 14 maggio, frutto di una controversa decisione del presidente americano Donald Trump.
Nei giorni scorsi gli organizzatori della protesta hanno insistito più volte che le manifestazioni non sarebbero state violente, ma l’esercito israeliano avevano espresso molti dubbi e ipotizzato che dietro gli organizzatori potesse esserci Hamas, il gruppo politico-terrorista che controlla la Striscia dal 2007. Una fonte anonima del comitato organizzatore ha detto ad Haaretz che Hamas non ha pagato direttamente i manifestanti, ma che ha donato dei soldi al comitato organizzatore. Un altro elemento che fa pensare che dietro alla manifestazione potrebbe esserci Hamas è il fatto che Fatah – il principale partito palestinese “moderato”, tornato da poco in cattivi rapporti con Hamas – stia sostanzialmente ignorando le proteste.
Important to keep in mind that while this is Gazan civilians clashing with Israeli soldiers on the border, it's very much about Hamas which endorsed/organised #Gaza March challenging Abbas and Fatah (who are ignoring the march) for leadership of the Palestinian cause.
— Anshel Pfeffer אנשיל פפר (@AnshelPfeffer) March 30, 2018
Avigdor Liberman, ministro della Difesa israeliano e uno dei più popolari leader conservatori, stamattina si è rivolto agli abitanti di Gaza avvertendoli che «Hamas sta rischiando le vostre vite» e consigliando loro di non partecipare alle proteste.
الى سكان قطاع غزة :
قيادة حماس تغامر في حياتكم. كل من يقترب من الجدار يعرض حياته للخطر. انصحكم مواصلة حياتكم العادية والطبيعية وعدم المشاركة في الاستفزاز.— אביגדור ליברמן (@AvigdorLiberman) March 30, 2018
Le proteste dovrebbero continuare anche nei prossimi giorni fino al 15 maggio, il giorno dell’inaugurazione dell’ambasciata statunitense a Gerusalemme: per gli israeliani il 14 maggio è il giorno dell’Indipendenza, quello in cui festeggiano la vittoria nella guerra arabo-israeliana del 1948. I palestinesi invece celebrano il 15 maggio il giorno della nakba – “la catastrofe” – cioè quello in molti di loro furono costretti a lasciare le proprie case, finite in territorio israeliano.