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  • Sabato 17 marzo 2018

L’unica azienda di alcolici in Pakistan fa affari d’oro

Com'è produrre alcolici in un paese in cui in teoria – in teoria – possono bere solo i pochi non musulmani

Un dipendente nella fabbrica di Murree. (BEHROUZ MEHRI/AFP/Getty Images)
Un dipendente nella fabbrica di Murree. (BEHROUZ MEHRI/AFP/Getty Images)

In Pakistan l’alcol è vietato per i musulmani dal 1977, quando l’allora primo ministro Zulfiqar Ali Bhutto decise di proibirlo nonostante fosse lui stesso un grande fan del whisky: in particolare di quello della distilleria e birrificio Murree, l’unica di tutto il paese. Bhutto, che per molti altri versi era un politico relativamente liberale, sapeva che il suo divieto non avrebbe interessato la classe ricca pakistana, che ancora oggi – insieme ai cittadini stranieri – è la principale clientela di Murree. L’azienda negli ultimi anni sta facendo grandi affari. Bhutto per la cronaca venne impiccato due anni più tardi, dopo un colpo di stato.

Un dipendente di Murree tiene in mano una bottiglia di whisky. (BEHROUZ MEHRI/AFP/Getty Images)

Murree fu fondata nel 1860 dai britannici, per rifornire di alcolici le proprie truppe nella colonia pakistana. Oggi Murree produce whisky pregiati e diversi tipi di birra, che però può vendere legalmente, almeno in teoria, soltanto a circa il 3 per cento delle 207 milioni di persone che vivono in Pakistan: ma sono in realtà molti i pakistani musulmani che bevono, anche se non lo ammettono pubblicamente. Nel 2016, durante alcune proteste organizzate nella capitale Islamabad dal partito di opposizione Pakistan Tehreek-e-Insaf, un poliziotto perquisì l’auto di un politico del partito: trovò una bottiglia di whisky e l’immagine del ritrovamento fu trasmessa da tutti i media, generando uno scandalo. Parlare di alcol, in pubblico o in televisione, è ancora considerato un tabù in Pakistan, e il politico provò a difendersi dicendo che conteneva miele. Quella sera, però, fu ospite di un talk show televisivo durante il quale chiese agli altri politici presenti chi di loro non bevesse alcol: tutti rimasero in silenzio, senza rispondere.

Già diversi anni fa, nel 2009, la Corte federale della Sharia del paese, quella che regola l’applicazione della legge islamica, decise che la punizione di 80 frustate prevista per i musulmani sorpresi a bere alcol era anti-islamica. Non era comunque mai stata applicata. Nel paese si dice che lo stesso presidente Asif Ali Zardari e il suo predecessore Pervez Musharraf amino bere alcol privatamente, e in generale non è un mistero che lo faccia l’elite del paese, quella che parla inglese e pratica una versione dell’islam più moderna e moderata. Oggi sembra che la maggior parte delle persone non bevano alcol in Pakistan solo perché sono povere, e non perché sono musulmane. Ma l’ostilità verso un’abitudine ritenuta immorale e occidentale non è scomparsa del tutto: Salman Taseer, governatore del Punjab assassinato nel 2011 per essersi opposto alle leggi contro la blasfemia, era stato oggetto di una campagna diffamatoria online riguardo ad alcune foto che lo ritraevano mentre beveva vino insieme alla famiglia.

Un dipendente nella fabbrica di Murree. (BEHROUZ MEHRI/AFP/Getty Images)

Già nel 1977 Bhutto fissò una quota per la produzione e la vendita di alcol per i cittadini stranieri: negli hotel, per esempio, gli stranieri non musulmani possono consumare alcol se compilano un modulo in cui assicurano che è per motivi medici. Le minoranze religiose hanno anche una quota mensile di alcol acquistabile nei negozi di liquori con licenza sparsi per il paese, dove però capita spesso che si venda anche ai pakistani musulmani, pagando alcune tangenti alla polizia per fare sì che chiuda un occhio. Nel 2016, però, un tribunale della provincia del Sindh ha accolto una petizione che chiedeva di chiuderli anche ai non musulmani. Questo ha favorito le distillerie illegali della provincia, i cui liquori causano però annualmente morti e cecità tra i consumatori. In Pakistan circola poi molto alcol contrabbandato dalla Cina o dall’India, e altro – per le classi più ricche – arriva tramite le ambasciate.

Nonostante queste restrizioni, gli affari di Murree vanno benone: ha una capitalizzazione di mercato di circa 160 milioni di dollari, che la rende una delle più grandi aziende alimentari del paese. Nel 2016 ha raddoppiato la produzione di alcolici, e dal 2012 ha aumentato i guadagni del 100 per cento, sfiorando i 20 milioni l’anno scorso. In parte dipende dai residenti cinesi in Pakistan, dai quali proviene una sempre più grande richiesta di alcolici, e in parte dalla sempre maggiore tolleranza di alcune amministrazioni locali verso il consumo di alcolici negli hotel e nelle case dei ricchi.

Un dipendente nella fabbrica di Murree. (BEHROUZ MEHRI/AFP/Getty Images)

Murree è stata una delle prime aziende pubbliche del subcontinente indiano, ed è una delle più vecchie imprese pakistane. Dopo un periodo molto prospero culminato nella Seconda guerra mondiale, le vendite cominciarono ad abbassarsi per la progressiva scomparsa dei soldati britannici. La società cominciò a diversificare la produzione in bibite analcoliche, soprattutto dopo il divieto del 1977. Dopo il colpo di stato, Murree fu addirittura chiusa per un paio d’anni, prima che un tribunale ne ordinasse la riapertura. Ufficialmente produce per gli stranieri, ma la quantità di bottiglie di birra e liquori che escono dallo stabilimento è molto maggiore di quello consumato dalle poche milioni di persone che legalmente possono berlo.

Murree produce anche vodka e brandy, e negli ultimi anni ha cercato di espandere il suo mercato in altri paesi: nel 2013 è entrata nel mercato indiano, e nel 2014 ha aperto uno stabilimento a New York, sfruttando anche la pubblicità indiretta arrivata quando la figlia degli attori Bruce Willis e Demi Moore fu arrestata mentre beveva in pubblico, e sotto l’età legale, la birra pakistana, che peraltro non era ancora in commercio negli Stati Uniti.