«Sia il film più allegro che quello più straziante dell’anno»
Oggi esce "Un sogno chiamato Florida": dicono che sia coloratissimo, un po' neorealista e migliore di quasi tutti i film dell'ultimo anno
Un sogno chiamato Florida esce oggi in Italia: diversi critici cinematografici lo hanno definito uno dei migliori film dell’ultimo anno. Parla di alcuni bambini e alcuni adulti che vivono o lavorano in un motel a Orlando, in Florida, vicino a Disney World. Solo che il parco divertimenti non si vede quasi mai, perché il motel è frequentato da gente povera, con problemi di vario tipo.
I personaggi principali sono tre: una madre, la figlia di sei anni e il gestore del motel. Il motel si chiama Magic Castle ed è tutto lilla. I personaggi sono interpretati nell’ordine da un’attrice scoperta su Instagram, da una bambina nata nel 2010 e da Willem Dafoe. Il regista è Sean Baker, noto soprattutto per aver diretto Tangerine, che fu tutto girato con un iPhone e parlava di due donne trans a caccia di un ex che si era comportato da stronzo.
Un sogno chiamato Florida è stato presentato nel maggio 2017 a Cannes, dove fu molto ben accolto, e negli Stati Uniti è stato distribuito a fine 2017 da A24. A.O. Scott, critico cinematografico del New York Times, ha scritto che è stato il miglior film del 2017: è «sia il film più allegro che quello più straziante dell’anno» e «riesce nel miracolo di combinare due cose: fare un incantesimo e raccontare la verità». Un sogno chiamato Florida è particolare per i tempi e i modi con cui racconta la sua storia, ma non è un film pesante e intellettuale: non è per niente una commedia ma ci sono anche diversi momenti in cui si ride o sorride. Sono piaciuti soprattutto la storia e l’approccio con cui è trattata, la particolarissima fotografia e le interpretazioni dei tre attori principali. Insomma, trama, immagini e recitazione: tre cose che tornano comode quando si vuole fare un film.
La storia, un po’ neorealista
Il titolo originale – The Florida Project – è il nome provvisorio che fu usato per Disney World mentre lo si costruiva. Disney World è geograficamente vicino al motel in cui è ambientato il film: alcune delle persone che stanno nel motel guadagnano grazie al largo indotto del parco divertimenti, ma nessuno degli ospiti è lì per andare al parco. Sono due mondi diversi: una donna che ci finisce per sbaglio dice che il motel sembra una favela. Il motel si chiama Magic Castle; da quelle parti ci sono davvero molti motel con nomi e temi che richiamano Disney World, i castelli, le fiabe e i pirati.
Bobby, interpretato da Willem Dafoe, è il gestore – ma non il proprietario – del Magic Castle. Halley (Bria Vinaite) vive sola con la figlia e il suo principale problema è trovare di volta in volta i soldi per pagare la stanza (38 dollari a notte) e crescere la figlia, che si chiama Moonee ed è interpretata da Brooklynn Kimberly Prince. Come ha scritto Owen Gleiberman su Variety, «Halley è secondo ogni standard una madre terribile; ma da un certo punto di vista è una brava madre, perché ama sua figlia e la fa stare bene».
È estate, non c’è scuola, e Moonee passa il tempo a vagare con altri coetanei tra chioschi coloratissimi e case abbandonate. Non potendo andare nel vero parco dei divertimenti, Moonee ricrea le attrazioni (per esempio il giardino zoologico, la casa degli orrori) con quello che c’è nei dintorni. Moonee è sfacciata e sboccata: dice parolacce, fa il dito medio, partecipa a gare di sputi e, insieme ai suoi amici, va dove è vietato andare, creando anche qualche problema a Bobby, che sembra burbero ma è molto buono. In una scena Bobby si lamenta e dice: «È solo l’inizio dell’estate e ho già trovato un pesce morto in piscina»; Moonee risponde: «Cercavamo di farlo resuscitare». In un’altra si vede come Moonee e amici riescano a avere gelati gratis.
A un certo punto Halley e Moonee cercano di vendere profumi, trovati a poco prezzo, ai turisti fuori da un lussuoso hotel. I turisti non sono attori: sono veri turisti che non sapevano di essere ripresi.
Alcuni critici hanno parlato di Un sogno chiamato Florida come di un film con qualcosa di neorealista: per via di questa scena, per il fatto che il motel esiste davvero e nel film ci sono alcuni suoi veri dipendenti e ospiti (il motel è rimasto aperto anche durante le riprese), e perché Vinaite è al suo primo film. Manhola Dargis del New York Times ha scritto che Baker è bravissimo nello «spezzare i cuori raccontando storie di persone di solito ignorate dagli altri film» e ha paragonato il film a Furore di John Steinbeck. Alissa Wilkinson ha scritto su Vox che è un film di «realismo sociologico» e che è nella scia di film come Ladri di biciclette, capolavoro del neorealismo italiano, e I 400 colpi, capolavoro della Nouvelle Vague francese. Ha anche scritto che è un film che «costringe a smettere di semplificare le vite delle persone». Jordan Hoffman ha scritto sul Guardian che Un sogno chiamato Florida sembra nato dall’unione di Ken Loach e Tex Avery, autore di molti cartoni animati degli anni Quaranta e Cinquanta, per esempio Bugs Bunny e Daffy Duck. Ha poi paragonato il film a Gli anni in tasca di François Truffaut.
Un sogno chiamato Florida è costato circa due milioni di dollari ed è stato girato su pellicola, in analogico; tranne l’ultima scena, girata con un iPhone. Si vedono e sentono spesso elicotteri: sono quelli dei tour sopra Disney World e sono stati lasciati perché era impossibile, col tempo e i soldi a disposizione, girare quando non c’erano elicotteri.
Un attore che conosciamo già e due attrici “di cui sentiremo parlare”
Dopo aver fatto una cosa simile per i casting di Tangerine, Baker ha cercato su internet un’attrice a cui far interpretare Halley. Su Instagram ha trovato il profilo di Bria Vinaite, che è nata nel 1993 in Lituania e vive a New York da quando ha sei anni: prima di diventare un’attrice ha fatto la stilista; ora la sua descrizione su Instagram dice “Mhmm”. Baker ha detto: «C’era qualcosa di molto diverso che metteva Bria in primo piano rispetto alle altre migliaia di persone su Instagram: non si prendeva sul serio e appariva molto attiva, spensierata ed estremamente divertente». Vinaite ha detto: «Un giorno mi arriva un messaggio di Sean [Baker] su Instagram. Mi dice di controllare le mail perché c’era la possibilità di fare un film. Il suo account era pieno zeppo delle foto del suo cane. Ero un po’ confusa. Poi abbiamo parlato e ho capito che non cercava di agganciarmi, e ho sentito subito un legame forte con la storia». Vinaite è volata in Florida, ha conosciuto Prince, ha girato qualche scena ed è diventata l’attrice che fa Halley. Gleiberman ha scritto che ha «la vivacità erotica da principessa-maledetta di Riley Keough in American Honey».
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Brooklynn Kimberly Prince è nata nel 2010 e ha già fatto in tempo a recitare in qualche pubblicità. Dice che la sua attrice preferita è Daisy Ridley, Rey di Star Wars. Ha trovato il ruolo rispondendo a un annuncio messo in giro da Baker, che ne ha detto: «Non si è semplicemente rivelata l’attrice perfetta per interpretare Moonee, ma ha elevato questo personaggio, aggiungendo a ciò che era scritto su carta il suo senso personale di meraviglia. A prescindere dalla sua età, Brooklynn è una delle migliori attrici che io abbia mai conosciuto».
Willem Dafoe è invece ben più noto. Anthony Lane ha scritto sul New Yorker che è l’unico in grado di essere credibile facendo «sia Gesù che il Goblin», l’antagonista di Spider-Man.
La fotografia, tutta con quel colore lì
La caratteristica che salta più all’occhio di Un sogno chiamato Florida è la sua strana tinta dominante. Bastano pochi secondi di trailer per notare – tra i tanti vivaci colori – quello delle pareti del motel, ma non solo. Nel film lo chiamano viola, qualcuno lo descrive come lilla, malva o ciclamino. La descrizione migliore l’ha fatta quello che se ne è occupato, il direttore della fotografia Alexis Zabé, che è messicano e ha lavorato soprattutto a video musicali, per esempio di Pharrell Williams e Die Antwoord. Zabé ha detto che l’estetica del film è quella di «un gelato al mirtillo con un che di aspro». Lane ha scritto che è dai tempi di Blue – un film del 1993 di Derek Jarman in cui per otto minuti di fila si vedeva un unico colore (indovinate quale?) – che un colore non «aveva un impatto così evidente su un film». Qualcun altro ha detto che la fotografia del film gli ha ricordato quella di Moonlight.
Oltre che per il colore, il film si fa notare anche per alcune scelte nei movimenti delle cineprese: spesso riprendono i personaggi di spalle, seguendoli mentre vagano, e spesso le cineprese sono all’altezza dei bambini protagonisti. Su Repubblica, Emiliano Morreale ha però fatto notare che «l’inquadratura più tipica del film è il campo medio frontale di un luogo straniante».