Un’organizzazione benefica in Germania ha smesso di dare cibo gratuito ai migranti
Erano diventati troppi e penalizzavano i tedeschi più poveri: è una storia complessa, accaduta a Essen
L’8 dicembre scorso la Essener Tafel, una delle organizzazioni benefiche più grandi in Germania, ha pubblicato sul suo sito un comunicato destinato a creare molto trambusto. Diceva che dal mese successivo l’ente avrebbe smesso di inserire nei suoi registri della città tedesca di Essen nuovi stranieri, escludendoli quindi dalla sua principale attività: la distribuzione di cibo per le persone povere. La decisione, spiegava Essener Tafel, era stata presa per tutelare la parte più povera della comunità locale, formata da circa 16mila persone: con l’aumento del numero di migranti in città registrato negli ultimi tre anni, infatti, il rapporto tra cittadini tedeschi e stranieri alle file della distribuzione giornaliera del cibo aveva cominciato a cambiare nettamente, e i secondi erano diventati molto più numerosi dei primi.
La Essener Tafel ha spiegato che la decisione sarebbe stata solo provvisoria: sarebbe durata il tempo necessario per riequilibrare il rapporto tra cittadini tedeschi e stranieri. Nel giro di qualche giorno però la storia è stata ripresa dai giornali locali e poi da quelli nazionali, ed è diventata un caso politico. Su un muro dall’edificio della Essener Tafel a Essen è stato scritto: «Nazisti». Alla fine di febbraio è intervenuta anche la cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha detto: «Nessuno dovrebbe fornire quei servizi sulla base di categorizzazioni di quel tipo. Non va bene. Ma questa storia mostra anche quanta pressione ci sia, e quante persone siano in stato di necessità». Qualche giorno fa la Essener Tafel ha annunciato che tornerà a registrare di nuovo anche gli stranieri.
Il trambusto che ha provocato questa storia, e le polemiche proseguite sui giornali e nei circoli politici tedeschi, hanno mostrato la complessità del problema. La corrispondente a Berlino del New York Times, Katrin Bennhold, ha scritto: «Tre anni dopo avere accolto più di tre milioni di rifugiati, in Germania molti dei costi per l’integrazione dei nuovi arrivati sono ricaduti sui più poveri, i cui quartieri sono cambiati e hanno dovuto iniziare a competere per le case popolari, per i posti nelle scuole e, nel caso del banco alimentare, per i pasti gratuiti». Karlheinz Endrischat, esponente locale del Partito Socialdemocratico (principale partito di sinistra in Germania), ha sostenuto cose simili e ha aggiunto: «Ci sono volte che cammini per strada e sei in minoranza».
In generale quelle sollevate da Bennhold e Endrischat sono questioni di cui si parla da anni in diversi paesi europei e che dominano ormai ovunque i dibattiti politici, anche in Italia. Sono problemi complessi a cui è difficile trovare una soluzione. Il caso di Essen è emblematico.
Tre anni fa, quando il governo tedesco guidato da Merkel aprì le porte della Germania ai richiedenti asilo provenienti dalla Siria, la comunità siriana di Essen aumentò da 1.300 a 11mila persone. La maggior parte di loro andò ad abitare nei quartieri del nord della città, quelli meno ricchi, e cominciò a rivolgersi ai servizi di assistenza tra cui quello della distribuzione di cibo gratuito. Alcuni membri della comunità locale hanno detto che a quel punto le cose sono cominciate a cambiare.
Peggy Lohse, 36 anni, madre single con tre figli, ha raccontato per esempio di essere tornata a casa più volte senza niente perché i migranti più giovani si erano fatti rapidamente largo fino all’inizio della fila. Lohse ha aggiunto che alcune donne anziane, più per una minaccia percepita che reale, si erano sentite intimidite dall’irruenza dei giovani stranieri e avevano smesso di andare alla distribuzione. Un’altra donna single, Steffi Tamm, 39 anni e con un figlio, ha raccontato di essere andata per la prima volta al banco della Essener Tafel 10 anni fa, mettendosi in coda insieme a molte altre persone al lato della strada, visibile da tutti. «C’è già un elemento di vergogna nel rimanere lì fuori. L’ultima cosa di cui si ha bisogno è dover lottare per un posto», ha detto Tafel, riferendosi agli episodi in cui alcuni giovani stranieri avevano cercato di avvantaggiarsi nella fila. Una cosa simile è stata detta anche da Habib Banavsch, una madre siriana con un figlio e il cui marito se ne è andato via tempo fa. Banavsch ha raccontato di non sopportare il fatto di fare la coda per chiedere la carità: «Preferirei di gran lunga essere a casa mia, nel mio paese». Banavsch però a casa sua non può tornare: viene da Afrin, città nel nord della Siria contesa tra curdi e turchi alleati con i ribelli siriani.
Il capo di Essener Tafel a Essen, Jörn Sartor, ha detto che la sua organizzazione non è stata l’unica in Germania a escludere i nuovi stranieri dai servizi offerti: ha sostenuto che lo abbiano fatto altri gruppi, anche se in maniera meno esplicita. Nonostante Sartor sia diventato una specie di “eroe” per i cittadini tedeschi più poveri favoriti dalla sua decisione, le critiche sono state molte. Sabine Werth, capo della sezione della Essener Tafel a Berlino, ha spiegato che uno dei principi che si dovrebbero sempre seguire nella beneficenza è che si offrono servizi alle persone sulla base della necessità, non del paese di provenienza. Quello che ha fatto Sartor, ha detto Werth, è applicare il principio di “Germany First”, “la Germania prima di tutto”, espressione diventata nota con Donald Trump durante l’ultima campagna presidenziale americana (allora si parlava di “America First”).
La decisione di sospendere la registrazione dei nuovi stranieri verrà revocata entro la fine di marzo, ha fatto sapere la Essener Tafel. Non si sa se verrà reintrodotta di nuovo in futuro, quando il rapporto tra cittadini tedeschi e stranieri tornerà a essere sproporzionato. Per il momento questa eventualità non è stata esclusa.