Tre amici che fanno film
Come hanno fatto i messicani Guillermo del Toro, Alfonso Cuarón e Alejandro González Iñárritu a vincere quattro degli ultimi cinque Oscar per la Miglior regia
Subito dopo la fine della notte degli Oscar 2018 Barry Jenkins, il regista di Moonlight, ha scritto: «Wow wow wow. Immaginate se fra cinque anni voi e i vostri due migliori amici vinceste il più importante premio per la cosa che più vi piace e a cui avete scelto di dedicare la vostra vita». Si riferiva a Guillermo del Toro, Alfonso Cuarón e Alejandro González Iñárritu: sono messicani, sono nati nella prima metà degli anni Sessanta, sono amici, fanno i registi e hanno vinto quattro degli ultimi cinque Oscar per la Miglior regia. Cuarón nel 2014, per Gravity; Inarritu nel 2015 e nel 2016, per Birdman e The Revenant; del Toro quest’anno, per La forma dell’acqua.
Three amigos. Five years. Nine Oscars. One love for cinema 📹 pic.twitter.com/ibBymUsjxh
— Matt Neglia (@NextBestPicture) March 7, 2018
Cuarón, Iñárritu e del Toro sono noti da anni come i Three Amigos (così, con il numero in inglese e la parola in spagnolo): che è anche il titolo di un testo accademico sul loro «cinema transnazionale», a sua volta ispirato al titolo di un film western del 1986. Oltre agli Oscar per la regia, i Three Amigos hanno diretto film costosi, complicati e tra loro molto diversi, che sono spesso stati apprezzati dai critici e hanno in certi casi anche incassato molto. I loro film degli ultimi anni hanno vinto in tutto 25 Oscar.
The three amigos! pic.twitter.com/tJeInAREql
— Santiago Segura (@SSantiagosegura) March 5, 2018
Ci sono due ragioni per cui tre amici, connazionali e quasi coetanei, hanno avuto così tanto successo: la prima ha a che fare con il loro talento e la loro capacità di muoversi bene, anche se spesso con grandi rischi, nel cinema; la seconda riguarda invece il cinema messicano che, anche a prescindere da loro tre, sta diventando sempre più grande e migliore.
Il cinema messicano
Nella sua storia il cinema messicano ha avuto periodi buoni, ma mai ottimi. Un esempio: l’Italia ha vinto 11 Oscar per il Miglior film straniero; il Messico nessuno. Il momento migliore del cinema messicano è stato tra gli anni Trenta e Sessanta: gli anni del regista e attore Emilio Fernández e del lavoro in Messico del grande regista Sergei Eisenstein e del regista spagnolo Luis Buñuel. Nei decenni successivi, poca roba: Ioan Grillo ha scritto sul New York Times che «negli anni Ottanta, l’industria del cinema messicano era ai minimi storici, dominata da film sconci su bar frequentati da prostitute, e comunque messo in secondo piano rispetto alle telenovelas». Il critico cinematografico messicano Arturo Aguilar ha detto a NBC News che «al tempo non c’era varietà nei film fatti e c’era poco spazio per chi aveva talento».
Fino ai primi anni del Duemila in Messico c’erano pochissimi soldi per il cinema. I dati dell’Instituto Mexicano de Cinematografía dicono che nel 2002 furono prodotti solo 14 film, la metà dei quali grazie a fondi privati. Nel 2017 i film prodotti sono stati 170: sono ancora pochi – l’Italia ha meno abitanti e ne ha prodotti più di 200 – ma è un bel passo avanti rispetto ai 14 del 2002 o ai 73 del 2011. La novità più importante si chiama EFCINE: esiste dal 2007 e dà incentivi fiscali ai privati che finanziano la produzione di film. Continuano quindi a non esserci molti fondi governativi ma, anche visto che il Messico non è poi così lontano da Hollywood, si è cercato di invogliare gli investitori a andare in Messico.
Oltre alla quantità, però, è aumentata anche la qualità. Da qualche anno si parla infatti di “nuovo cinema messicano” con riferimento all’ascesa, oltre che dei Three Amigos, degli attori Diego Luna e Gael Garcia Bernal, del direttore della fotografia Emmanuel Lubezki (tre Oscar consecutivi) e al successo di film d’autore di registi giovani premiati al Sundance o ai festival di Cannes e Berlino: Post Tenebras Lux di Carlos Reygadas e Heli di Amat Escalante, del 2012; Museo di Alonso Ruizpalacios, del 2013; Tiempo compartido di Sebastian Hoffman, del 2017.
I Three Amigos
Ma del cinema messicano si parla così tanto perché ci sono Cuarón, Iñárritu e del Toro: Grillo ha scritto che già dagli anni Novanta «invertirono la tendenza e si misero a raccontare horror storici, storie sull’HIV, storie sui combattimenti tra cani nei loschi quartieri delle città».
Cuarón e Iñárritu sono di Città del Messico; del Toro, il più giovane dei tre, è di Guadalajara. Cuarón e del Toro lavorarono insieme a fine anni Ottanta sul set di La Hora Marcada, la versione messicana della serie tv Ai confini della realtà. Cuarón faceva il tecnico degli effetti speciali e del Toro era aiuto-regista: a entrambi capitò poi di dirigere anche qualche episodio. Lì collaborarono con Lubezki, che era a sua volta amico di Iñárritu (che al tempo lavorava in radio) e lo presentò agli altri due.
Il primo a fare film fu Cuarón, che nel 1991 diresse Uno per tutte, su un uomo che crede di avere l’AIDS. Nel 1995 e nel 1998 diresse La piccola principessa e Paradiso perduto, due film americani tratti da due romanzi. Nel 1993 del Toro diresse in Messico l’horror Cronos e, nel 1995 negli Stati Uniti, l’horror fantascientifico Mimic. Negli anni Novanta Iñárritu fece un film per la tv. Aguilar, il critico cinematografico messicano, ha detto che i Three Amigos hanno fatto i loro primi film nel momento giusto, «durante un’ondata di globalizzazione del cinema, in cui Hollywood si stava interessando ai film del resto del mondo molto più di quanto avesse fatto negli anni Settanta e Ottanta».
I primi film davvero importanti di tutti e tre arrivarono però nei primi dieci anni del Duemila: Cuarón diresse Y tu mamá también, Harry Potter e il prigioniero di Azkaban e I figli degli uomini; Iñárritu diresse Amores perros, 21 grammi e Babel; del Toro diresse Blade II, due Hellboy e Il labirinto del fauno. Prima di La Forma dell’acqua, del Toro ha diretto anche Pacific Rim, nel 2013, e Crimson Peak, nel 2015.
Dal 2013 in poi sono arrivati i veri successi, di pubblico e di critica: Gravity, Birdman, Revenant e La forma dell’acqua: quattro film, diciotto Oscar.
Monica Castillo ha scritto su IndieWire che la carriera di ognuno dei Three Amigos ha beneficiato della presenza degli altri, «un po’ come la New Hollywood degli anni Settanta fece partire le carriere di Martin Scorsese, Francis Ford Coppola e Steven Spielberg». Cecilia Ballesteros ha scritto su El Pais che «i tre si danno spesso consigli e nei titoli di coda dei film di uno compaiono spesso i nomi degli altri due. Sono anche i critici più severi dei film degli amici. Del Toro ha detto: “Se nei loro film vedo una cosa che mi fa schifo, a loro lo dico. È quello che fanno gli amici”. Cuarón ha detto: “Non c’è un mio film che io non faccia vedere loro, che non passi dalle loro mani e davanti ai loro occhi”».
Tutti e tre sono diventato famosi alternando grandi produzioni americane (come Pacific Rim o Harry Potter e il prigioniero di Azkaban) a film che di caso in caso possono essere descritti come più coraggiosi, intimi, difficili o d’autore: come Amores perros, Y tu mamá también o Carne Y Arena, il film/installazione artistica in realtà virtuale di Iñárritu. Tutti e tre hanno però sperimentato molto più del comune anche quando hanno fatto film americani, con un grande budget: non si sono normalizzati per piacere al “grande pubblico”, hanno usato i soldi per fare cose ancora più strane. Gravity è fatto all’ottanta per cento di grafiche a computer; Birdman è fatto per sembrare un unico lunghissimo piano sequenza; The Revenant ha più versi che parole; La forma dell’acqua è una storia alquanto strana, girata in modo non ordinario. John Hecht, corrispondente dal Messico di Hollywood Reporter, ha scritto che i Three Amigos «si spingono oltre i limiti della tecnologia, della fotografia, della narrazione».
Come ha scritto Grillo, i film di Cuarón, Iñárritu e del Toro si assomigliano però poco nei temi e nei generi: «I film di del Toro parlano di mostri e sono favole horror (fatta eccezione per La forma dell’acqua), Iñárritu racconta drammi e Cuarón ribalta i cliché dei generi a cui si dedica». Nel 2009 Larry Rother scrisse sul New York Times che i tre amici sono anche molto diversi come personalità, storia e gusti: «Del Toro si autodefinisce nerd, è soprannominato El Osito (l’orsacchiotto), è caloroso e fa tante battute». Iñárritu è considerato il “talento più puro” e ha iniziato dopo a fare film – perché prima ha fatto programmi tv in Messico e diretto alcune importanti pubblicità – ma è diventato noto, e ricco, prima degli altri. Cuarón è per certi versi una via di mezzo tra gli altri due: parlando di del Toro ha detto che «le sue inquadrature sono matematiche, tutto è preparato nel dettaglio»; di Iñárritu ha detto che «non sa mai cosa sta per girare prima di girarlo. È come un inviato di guerra: deve essere sul posto per capire».
L’attore García Bernal ha detto che i tre hanno anche cose in comune: «La fame di cinema e una conoscenza enciclopedica dei film e di altre forme di cultura popolare». Bernal ha detto che «i tre parlano un linguaggio comune e che essere cresciuti nello stesso paese e negli stessi anni fa sì che i loro riferimenti siano gli stessi».
È qualche anno che i Three Amigos non parlano di Messico nei loro film, ma il critico cinematografico Salvador Franco ha detto al New York Times che «anche se non in modo esplicito, il Messico emerge in modi più sottili». Perché i film di del Toro partono dalle credenze popolari sugli spiriti e i demoni, e perché le sue storie hanno a che fare con il realismo magico della tradizione letteraria latino-americana. Perché i film di Iñárritu «rompono l’ottimismo di Hollywood e mostrano realtà più disfunzionali» e perché certi film di Cuarón «mettono in mostra la consapevolezza di differenze tra classi sociali, guardando ai punti di contatto tra ricchi e poveri».
Ma c’è anche chi ha accusato Cuarón, Iñárritu e del Toro di essere diventati troppo americani e di non aver raccontato in modo diretto il presente del Messico: per esempio i problemi legati al narcotraffico. È tra l’altro una storia che almeno uno dei tre conosce bene, perché nel 1997 il padre di del Toro fu rapito per più di due mesi da alcuni narcotrafficanti. Hecht scrisse nel 2015: «I tre registi sono una fonte d’orgoglio per il Messico, ma non fanno cinema messicano, fanno film di Hollywood».
Intanto, il prossimo film di uno dei tre registi a uscire sarà diretto da Cuarón: si intitolerà Roma, dovrebbe arrivare entro fine anno e sarà ambientato a Città del Messico (Roma è il nome di un quartiere della città) nel 1971, l’anno in cui i militari uccisero alcuni studenti che protestavano, tra le altre cose, contro la privatizzazione delle università. Nei prossimi mesi dovrebbe anche uscire il film di Jonás Cuarón, figlio di Alfonso e co-sceneggiatore di Gravity: si intitolerà Zorro e se ne parla come di una versione futuristica di Zorro. A chi dopo gli Oscar gli ha chiesto cosa ci fosse di messicano in La forma dell’acqua, del Toro ha risposto: «Io».