La Catalogna sta diventando un problema di tutti
L'arresto di Carles Puigdemont in Germania ha cambiato le cose e ora l'Unione Europea non può più restarne fuori
di Elena Zacchetti – @elenazacchetti
La Catalogna sembra entrata in una nuova crisi, senza che fosse uscita dalla precedente. Domenica l’ex presidente catalano Carles Puigdemont, molto popolare tra gli elettori indipendentisti, è stato arrestato dalla polizia tedesca nello stato di Schleswig-Holstein, con l’aiuto dell’intelligence spagnola e sulla base di un mandato di arresto europeo diffuso dalla Spagna. Puigdemont aveva appena partecipato a una conferenza in Finlandia e aveva fatto perdere le sue tracce: stava cercando di tornare in Belgio in macchina per far sì che la sua richiesta di estradizione fosse analizzata dalla giustizia belga, considerata dai suoi avvocati più favorevole rispetto a quella di altri paesi europei, tra cui la Germania. Dopo avere passato la notte in carcere, un giudice dello stato di Schleswig-Holstein ha deciso di tenerlo in prigione come misura cautelare – ha parlato di rischio di fuga – mentre un altro giudice deciderà cosa fare della richiesta di estradizione.
Puigdemont è accusato di ribellione, sedizione e malversazione per l’organizzazione del referendum sull’indipendenza della Catalogna, giudicato illegale dal governo e dalla magistratura spagnola, e per la sua successiva ambigua dichiarazione di indipendenza. Non è l’unico membro dell’ultimo governo indipendentista obiettivo del mandato di arresto europeo diffuso dalla Spagna: la direttiva ha riguardato anche Meritxell Serrat, Toni Comín e Lluís Puig, rimasti in Belgio, e Clara Ponsatí, che si trova in Scozia. Tutti e quattro si sono detti disponibili a consegnarsi e a collaborare con le autorità: per il momento contro di loro non è stata disposta alcuna misura cautelare.
Le domande di estradizione per i cinque politici catalani dovranno ora essere esaminate dai giudici dei tre paesi coinvolti – Germania, Belgio e Regno Unito – che potrebbero arrivare a conclusioni diverse in tempi diversi. In ognuno di questi paesi, inevitabilmente, la stampa e i vari politici e osservatori manterranno alta l’attenzione sulla crisi in Catalogna, sul futuro di Puigdemont e sulla risposta dell’Unione Europea: esattamente quello che le istituzioni dell’Unione Europea avrebbero voluto evitare. A ciò va aggiunto che ci sono altre due importanti politiche indipendentiste catalane in Svizzera: Marta Rovira, di Esquerra Republicana (ERC, partito di sinistra), e Anna Gabriel, della CUP (partito di sinistra radicale). Lunedì mattina il portavoce della Commissione europea ha ribadito la posizione che l’Unione ha tenuto finora sulla crisi catalana: che è una questione interna spagnola e che come tale se ne deve occupare la Spagna senza alcun intervento delle istituzioni europee. Il fatto che l’Europa non voglia occuparsi della Catalogna, però, non significa che la Catalogna non possa creare parecchi problemi all’Europa. Anzi, ha già iniziato a farlo.
La crisi in Catalogna è piuttosto atipica se confrontata ad altri movimenti secessionisti europei. L’assenza della violenza e la grande capacità di mobilitazione della società civile catalana hanno spinto alcuni osservatori, opinionisti e politici europei a esprimere irritazione o disagio nei confronti del governo spagnolo guidato dal primo ministro conservatore Mariano Rajoy, accusato di non avere mai voluto dialogare con gli indipendentisti e di voler risolvere la crisi per via giudiziaria e non politica. Queste posizioni non si sono tradotte nell’appoggio alla causa indipendentista, come avrebbero voluto Puigdemont e i suoi alleati, ma hanno comunque causato un danno d’immagine alla Spagna. Lunedì, per esempio, il quotidiano conservatore britannico Times ha pubblicato un commento di Jean Paul Goujon molto duro nei confronti del governo spagnolo. In un passaggio si legge:
«L’indipendenza della Catalogna è probabilmente una cattiva idea, certamente va contro gli interessi della più ampia nazione spagnola e molto probabilmente contro gli interessi della stessa regione. […] Madrid deve iniziare a parlare con i suoi avversari e smettere di cercare di incarcerarli.»
L’Unione Europea, nonostante le richieste provenienti da diverse parti, si è rifiutata finora di infilarsi nella questione catalana, facendo da mediatrice tra le parti o provando a fare pressioni sul governo spagnolo. Quello che si sono chiesti in molti negli ultimi mesi è: come può l’Unione Europea stare a guardare durante una crisi così grave, senza fare niente?
Ci sono diverse risposte. Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione Europea, ha detto lo scorso ottobre: «Se permettessimo alla Catalogna di separarsi – e comunque non sono affari nostri – altri faranno lo stesso. Non voglio che succeda. Non mi piacerebbe che tra 15 anni avessimo un’Unione Europea con 98 stati», riferendosi alle principali regioni di cui è composta oggi l’UE. Uno dei problemi, quindi, è il rischio dell'”effetto domino”, che potrebbe portare alla fine della stessa Unione Europea. Per le istituzioni europee parlare con gli indipendentisti catalani significherebbe inoltre legittimarli politicamente, metterli sullo stesso piano di un governo nazionale. È uno scenario che non vorrebbe praticamente nessun governo europeo – soprattutto quelli che devono affrontare spinte autonomiste o secessioniste all’interno dei loro confini – e che costringerebbe l’Unione Europea a muoversi contro la volontà della Spagna su un tema considerato di competenza assoluta degli stati: l’integrità territoriale e la difesa dei propri confini.
La posizione dell’Unione Europea, considerata legittima e l’unica possibile da molti osservatori, però non cancella il problema: anche perché, come ha scritto domenica il giornalista tedesco Thomas Urban sul quotidiano Süddeutsche Zeitung, negli ultimi mesi Puigdemont sembra essere effettivamente riuscito a “internazionalizzare” la crisi catalana, facendola cioè diventare un problema non solo interno spagnolo ma dell’intera Unione Europea. Urban ha anche scritto: «Per quanto tempo gli stati dell’Unione Europea accetteranno che Madrid colpisca un movimento democratico di massa con il carcere e le multe?». Una posizione simile era stata espressa negli ultimi mesi da importanti giornali europei, tra cui Politico, quello che più si occupa delle questioni legate all’Unione Europea. Lo scorso ottobre Politico aveva scritto:
«Bruxelles e i governi nazionali hanno avuto ragione a opporsi inequivocabilmente alle mosse unilaterali e illegali del governo catalano per separarsi dalla Spagna. Ma questa risposta dovrebbe essere un elemento di una strategia europea più ampia, non la sua interezza. L’Unione Europea si è schierata con il primo ministro Mariano Rajoy anche quando alcune delle sue tattiche – nonostante fossero costituzionalmente giustificate – erano politicamente miopi»
Lunedì mattina, dopo l’arresto di Puigdemont, alcuni giornalisti spagnoli hanno notato come le domande durante la quotidiana conferenza stampa del portavoce della Commissione europea fossero soprattutto sulla questione catalana, e soprattutto ostili verso il governo spagnolo e l’UE. María Tejero Martín, corrispondente del Confidencial a Bruxelles, ha scritto che diversi giornalisti, tra cui un italiano, hanno messo in discussione il rispetto dei diritti umani nel sistema spagnolo e hanno comparato la Spagna con la Turchia, paese diventato ormai un regime autoritario.
España vuelve a perder posiciones en la batalla del relato vs independentistas catalanes. Tras detenciones, sesión de preguntas a la CE cuestionando el respeto de los DDHH en España y comparándola con Turquía. "Es una cuestión política, no judicial", parafrasea un colega italiano
— María Tejero Martín (@Maria_Tejero) March 26, 2018
Claudi Pérez, corrispondente del País a Bruxelles, ha scritto: «La stampa internazionale (belga, britannica e italiana) è tornata alla carica con la Catalogna. I giornalisti chiedono se l’ordine di arresto europeo possa essere usato contro politici che organizzano referendum. Chiedono se la Commissione europea sia soddisfatta del dialogo. Sono stati fatti paragoni con la Turchia».
La prensa internacional (belgas, británicos e italianos) vuelven a la carga con Cataluña. Preguntan si la euroorden puede usarse contra políticos por organizan referéndums. Preguntan si la Comisión está satisfecha con el diálogo. Hay comparaciones con Turquía. Y así.
— Claudi Pérez (@claudiperez) March 26, 2018
Nell’ultima settimana c’è stato anche qualche politico che ha espresso pubblicamente solidarietà al secessionismo catalano e ha chiesto che non vengano estradati i politici indipendentisti.
Wolfgang Kubicki, giurista, esponente del Partito liberale democratico e vicepresidente del Bundestag, la Camera bassa del Parlamento tedesco, ha detto per esempio che Puigdemont non dovrebbe essere estradato, perché nel codice penale della Germania non ci sarebbe un reato corrispondente alla ribellione, cioè il reato più grave imputato dalla giustizia spagnola all’ex presidente e agli ex ministri. Al di fuori di alcuni casi prestabiliti, infatti, l’estradizione viene concessa quando c’è corrispondenza del reato in questione tra paese richiedente e paese che ha in custodia il ricercato. Secondo altri, Puigdemont sarebbe stato arrestato proprio in Germania perché il codice penale tedesco prevede una cosa simile alla ribellione, cioè il reato di alto tradimento. Su cosa includa esattamente il reato di ribellione se ne sta discutendo da mesi in Spagna, con grandi divisioni tra gli stessi penalisti spagnoli.
Nicola Sturgeon, prima ministra scozzese e sostenitrice del referendum sull’indipendenza della Scozia dal Regno Unito, ha scritto di appoggiare le richieste di autodeterminazione degli indipendentisti catalani, ma ha aggiunto che per legge il suo governo non può interferire nella decisione sull’estradizione di Clara Ponsatí, oggi rispettata docente dell’Università di St. Andrews (la stessa università ha diffuso un comunicato di solidarietà a Ponsatí).
To all those angered by latest developments on #Catalonia, please read @scotgov statement below. Our support for Catalan self determination and strong opposition to Spain’s decision to seek the arrest and imprisonment of independence supporting politicians is well established 1/ pic.twitter.com/GIfgptAzqS
— Nicola Sturgeon (@NicolaSturgeon) March 25, 2018
Nell’ultima settimana la situazione in Catalogna è diventata molto tesa. Gli ex ministri del governo indipendentista guidato da Puigdemont sono stati rimessi in carcere in via preventiva, dopo essere stati liberati una prima volta su cauzione, e verranno processati per ribellione. Poi sono arrivati la notizia dell’arresto di Puigdemont e gli scontri a Barcellona, che hanno provocato più di 90 feriti e qualche arresto. Neus Tomás, vicedirettrice del quotidiano spagnolo Díario, ha descritto gli eventi degli ultimi giorni come «uno shock» per i dirigenti indipendentisti, che lunedì hanno ottenuto di fissare una seduta parlamentare per votare una risoluzione che renda eleggibile Puigdemont a presidente della Catalogna, una strada che era stata considerata illegale dalla giustizia spagnola. Nessuno ha idea di cosa potrebbe succedere nelle prossime settimane.
Finora l’Unione Europea è riuscita a rimanere fuori dalla crisi catalana, nonostante il fronte indipendentista abbia cercato in tutti i modi di trovare una sponda in Europa, più che altro decidendo di non occuparsene in alcuna maniera, e sembra improbabile che la sua posizione cambi nei prossimi mesi: sarebbe troppo rischioso. Anche se la politica europea è per la maggior parte schierata dalla parte del governo di Madrid, ora che la crisi ha iniziato a coinvolgere direttamente altri tre paesi – Germania, Belgio e Regno Unito – la situazione potrebbe complicarsi. Se dovessero essere estradati e incarcerati in Spagna, l’immagine di tutto un ex governo in prigione in un paese dell’Europa occidentale – al di là di quello che si pensi dell’indipendentismo catalano – sarebbe molto potente e diventerebbe sempre più difficile per l’Unione Europea continuare a rimanere fuori da tutta questa vicenda.