Sono iniziate le elezioni presidenziali in Egitto
Si voterà per i prossimi tre giorni, ma si sa già che vincerà l'attuale presidente, che ha eliminato tutta la concorrenza
Da lunedì 26 marzo – e per tre giorni – in Egitto si voterà per il primo turno delle elezioni presidenziali: i seggi sono aperti da questa mattina alle 9, potranno votare circa 60 milioni di persone e i risultati ufficiali arriveranno il 2 aprile, anche se è scontato che vincerà il presidente in carica, Abdel Fattah al Sisi. Tutti i possibili candidati che negli ultimi mesi avevano dichiarato l’intenzione di sfidare al Sisi sono stati arrestati o “dissuasi” dal farlo: al Sisi ha un unico sfidante, il semi-sconosciuto Moussa Mostafa Moussa, che è a sua volta un sostenitore di al Sisi e che per la campagna elettorale ha fatto solo due comizi (dichiarando, tra l’altro, «di non voler sfidare il presidente»). L’unica cosa interessante delle elezioni di questi giorni sarà dunque la percentuale di affluenza.
(Un manifesto elettorale di Moussa Mostafa Moussa, Cairo, 21 marzo 2018 – Mohamed El Raai/picture-alliance/dpa/AP Images)
Nel luglio 2013 l’allora generale Abdel Fattah al Sisi prese il potere con un colpo di stato contro Mohammed Morsi, esponente del movimento politico-religioso dei Fratelli Musulmani che aveva vinto le elezioni due anni prima. Un anno dopo si tennero le elezioni presidenziali, considerate da molti osservatori non sufficientemente democratiche: furono vinte dallo stesso al Sisi con il 97 per cento circa dei voti.
Il punto centrale delle elezioni del 2014 era stato il dato sull’affluenza: al-Sisi sperava fosse superiore a quella registrata nelle elezioni presidenziali del 2012 vinte da Morsi (52 per cento), in modo da ottenere ampia legittimazione popolare. Nonostante il governo egiziano avesse dichiarato il secondo giorno di voto festa nazionale e avesse deciso all’ultimo momento di tenere aperti i seggi un giorno in più, l’affluenza si era fermata a circa il 47 per cento, cinque punti percentuali meno di quella del 2012. Anche quest’anno, come ha spiegato il sociologo egiziano Saïd Sadek «la campagna non riguarda chi vincerà, ma chi voterà. Il regime vuole una forte partecipazione per riaffermare la propria legittimità all’estero. L’obiettivo è raggiungere il 47 per cento circa, come nel 2014».
L’attuale presidente ha dedicato molta parte della propria campagna elettorale insistendo sull’importanza della partecipazione: sono anche circolate notizie di tentativi di compravendita di voti, alcuni negozianti locali sono stati costretti ad appendere degli striscioni a sostegno di al Sisi e nelle campagne, secondo alcuni, l’apparato di sicurezza chiederà ai sindaci e alla polizia di mobilitare le persone mettendo a disposizione autobus gratuiti. Da settimane le radio e le televisioni egiziane trasmettono annunci che incoraggiano l’affluenza; il Gran Muftī – la massima autorità religiosa del paese – ha diffuso un videomessaggio chiedendo ai cittadini di fare la loro parte; sono stati pubblicati dei video promossi dal governo; è stata fatta una canzone intitolata “partecipa” e, come scrive il Guardian, un residente di Giza ha detto che le famiglie benestanti hanno offerto ai residenti più poveri 100 sterline egiziane per andare a votare. Al Cairo il proprietario di un negozio che vende prodotti sovvenzionati dal governo ha promesso cibo extra ai residenti che dimostreranno di essere andati alle urne.
«La sfida di al Sisi è convincere gli indecisi. La gente lo ha eletto per paura nel 2014. Lo hanno visto come un salvatore contro i Fratelli Musulmani. Oggi però le persone non si sentono obbligate ad andare a votare», ha spiegato Sadek. In una recente intervista al canale privato Al-Nahar, al Sisi si è poi rivolto ai suoi elettori preferiti, donne e minoranza copta, ricevendo anche la regista copta Sandra Nashat nei giardini del palazzo presidenziale. Nel 2014, il 53 per cento delle donne votò per lui, così come la maggioranza della comunità copta, che rappresenta circa il 10 per cento della popolazione. Questo tipo di elettorato potrebbe rappresentare anche quest’anno una buona riserva di voti per lui, ma anche all’interno di questi bacini elettorali non sembra esserci molta convinzione.
Gli osservatori sostengono come in generale sia molto diffuso il malcontento nei confronti del governo. Da quando al Sisi è diventato presidente ha instaurato in Egitto un regime autoritario: ha creato attorno a sé un forte culto della personalità, ha limitato la libertà di stampa, le riforme economiche che ha promosso hanno comportato tagli alle sovvenzioni, l’inflazione è superiore al 30 per cento e la corruzione è molto diffusa, Il presidente, poi, ha fatto arrestare molti dei suoi oppositori politici, compreso il suo principale rivale per le presidenziali, l’ex generale Sami Anan accusato di avere falsificato alcuni documenti necessari per presentare la sua candidatura.
All’inizio di gennaio si era inaspettatamente ritirato dalle presidenziali l’ex primo ministro egiziano Ahmed Shafiq che aveva annunciato la sua candidatura lo scorso novembre dagli Emirati Arabi Uniti. Dopo l’annuncio, Shafiq era stato però arrestato dalle autorità emiratine, considerate molto vicine ad al Sisi, ed era stato consegnato all’Egitto. Poi aveva dato un’intervista a una televisione egiziana nella quale negava di essere stato sequestrato, come invece sospettavano in molti, e annunciava di avere riconsiderato la sua candidatura alle elezioni: «Non sarei la persona ideale per guidare lo stato», aveva detto. Una settimana prima aveva ritirato la sua candidatura anche Mohamed Anwar al Sadat, nipote dell’ex presidente egiziano Anwar Sadat, ucciso nel 1981 mentre era ancora in carica. Sadat aveva parlato di un ambiente ostile a una «sana competizione» politica e aveva denunciato episodi intimidatori contro i suoi sostenitori.