Chi è Maurizio Martina
Da dove viene il vicesegretario del PD che guiderà il partito (almeno) fino a metà aprile
Lunedì la direzione nazionale del PD, l’organo di indirizzo politico del partito, ha assegnato al vicesegretario Maurizio Martina il compito di guidare il partito fino all’Assemblea nazionale che a metà aprile dovrà scegliere un primo successore del segretario dimissionario Matteo Renzi, in attesa di avviare il congresso. Martina – che era anche ministro delle Politiche Agricole e che si è dimesso da questo incarico nel pomeriggio di martedì 13 marzo – guiderà il partito per più di un mese: l’assemblea potrebbe confermarlo come reggente fino al congresso, ma non è scontato, e alla fine di questo processo si troverà probabilmente in una buona posizione per essere considerato tra i possibili candidati alla successione a Renzi. È un importante balzo di carriera per lui, a lungo funzionario di partito poco conosciuto, diventato vicesegretario meno di un anno fa e oggi arrivato di fatto alla guida del partito.
Martina ha 40 anni ed è nato nel 1978 in una famiglia di operai della provincia di Bergamo, un’area dove i voti sono sempre stati raccolti prima dalla Democrazia Cristiana e poi dalla Lega Nord. Martina si è diplomato all’istituto agrario per poi laurearsi in scienze politiche a Macerata. Il suo impegno politico è cominciato prima nel Movimento Studentesco e poi nella Sinistra Giovanile della Lombardia. A 21 anni era già stato eletto consigliere comunale del suo paese, Mornico al Serio, con una lista civica vicina all’allora sindaco, presidente della Compagna delle Opere, l’associazione di imprenditori vicina a Comunione e Liberazione che in alcune aree della provincia di Brescia e Bergamo ha più iscritti della Confindustria.
Con la nascita dei Democratici di Sinistra, il partito erede del PCI che sarebbe poi diventato il Partito Democratico, Martina iniziò una rapida carriera da dirigente: prima come segretario dell’organizzazione giovanile in Lombardia, poi come segretario provinciale dei DS e infine come segretario regionale del partito lombardo. All’epoca fu intervistato dall’oggi direttore del Post, Luca Sofri, e disse tra le altre cose questa cosa a suo modo profetica:
In realtà io penso che, boh, bisognerebbe riflettere sul ritardo del progetto PD: ogni tanto io me lo chiedo, non è che siamo fuori tempo massimo? Mi guardo in giro e – lascia stare Grillo – ma ovunque… cazzo, in treno, c’è un sentimento antistato, antipubblico, antipolitico. Persino a me, da dentro la politica, a volte viene da dire: “Ma dove cazzo stiamo?” Ti racconto questa cosa. Un giovane parlamentare dei Ds arriva alla Camera per la prima volta dopo essere stato eletto e incontra un collega del suo partito di lunga carriera parlamentare, e il secondo sai che gli chiede? “Ma come è fuori?”
Quello con Martina a capo dei DS e del PD in regione non fu un periodo particolarmente fortunato per la sinistra lombarda. Furono gli anni dello scandalo di Filippo Penati, importante alleato di Martina accusato di corruzione (e poi assolto), del calo degli iscritti, della sconfitta di Stefano Boeri, candidato PD alle primarie per il sindaco di Milano vinte da Giuliano Pisapia, candidato di SEL, e infine di quella di Umberto Ambrosoli, candidato alla regione dopo la caduta di Roberto Formigoni e sconfitto da Roberto Maroni (andò leggermente meglio non appena Martina lasciò l’incarico, dopo il 2014, quando il PD ottenne una vittoria alle amministrative a Milano, a Mantova e per la prima volta in 20 anni a Varese).
Martina è sempre stato parte della componente di maggioranza del partito, restando in minoranza solo per un anno e mezzo dopo la vittoria di Renzi. È stato per molto tempo vicino all’area di Pier Luigi Bersani, che sostenne alle primarie del 2012. Al congresso del 2013, quello vinto da Matteo Renzi, appoggiò Gianni Cuperlo. Nel 2013 fu chiamato da Enrico Letta come sottosegretario all’Agricoltura e, quando il governo passò nelle mani di Matteo Renzi, venne promosso a ministro, come rappresentante della minoranza del partito all’interno del governo. Poco più di un anno dopo, in occasione della discussione dell’Italicum, Martina sancì la sua uscita ufficiale dalla minoranza, in disaccordo con la loro decisione di non votare la fiducia alla legge elettorale. Martina fondò “Sinistra è cambiamento”, la corrente di cui è il leader e che comprende tra gli altri la viceministra dello Sviluppo economico Teresa Bellanova, il ministro dell’Istruzione Valeria Fedeli e il deputato Cesare Damiano. Poco dopo la fondazione, “Sinistra è cambiamento” entrò nella maggioranza che sosteneva il segretario Renzi.
Nel 2015, in qualità di ministro, ebbe un importante ruolo all’interno di EXPO, ottenendo riconoscimenti e visibilità, ed è stato uno dei principali promotori della legge contro il caporalato in agricoltura. Ma per la sua attività ministeriale ha ricevuto anche alcune critiche, in particolare per le sue posizioni conservatrici e poco innovative in molti ambiti: Martina si è espresso più volte contro gli OGM e ha invece simpatizzato e patrocinato iniziative discutibili come quelle che riguardavano l’agricoltura biodinamica, una dottrina esoterica elaborata da un mistico nei primi del Novecento e tornata di moda negli ultimi anni. Su altre questioni spinose che hanno riguardato il suo ministero, come l’infestazione della Xylella in Puglia e la soppressione della Guardia forestale, che dipendeva proprio dal suo ministero, non ha espresso opinioni forti, preferendo mantenere un profilo basso.
Uno dei momenti più importanti della sua carriera politica è arrivato in occasione del congresso del 2017, quello avviato in seguito alle dimissioni di Renzi dopo la sconfitta al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Martina infatti venne scelto da Renzi come suo vicesegretario; insiem vinsero le primarie con circa il 70 per cento dei voti. Ora che, in seguito alle dimissioni di Renzi, ha assunto le funzioni di segretario, Martina ha detto che intende gestire il partito in maniera molto diversa da quella decisionista e accentratrice usata fino a oggi. «Con il vostro contributo», ha detto durante il suo discorso di lunedì alla direzione nazionale, «cercherò di guidare il partito nei delicati passaggi interni e istituzionali a cui sarà chiamato. Lo farò con il massimo della collegialità e con il pieno coinvolgimento di tutti, maggioranza e minoranze».