Chi sarà il prossimo a essere cacciato da Trump?
Con i consiglieri e i funzionari dell'attuale Casa Bianca vale la regola di Game of Thrones: meglio non affezionarsi
Uno dei tratti distintivi di questi primi quattordici mesi dell’amministrazione Trump – uno dei molti tratti distintivi – è stato il ricambio senza precedenti dei politici, dei consiglieri e dei funzionari della cerchia più ristretta intorno al presidente. Alcuni sono stati licenziati, altri costretti a dimettersi, altri ancora se ne sono andati volontariamente. Le sostituzioni hanno interessato figure diverse: i fedeli e allineati a Trump, come il consigliere Stephen Bannon, figure più autorevoli e indipendenti, come il segretario di Stato Rex Tillerson, politici saldamente inseriti nel partito Repubblicano, come l’ex capo dello staff Reince Priebus, e personalità più sopra le righe ed estranee al mondo di Washington, come l’ex capo della comunicazione della Casa Bianca Anthony Scaramucci.
Nel corso del primo anno abbondante della presidenza Trump se ne sono andati anche l’ex portavoce della Casa Bianca Sean Spicer, l’ex vice capo dello staff Katie Walsh, il consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn e quello per l’economia Gary Cohn, tra gli altri. Le motivazioni sono state varie: contrasti con Trump su temi politici, com’è successo a Gary Cohn, che si è dimesso pochi giorni fa perché in disaccordo con i dazi sulle importazioni di alluminio e acciaio; questioni legate all’inchiesta sul rapporto tra il comitato elettorale di Trump e la Russia, come nel caso di Michael Flynn, che mentì al vice presidente Michael Pence riguardo una sua telefonata con l’ambasciatore russo; “bugie innocenti” per conto del presidente, cioè quelle che ha ammesso di avere detto Hope Hicks, ex capo delle comunicazioni e strettissima consigliera di Trump. Gli ultimi a essere stati licenziati, tra giovedì e venerdì, sono stati John McEntee, da molto tempo consigliere personale di Trump, e Andrew McCabe, vice direttore dell’FBI che sarebbe dovuto andare in pensione tra pochi giorni: ufficialmente è stato rimosso per aver diffuso informazioni non autorizzate sulla stampa, ma lui ha detto che è un tentativo di danneggiare l’inchiesta sulla Russia.
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Le dinamiche interne alla Casa Bianca sono tradizionalmente oggetto di interesse e retroscena sui giornali americani, e nel caso di Trump sono risultate particolarmente notevoli perché sono state caotiche, talvolta assurde, e si sono intrecciate ai giochi di potere tra le diverse fazioni a cui appartengono le persone alla Casa Bianca: i familiari di Trump, la vecchia guardia del Partito Repubblicano, quelli più intransigenti e quelli più ammanicati con la Russia, quelli dell’estrema destra e quelli più moderati, quelli più fedeli a Trump e quelli meno inclini ad adattarsi al suo carattere.
In questo senso, il principale cambiamento è arrivato con la nomina del generale John Kelly a capo dello staff, cioè il “braccio destro” del presidente e quello che ha il compito di gestire i suoi più stretti consiglieri. Kelly, uomo notoriamente intransigente e risoluto, è stato scelto proprio per riportare l’ordine in un’amministrazione per molti versi allo sbando. Negli ultimi giorni, però, è circolata sui giornali americani la notizia che Trump volesse licenziare lo stesso Kelly: ieri il Wall Street Journal ha scritto che per ora hanno “raggiunto una tregua”.
Non è detto che sia finita con Tillerson, naturalmente: ci sono diverse persone importanti dentro la Casa Bianca e il governo statunitense le cui posizioni si sono fatte molto precarie negli ultimi mesi, e che presto potrebbero dimettersi o essere rimpiazzate. Secondo un recente articolo del Washington Post, che ha parlato con 19 diverse persone che lavorano alla Casa Bianca, sarebbe Trump stesso ad alimentare talvolta le voci sulle imminenti rimozioni e sostituzioni, convinto di migliorare l’efficienza del suo staff. Lui stesso ha detto la scorsa settimana: «Mi piace il conflitto, mi piace avere due persone con punti di vista diversi. Mi piace vederlo, e penso che sia la direzione giusta in cui andare».
Per questo, secondo le fonti della Casa Bianca consultate dal Washington Post, c’è confusione e un clima di precarietà generale tra lo staff del presidente, e c’è chi ne è preoccupato e chi ci scherza sopra. A complicare le cose, una fonte ha raccontato che Trump a volte si arrabbia con consiglieri e ministri per problemi che non sono di loro competenza, ma di altri. Per rassicurare gli animi, venerdì Kelly ha convocato una riunione con il personale della Casa Bianca per dire che non sono previsti altri licenziamenti immediati.
Jared Kushner e Ivanka Trump
Una delle principali operazioni portate a termine da Kelly è stata diminuire i poteri e l’influenza su Trump di Jared Kushner, suo genero, e di sua moglie Ivanka Trump, entrambi formalmente consiglieri del presidente. Kushner era fra i dirigenti più importanti del suo comitato elettorale ed è stato un influentissimo consigliere alla Casa Bianca. Il ruolo di Kushner è stato oggetto di dibattito per molti mesi, ed è stato ulteriormente aggravato dalla scoperta del suo coinvolgimento nell’indagine sulla Russia: Kushner, infatti, incontrò in campagna elettorale sia l’ambasciatore russo che l’avvocata Natalia Veselnitskaya, che si sospetta rappresentasse il Cremlino, per ottenere materiale compromettente su Hillary Clinton. Il potere di Kushner era poi malvisto dagli altri consiglieri di Trump: Kushner, tra le altre cose, ha aiutato Trump a cacciare Bannon e Priebus.
Kelly ha progressivamente diminuito l’influenza di Kushner e il loro scontro è arrivato al culmine all’inizio di marzo, quando Kelly ha declassato il livello dei documenti e degli incontri riservati a cui Kushner può accedere. Kushner ha tra i suoi ruoli anche quello di consigliere sulle questioni di politica estera con il Medio Oriente e la Cina, e il divieto di accedere ai documenti più riservati è una limitazione notevole al lavoro che svolge alla Casa Bianca. CNN dice che dietro alla decisione di Kelly c’è il coinvolgimento di Kushner nell’inchiesta sulla Russia, ma diversi giornali americani hanno scritto, citando fonti vicine alla presidenza, che Kelly sta cercando un modo di allontanarli una volta per tutte dalla Casa Bianca. Kushner, da qualche mese, passa molto meno tempo con Trump e risponde direttamente al suo capo, cioè Kelly.
Un retroscena del New York Times dice che lo stesso Trump sarebbe ormai seccato dalla presenza di Kushner e di sua figlia Ivanka alla Casa Bianca, perché sarebbero un problema in più da gestire. Secondo il New York Times, Trump avrebbe chiesto a Kelly di trovare un modo per mandarli via. La questione del livello di sicurezza a cui ha accesso Kushner racconta delle cose: Trump, se avesse voluto, avrebbe potuto ridare a Kushner tutti i suoi privilegi, ma ha preferito delegare la decisione a Kelly, un po’ per non rompere la catena di comando, cioè le gerarchie dei suoi consiglieri, un po’ probabilmente per prendere le distanze. Potrebbe essere il primo segnale di un ridimensionamento anche formale, oltre che pratico, del ruolo di Kushner e di Ivanka Trump.
Jeff Sessions
È il procuratore generale degli Stati Uniti, ruolo corrispondente a quello di ministro della Giustizia. Sessions era stato il primo senatore Repubblicano ad appoggiare apertamente Trump e più tardi ne era diventato suo consigliere politico. Durante l’audizione in Senato per confermare la sua nomina a procuratore, Sessions mentì dicendo di non aver avuto contatti con funzionari russi: in realtà li aveva avuti, e quando si scoprì rinunciò a occuparsi personalmente dell’indagine sulle interferenze russe nella campagna elettorale americana, per timore di un conflitto di interessi. L’indagine fu quindi affidata al procuratore speciale Robert Mueller, su decisione del vice procuratore generale Rod Rosenstein.
Trump e Sessions hanno un pessimo rapporto, e non si impegnano molto per nasconderlo. A far cominciare il loro scontro è stata proprio la decisione di Sessions di delegare l’inchiesta sulla Russia, condotta con riconosciuta tenacia e fermezza da Robert Mueller e per questo criticatissima da Trump. Il presidente, in pratica, attribuisce a Sessions la responsabilità delle dimensioni raggiunte dall’inchiesta e il fatto che sia uscita dal controllo della Casa Bianca.
Secondo il New York Times, Trump chiese subito le dimissioni di Sessions, chiamandolo “idiota” in un incontro nello Studio Ovale: Sessions scrisse quindi una lettera di dimissioni, che però non fu accettata da Trump su suggerimento dei suoi consiglieri, preoccupati che il suo allontanamento potesse creare più danni che vantaggi. Secondo il New York Times, Sessions disse ai suoi collaboratori che era stata l’esperienza più umiliante della sua vita.
Trump critica e umilia con una certa regolarità Sessions e il suo lavoro, anche in pubblico: recentemente ha definito su Twitter vergognose le sue decisioni su un’indagine sui metodi di sorveglianza di massa, e si dice che lo abbia soprannominato “Mr. Magoo”, come il personaggio dei cartoni animati. Dal punto di vista dello scontro tra i due, non sarebbe quindi sorprendente un licenziamento di Sessions, che potrebbe anche essere per Trump un modo per riprendere il controllo dell’inchiesta sulla Russia, che essendo di competenza del Dipartimento di Giustizia dipenderebbe dalle decisioni del nuovo procuratore generale. Sarebbe un’interferenza plateale ed estrema, che attirerebbe feroci critiche e indignazioni. Il fatto che Sessions sia rimasto al suo posto, però, significa che finora ha prevalso la cautela, anche perché Trump ha già licenziato il direttore dell’FBI James Comey per motivi analoghi, ricevendo moltissime critiche e aggravando i suoi guai giudiziari.
H.R. McMaster
È un tenente generale di lungo corso, con una riconosciuta e autorevole esperienza, capitano del Secondo reggimento di Cavalleria pesante nella guerra del Golfo e tra i principali strateghi della guerra in Afghanistan e in Iraq. Dal febbraio del 2017 è consigliere per la sicurezza nazionale (è succeduto a Michael Flynn) e la sua nomina aveva ricevuto apprezzamenti bipartisan (uno dei rari casi nell’amministrazione Trump).
Secondo gli esperti, le idee di McMaster in politica estera sono molto diverse da quelle di Trump: il primo è da sempre un convinto sostenitore dell’interventismo militare all’estero finalizzato al nation building, cioè all’instaurazione di governi democratici in sostituzione di regimi autoritari; Trump invece ha condotto una campagna elettorale molto più isolazionista e ostile agli interventi militari. Per questo si diceva che McMaster sarebbe stato un buon consigliere per la Sicurezza nazionale di Hillary Clinton, più che di Trump. In molti ritengono che le posizioni di McMaster abbiano influenzato Trump dopo il suo insediamento: in particolare, McMaster è stato il principale sostenitore della linea dura con la Corea del Nord, quella della “opzione militare”, che recentemente sembra però essere stata soppiantata da quella delle trattative.
Per tutti questi motivi, però, McMaster è malvisto e osteggiato da quella fazione politica di estrema destra ed estranea al Partito Repubblicano che è stata fondamentale per l’ascesa di Trump, e in particolare da Bannon e dal giro di Breitbart e della cosiddetta “alt-right”, l’estrema destra. McMaster e Bannon – quando quest’ultimo era ancora alla Casa Bianca – si sono combattuti per mesi: il primo aveva cacciato consiglieri e funzionari fedeli al secondo, mentre il secondo aveva messo in giro voci su presunti scontri e tensioni tra McMaster e Trump.
Diversi retroscena raccontano che Trump abbia perso la pazienza con McMaster e alcune fonti sostengono che mal sopporti il suo peso e ritenga il suo atteggiamento superiore e “paternalista”. C’è anche chi ha fatto notare che McMaster è la persona che quotidianamente aggiorna Trump sulle “cattive notizie”, cioè le questioni più delicate di politica estera.
Finora McMaster potrebbe essere stato mantenuto per evitare l’imbarazzo di cambiare tre consiglieri per la Sicurezza nazionale in un anno. A fine febbraio però CNN aveva scritto, citando diverse fonti nell’amministrazione e nel Dipartimento della Difesa, che Trump e il Pentagono stavano considerando di allontanare McMaster, assegnandogli un nuovo ruolo fuori dalla Casa Bianca che avrebbe potuto sembrare una promozione. Alcune fonti avevano detto che Trump stava pensando di nominarlo generale e convincerlo ad andare in pensione. Ieri il Washington Post ha dato per certa la sua imminente sostituzione, dicendo che Trump ha già deciso, anche se la portavoce della Casa Bianca Sarah Huckabee Sanders ha smentito.
Just spoke to @POTUS and Gen. H.R. McMaster – contrary to reports they have a good working relationship and there are no changes at the NSC.
— Kayleigh McEnany 45 Archived (@PressSec45) March 16, 2018
Don McGahn
È un avvocato che è stato consigliere di Trump fin dalla campagna elettorale e che ora è il General Counsel della Casa Bianca, cioè il principale consigliere del presidente sulle questioni legali. Trump e McGahn si sono scontrati soltanto di recente, riguardo all’inchiesta sulla Russia. A fine gennaio il New York Times ha scritto che McGahn, durante un colloquio con gli investigatori che stanno indagando sulla Russia, avrebbe ammesso che Trump gli chiese di licenziare Mueller (cioè il capo di quegli stessi investigatori) e che lui lo impedì minacciando di dimettersi.
Trump, ha scritto sempre il New York Times, sarebbe venuto a conoscenza del contenuto di quella deposizione e avrebbe chiesto a McGahn di smentire l’articolo, minacciando di cacciarlo. McGahn si sarebbe rifiutato, e secondo il New York Times avrebbe ricordato al presidente, durante un confronto nello Studio Ovale, che le cose erano andate esattamente come aveva raccontato nella sua deposizione. Trump avrebbe detto di ricordare diversamente. Il comportamento di Trump sarebbe quindi stato grave su due diversi livelli: perché avrebbe ignorato i consigli dei suoi avvocati di non interessarsi all’indagine, per evitare di interferire, e perché avrebbe chiesto a McGahn di trovare il modo di licenziare Mueller. Lo scontro, in ogni caso, testimonia che anche il rapporto tra Trump e McGahn è teso e precario.