Il sushi viene meglio col pesce vecchio?
Alcuni chef e ristoranti giapponesi di lusso sostengono di sì, con degli argomenti, ma non tutti ne sono convinti
Può sembrare contro-intuitivo, ma da un po’ di tempo alcuni fra i migliori ristoranti giapponesi di New York hanno iniziato a servire piatti di sushi preparati con pesce crudo sempre più vecchio.
Lo scrive il Wall Street Journal, spiegando che in alcuni locali di Manhattan un piatto del genere può costare anche 400 dollari, cioè la cifra che normalmente si spende in un ristorante giapponese stellato che punta molto sulla freschezza del suo pesce. La ragione è molto banale: secondo gli chef che lo preparano, il sushi fatto col pesce vecchio è semplicemente più buono. «Se usassimo del tonno pescato un’ora fa, la carne sarebbe soda e probabilmente buona», ha spiegato Neal Covington, che si occupa di procurare il pesce al Sushi Nakazawa di Manhattan: «Ma se il pesce ha più di una settimana, la sua carne diventerà delicata e il suo sapore acquisterà molte più sfumature».
Alcuni gestori, come quello del ristorante Hasaki dell’East Village, ammettono che spesso i clienti si dimostrano un po’ perplessi. «Dobbiamo superare la convinzione che il pesce vecchio faccia schifo», spiega il comproprietario di un altro ristorante sull’Upper East Side. Qualche nozione di storia alimentare viene in aiuto ai moderni ristoratori di Manhattan. Gli uomini non hanno sempre associato il pesce vecchio a piatti poco pregiati. Nella Roma imperiale era molto diffusa una salsa che si otteneva facendo fermentare le interiora di pesce, lasciandole persino al sole: si chiamava garum, e in una lettera il filosofo Seneca la definì una pietanza «costosa».
Anche il sushi, in origine, veniva preparato col pesce vecchio: una delle prime varianti del piatto si chiamava proprio nare-zushi, che in giapponese significa «sushi invecchiato». Il Funa-zushi, una delle prime tracce attestate di nare-zushi, comparve intorno all’anno 1000 nella zona del lago Biwa, il più grande lago d’acqua dolce giapponese. Qui, scrive la giornalista-critica culinaria Tori Avey, si pescava una carpa la cui carne veniva avvolta nel riso, pressata e lasciata fermentare fino a sei mesi. La pietanza che si otteneva era talmente pregiata che veniva consumata solamente dalle classi sociali più ricche.
La scoperta della refrigerazione ha cambiato un po’ tutto, ma ancora oggi esistono ristoranti – soprattutto in Giappone – che preferiscono far invecchiare il pesce per il sushi, e che seguono dei passaggi molto precisi. La carne viene salata, trattata con la salsa di soia e l’aceto e avvolta con alghe. Nei giorni seguenti viene lasciata riposare a bassa temperatura fino a una settimana, a seconda del pesce che viene impiegato. Il procedimento è così delicato che alcuni chef, come Nozomu Abe di Sushi Noz, preferiscono non usare un frigorifero normale ma una ghiacciaia speciale prodotta in Giappone: «l’elettricità raffredda eccessivamente la carne», ha spiegato Abe al Wall Street Journal.
Gli chef e i critici che hanno parlato bene del sushi preparato col pesce invecchiato non hanno convinto proprio tutti. Allen Salkin, un critico culinario che collabora spesso col New York Times, ha commentato: «se volessi del sushi invecchiato comprerei quello da 1.99 dollari che si trova nelle stazioni di servizio».