Anche il Veneto vuole ospitare le Olimpiadi 2026
Con il progetto di organizzarle sulle Dolomiti in collaborazione con l’UNESCO, ma ci sono di mezzo Trento e Bolzano (oltre a Torino)
Entro il 31 marzo il presidente del Veneto Luca Zaia presenterà al Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI) una proposta di candidatura per l’organizzazione delle Olimpiadi invernali del 2026, dopo che la giunta regionale di Venezia l’avrà formalizzata. Il progetto prevede l’organizzazione dei Giochi invernali sulle Dolomiti con la collaborazione dell’UNESCO – dato che il gruppo montuoso è Patrimonio dell’umanità dal 2009 – e la candidatura potrebbe essere presentata con il nome “Olimpiadi Dolomiti UNESCO”. La realizzazione del progetto – e quindi il peso della candidatura – dipende però molto dalle province autonome di Trento e Bolzano, le cui infrastrutture sarebbero fondamentali, e poi anche dalla necessità di non consumare il territorio montano.
Come nel caso di Torino, che recentemente e in modo un po’ travagliato ha avanzato al CONI una “manifestazione di interesse” per la seconda candidatura della città in vent’anni, quella che presenterà il Veneto – con l’appoggio o meno di Trento e Bolzano – è appunto solo una proposta: starà al CONI sceglierne una soltanto da proporre a sua volta al Comitato Olimpico Internazionale (CIO) come candidata ufficiale all’organizzazione dei Giochi invernali del 2026. L’assegnazione definitiva avverrà durante l’assemblea generale del CIO in programma a Milano nel settembre del 2019 (il fatto che il CIO si riunisca in Italia non dovrebbe essere un problema per le candidature italiane). Il presidente del CONI, Giovanni Malagò, ha già fatto sapere che non si esprimerà su nulla senza prima consultarsi con il nuovo governo, che per il momento non c’è.
Nei prossimi giorni Zaia ha in programma un altro incontro con Ugo Rossi, presidente della provincia di Trento, e Arno Kompatscher, presidente della provincia di Bolzano, per discutere della disponibilità del Trentino-Alto Adige di unirsi al Veneto nella candidatura. Ma sia Rossi che Kompatscher non sembrano così inclini a unirsi a Zaia. Un evento così importante infatti richiederebbe un consumo di risorse e soprattutto di territorio che le località montane non sarebbero disposte a concedere e probabilmente neanche a sostenere. Zaia si è detto fiducioso della bontà del suo progetto, il quale punta soprattutto sul consumo minimo del territorio, con l’utilizzo e la ristrutturazione di impianti già esistenti e di molte strutture temporanee, come già successo agli ultimi Giochi invernali di Pyeongchang. Verranno poi sfruttati gli investimenti fatti su Cortina d’Ampezzo per l’organizzazione dei Campionati del Mondo di sci alpino del 2021. Rimangono però alcuni punti importanti che non sono ancora ben chiari: la costruzione del villaggio olimpico, dello stadio per le cerimonie e di una pista olimpica per bob e slittini.
Sulle posizioni di Trento e Bolzano, Zaia ha detto: «Condivido le loro perplessità rispetto all’impatto ambientale. Ma i Giochi a cui aspiriamo non avranno nemmeno un metro di cemento in più. Il consumo del territorio sarà pari a zero. Ho apprezzato la disponibilità di Kompatscher per gli impianti, capisco le sue perplessità in tema di impatto ambientale. Ho parlato sia con lui che con Rossi, ci sono degli aspetti da chiarire, lo faremo rapidamente e approfonditamente. Il Veneto, però, non lascerà passare invano la scadenza del 31 marzo senza aver presentato la candidatura». Senza l’appoggio del Trentino-Alto Adige, c’è la possibilità che Zaia si rivolga a Udine e Pordenone.
Per quanto riguarda l’UNESCO, Marcella Morandini, direttrice della Fondazione Dolomiti UNESCO, l’ente che cura lo sviluppo sostenibile delle Dolomiti, ha definito il progetto di candidatura come «una grande sfida» ponendo delle questioni sull’organizzazione di una Olimpiade a impatto zero: «È una grandissima sfida e anche in questo caso le Dolomiti potrebbero fare storia, come è avvenuto in occasione del lavoro di preparazione per il riconoscimento UNESCO. […] Sarebbe bello cogliere anche questa sfida, partendo da concetti chiari, condivisi e innovativi. Possiamo e dobbiamo ragionare in modo differente rispetto al passato, puntando su una ospitalità diffusa. C’è inoltre un grande patrimonio edilizio e urbanistico da recuperare».