Gli anziani in carcere in Giappone
Sono soprattutto donne, spesso si fanno arrestare apposta dopo piccoli furti: perché sono povere, ma anche perché sono sole e preferiscono la prigione
Circa il 20 per cento delle persone detenute nelle carceri giapponesi sono anziane, accusate e condannate per piccoli furti che, in molti casi, erano anche il loro unico modo di sopravvivere a causa della povertà. Nella fascia d’età che va dai 65 anni in su, però, in Giappone il taccheggio è commesso anche allo scopo di finire in carcere, e non per necessità, perché la prigione offre condizioni di vita migliori rispetto a quelle di una vita libera. C’entra dunque la solitudine di cui soffrono gli anziani e in particolare le donne.
I dati dicono che gli arresti che coinvolgono persone anziane avvengono in Giappone a tassi superiori a quelli di qualsiasi altro gruppo demografico. Le condanne, secondo gli ultimi dati della polizia, sono raddoppiate negli ultimi dieci anni passando da una media di 80 ogni 100 mila residenti tra il 1995 e il 2005 a 162 ogni 100 mila residenti tra il 2005 e il 2015. Quasi una donna su cinque attualmente detenuta nelle carceri giapponesi ha 65 anni o più; nove donne anziane su dieci sono state condannate per il reato di taccheggio.
Come scrive Bloomberg, le detenute anziane hanno commesso dei crimini spinte sia dalla loro condizione di povertà che dalla solitudine. Un tempo prendersi cura dei vecchi era un compito che spettava alle famiglie e alla comunità in generale, ma ora l’organizzazione sociale è cambiata: dal 1980 al 2015 il numero di anziani che vivono da soli è aumentato di oltre sei volte. Una ricerca del 2017 condotta a Tokyo ha mostrato poi che più della metà degli anziani colpevoli di taccheggio viveva da sola. Il 40 per cento non ha famiglia o parla raramente con i propri parenti. Sono persone che hanno detto di non avere nessuno a cui rivolgersi quando hanno bisogno di aiuto.
Il Giappone ha il tasso di persone anziane più alto del mondo. Poco più di un quarto dell’intera popolazione (il 27,3 per cento) ha più di 65 anni, e le previsioni del ministero della Sanità dicono che la quota arriverà al 40 per cento entro il 2060. La situazione demografica si riflette anche nella popolazione carceraria in generale, dove quasi il 20 per cento è costituito da persone oltre i 65 anni. Le donne anziane sono le persone economicamente più vulnerabili, quando non ricevono una pensione che permetta loro una vita dignitosa. Circa una donna giapponese su quattro vivrà al di sotto del livello di povertà nel prossimo futuro, con una percentuale che sale al 50 per cento per le donne non sposate e divorziate. Negli uomini la percentuale scende al 10 per cento circa.
L’attuale sistema pensionistico del Giappone è stato pensato più di mezzo secolo fa per le famiglie uscite dal Dopoguerra. A quei tempi, le donne lasciavano il lavoro per avere dei figli e diventare casalinghe e il sistema pensionistico era relativamente generoso nei loro confronti e a quelle condizioni. Da lì in poi, però, le donne hanno cominciato a fare scelte differenti: a non sposarsi o a divorziare. Nell’attuale sistema pensionistico, queste donne ricevono dunque solo una parte della pensione calcolata sulle donne sposate: una cifra che non sarà sufficiente a mantenerle al di sopra dei livelli di povertà.
Spesso le donne che vengono condannate sono anche recidive. Bloomberg ha raccolto diverse testimonianze. Una detenuta di 78 anni ha raccontato di aver rubato caffè, tè, riso e un mango: «La prigione è un’oasi per me, un luogo di relax e comfort. Non ho la libertà qui, ma non ho nulla di cui preoccuparmi. Ci sono molte persone con cui parlare. E ci forniscono pasti nutrienti tre volte al giorno». «Mio marito è morto l’anno scorso» ha raccontato un’altra: «Non avevamo figli, quindi ero completamente sola. Sono andata in un supermercato a comprare delle verdure e ho visto una confezione di manzo. Lo volevo, ma pensavo che sarebbe stato un peso finanziario, per me. Quindi l’ho presa».
La signora T., 80 anni, condannata a due anni e mezzo per aver rubato uova di merluzzo e una padella, ha raccontato di aver lavorato in una fabbrica per vent’anni e poi come badante in un ospedale: «Mio marito ha avuto un ictus sei anni fa e da allora è costretto a letto. Ha anche una demenza e soffre di paranoie. Era molto faticoso prendersi cura di lui fisicamente ed emotivamente a causa della mia vecchiaia. Ma non potevo parlare della mia situazione con nessuno perché mi vergognavo. Sono stata imprigionata per la prima volta quando avevo 70 anni. Quando ho rubato, avevo dei soldi nel portafoglio. Poi ho pensato alla mia vita. Non volevo tornare a casa, e non avevo nessun altro posto dove andare. Chiedere aiuto in carcere era l’unico modo». La signora N., 80 anni: «Non posso spiegarvi quanto mi piaccia lavorare nella fabbrica del carcere. L’altro giorno, quando si sono congratulati per la mia efficienza e la meticolosità, ho capito la gioia di lavorare (…) Mi piace la mia vita in prigione. Ci sono sempre delle persone in giro, e io non mi sento sola. Quando sono uscita, la seconda volta, mi sono ripromessa che non sarei mai più tornata indietro. Ma quando ero fuori, non potevo fare a meno di provare nostalgia».
Per cercare di sostenere questa fascia di popolazione, il governo giapponese sta costruendo sezioni penitenziarie specificamente pensate per detenute e detenuti anziani, ma finora non sono stati avviati efficaci programmi di riabilitazione e i costi del loro mantenimento in prigione stanno aumentando rapidamente. Le spese associate all’assistenza agli anziani hanno contribuito a portare i costi sanitari annuali degli istituti di correzione a oltre 6 miliardi di yen nel 2015, con un aumento dell’80 per cento rispetto a dieci anni fa. Sono stati assunti anche dei lavoratori specializzati per aiutare i detenuti più anziani a fare il bagno e andare in bagno durante il giorno, ma di notte questi compiti spettano alle guardie. In alcune strutture, essere una guardia carceraria è come essere l’assistente di una casa di cura.
Nel 2016 il parlamento giapponese ha anche approvato una legge che ha come obiettivo quello di garantire che gli anziani recidivi ottengano sostegno dai sistemi di assistenza sociale del paese. Ma i problemi che portano queste persone e soprattutto le donne a cercare nella prigione un conforto superano il sistema e sarebbero necessari interventi sociali molto più ampi.