L’omicidio di Fausto e Iaio, 40 anni fa
Furono in pochi a mettere in dubbio che fossero stati i fascisti, ma nessuno «pur in presenza di significativi elementi indiziari» è mai stato condannato per la loro morte
Il 18 marzo di quarant’anni fa due studenti di sinistra, Fausto Tinelli e Lorenzo Iannucci, conosciuti come Fausto e Iaio, vennero uccisi con otto colpi di pistola a Milano, in via Mancinelli, vicino al centro sociale Leoncavallo. Furono in pochi a mettere in dubbio che fossero state persone di estrema destra a ucciderli, ma nessuno – «pur in presenza di significativi elementi indiziari» – è stato mai condannato per la loro morte.
Qualche giorno fa la targa che li ricorda sul luogo dell’assassinio è stata imbrattata: qualcuno ha cancellato la parola “fascisti” riferita agli aggressori dei due militanti, ha scritto “merde”, ha disegnato una svastica, una croce celtica e si è firmato “Militia”. Il 14 marzo, dopo che la targa è stata ripulita, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala, ha portato un mazzo di fiori: «La loro passione politica e l’impegno per una società più giusta ed equa rimangono parte integrante dei valori, della storia e del presente di Milano. La città non vi dimentica», ha scritto Sala su Facebook.
Due giorni prima di quel 18 marzo 1978 le Brigate Rosse avevano rapito Aldo Moro: erano i cosiddetti “anni di piombo”, gli anni delle bombe, dei sequestri, dei ferimenti, degli scontri tra manifestanti e forze dell’ordine e tra estremisti di destra e di sinistra. Fausto e Iaio avevano 19 anni, avevano passato il pomeriggio con gli amici e verso le 19.30 si incontrarono nella zona del Leoncavallo, nel quartiere Casoretto. Avevano deciso di andare a cena a casa di Tinelli e poi di uscire di nuovo per andare a un concerto nel loro centro sociale.
Fra le 19:30 e le 19:45 arrivarono all’angolo tra via Casoretto e via Mancinelli. Lì c’era un’edicola e l’uomo che vendeva i giornali li sentì commentare i titoli sul sequestro Moro. Erano quasi le otto. Qualcosa in via Mancinelli attirò la loro attenzione: c’erano delle persone, forse i due furono chiamati. Fu Marisa Biffi, una donna che stava andando in parrocchia con le due figlie, a testimoniare quello che accadde: sul marciapiede che stava percorrendo vide tre ragazzi di circa vent’anni, in piedi, e poco distante da loro un altro ragazzo che si teneva lo stomaco e che si accasciava per terra. Poi sentì tre colpi ovattati e vide uno dei tre giovani sparare con una pistola nascosta dentro un sacchetto di plastica. Infine vide i tre ragazzi scappare a piedi verso via Leoncavallo, accorgendosi solo in un secondo momento che a terra c’era il corpo di un altro ragazzo. Marisa Biffi disse che i tre avevano circa vent’anni: uno di loro indossava un impermeabile molto chiaro, l’altro una giacca color cammello e l’ultimo un giubbotto di pelle marrone:
«Odo tre colpi attutiti che lì per lì sembrano petardi tanto che penso che quel gruppo di quattro persone sta scherzando. Non vedo alcuna fiammata di arma da fuoco. I tre giovani sul marciapiede scappano velocemente mentre quello che è piegato su se stesso cade in terra. Solo allora comprendo che è successa una cosa pazzesca e mi avvicino al giovane caduto anziché entrare subito nella parrocchia. Scorgo la fisionomia di un ragazzo steso per terra in una pozza di sangue. Subito oltre il suo corpo e quindi più vicino alla via Leoncavallo, c’è davanti a me, a un paio di metri, il corpo di questo ragazzo che prima non avevo visto né in piedi né a terra. (..) Nessuno dei due ragazzi pronuncia alcuna parola, neppure un’invocazione di aiuto» (testimonianza raccolta nel libro di Daniele Biacchessi La speranza muore a 18 anni).
Iaio morì sul colpo. Fausto mentre veniva portato in ospedale. In tutto vennero sparati otto colpi, ma come aveva visto Biffi vennero utilizzati dei sacchetti di plastica per raccogliere i bossoli e non consentire una perizia comparativa. Le analisi sui proiettili estratti dai corpi di Fausto e Iaio dissero che erano calibro 7,65 e che tutti erano stati esplosi dalla stessa arma, una Beretta 34. Nel decreto di archiviazione si dice che la pratica di avvolgere l’arma in un sacchetto di plastica risultava «alquanto diffusa negli ambienti della destra eversiva romana, pure avvezzi all’utilizzo di armi vecchie del tipo indicato, oltre che di capi di abbigliamento, impermeabili chiari, analoghi a quelli indossati dagli autori del delitto». Sul posto dell’omicidio venne trovato anche un berretto di lana blu, che non apparteneva né a Fausto né a Iaio.
Sul delitto di Fausto e Iaio hanno indagato tanti magistrati: ci sono stati anni di inchieste giudiziarie e di inchieste indipendenti. La polizia parlò subito «di un regolamento di conti» per questioni di droga, ma la pista dello spaccio non portò da nessuna parte. Poi si tentò la pista dello squadrismo locale, quella di un giovane di destra conosciuto anche come spacciatore di eroina che qualche giorno prima dell’omicidio era stato picchiato da un gruppo di ragazzi con un fazzoletto rosso sulla faccia e che era stato visto con il berretto di lana blu trovato sul luogo degli omicidi. Il berretto non fu mai sottoposto ad alcun accertamento e a un certo punto dell’indagine non fu più trovato tra i reperti.
La pista più concreta di tutte portò comunque alla destra eversiva attiva a Roma e con dei legami a Cremona. E portò ad alcuni nomi: quelli di Massimo Carminati, di Mario Corsi, di Mario Spotti e di molti altri esponenti neofascisti. Dopo l’omicidio di Fausto e Iaio arrivò una rivendicazione dai Nuclei Armati Rivoluzionari, Brigata Franco Anselmi. Anselmi era un militante di ispirazione neofascista, uno dei fondatori dei Nar ucciso dodici giorni prima durante una rapina a un’armeria di Roma.
La casa di Corsi, legato a Franco Anselmi e accusato di un episodio di violenza politica avvenuto nel luglio del 1979, venne perquisita: vennero trovate e sequestrate due fotografie, una di Tinelli e Iannucci e una che mostrava un momento dei loro funerali. Poi venne trovata una lettera datata 8 agosto 1978 indirizzata a Corsi e proveniente da Mario Spotti, un estremista di destra che viveva a Cremona. Nella lettera si faceva riferimento al “povero e carissimo Franco” (Anselmi) e alla “sorella”, scritto proprio così, tra virgolette: era la parola con cui in gergo venivano indicate le armi corte. Nella casa di Spotti vennero trovate munizioni di calibro 7,65, agende, diari del 1979 e degli anni precedenti, con indirizzi e annotazioni giornaliere. L’agenda del 1978 mancava. La perizia sulle munizioni confermò che provenivano dallo stesso lotto di fabbricazione di quelle utilizzate nel delitto di Fausto e Iaio. Le indagini proseguirono per anni, vennero raccolte nuove prove, vennero dimostrati i viaggi di alcuni esponenti di quella destra romana a Milano nel 1978 e vennero raccolte le testimonianze di numerosi pentiti attivi nell’estrema destra che avevano indicato nell’ambiente dei Nar il contesto in cui furono preparati gli omicidi.
Il 6 dicembre del 2000 la giudice per le indagini preliminari Clementina Forleo emise il decreto di archiviazione sull’omicidio di Fausto e Iaio. E scrisse:
«Pur in presenza di significativi elementi indiziari a carico della destra eversiva e in particolare degli attuali indagati, appare evidente allo stato la non superabilità in giudizio del limite indiziario e ciò soprattutto per la natura “de relato” delle pur rilevanti dichiarazioni».