Ci sono cellule che mangiano, rigurgitano e rimangiano i tatuaggi
Un gruppo di ricercatori ha scoperto – per caso – che i macrofagi sono centrali nel rendere permanenti i tatuaggi
Siamo abituati a vedere i tatuaggi come qualcosa di stabile e permanente, pressoché immutabile nel tempo, ma ora una ricerca suggerisce che siano al centro di un processo di cambiamenti senza fine: uno sforzo continuo e senza risultati del nostro organismo per sbarazzarsene. I cristalli d’inchiostro iniettati negli strati (derma) sotto la superficie della pelle sono costantemente accerchiati e ingoiati da particolari cellule, che poi li rigurgitano facendo ricominciare da capo il processo. Almeno questa è la conclusione di un interessante studio condotto da un gruppo di ricerca dell’Università di Marsiglia, in Francia, di recente pubblicato sulla rivista scientifica Journal of Experimental Medicine (JEM).
I ricercatori stavano studiando le cellule di alcuni topi per un altro progetto, quando hanno notato la particolare attività di alcuni macrofagi, le cellule del sistema immunitario che hanno la capacità di inglobare (“fagocitare”, da qui il nome) particelle estranee, confinarle nelle loro membrane cellulari e infine distruggerle. Osservandoli al microscopio, si sono accorti che stavano assorbendo i pigmenti prodotti dalla melanina che dà la colorazione ai topi. Si sono quindi chiesti se lo stesso processo potesse avvenire anche con i tatuaggi, cioè con un colorante proveniente dall’esterno.
Dopo avere selezionato un gruppo di topi albini – privi quindi di melanina – i ricercatori hanno tatuato sulle loro code alcune strisce di colore verde, usando una tecnica simile a quella usata dai tatuatori. Osservando le cellule al microscopio, hanno notato che i macrofagi si erano attivati per prelevare l’inchiostro e provare a distruggerlo. Uccidendo i macrofagi e lasciando nuovamente libero l’inchiostro, ne arrivavano di nuovi per compiere la stessa operazione.
I ricercatori hanno allora prelevato campioni di pelle da un topo e li hanno trapiantati su un altro. Dopo un mese e mezzo, hanno notato che la maggior parte dei macrofagi sul tessuto trapiantato appartenevano al topo ricevente e non al donatore. Questo, scrivono nello studio, dimostra che i macrofagi si sono rinnovati nel corso del tempo, contraddicendo altre ricerche compiute in passato sulle loro interazioni con i tatuaggi.
Che i macrofagi intervengano sui cristalli d’inchiostro dei tatuati è infatti noto da tempo, ma finora dermatologi e ricercatori erano convinti che queste cellule avessero una vita lunghissima e stabile. L’ipotesi era che arrivassero nella zona infiltrata dall’inchiostro, ne assorbissero un po’ e poi rimanessero lì in modo permanente, contribuendo a rendere il tatuaggio uguale nel tempo. Il nuovo studio sembra invece indicare che i macrofagi siano rimpiazzati di continuo da loro nuovi colleghi, in un ciclo senza sosta per provare a sbarazzarsi dell’inchiostro (o almeno, che questo avvenga nei topi).
Nello studio i ricercatori ipotizzano che i cristalli di inchiostro siano troppo grandi per essere distrutti dai macrofagi, dopo che li hanno fagocitati. Questo fa sì che l’inchiostro resti visibile e il tatuaggio al suo posto. Con il passare del tempo, i macrofagi muoiono e rilasciano il colore che avevano inglobato, che viene assorbito dai nuovi macrofagi, arrivati per sostituire quelli vecchi. Il ciclo si ripete di continuo, contribuendo a rendere permanente il tatuaggio.
Ricerche analoghe dovranno essere ora condotte sugli esseri umani, per trovare nuove conferme e approfondire le conoscenze sui meccanismi che regolano i macrofagi. Le prossime ricerche potrebbero portare non solo a capire meglio come funzionano queste cellule, ma anche a ottenere sistemi più semplici e meno invasivi per rimuovere un tatuaggio. In molti casi con gli attuali sistemi laser sono necessarie fino a 20 sedute per cancellarne uno, processo che talvolta lascia cicatrici più o meno evidenti.
Altri ricercatori vogliono capire se i macrofagi abbiano un ruolo nei processi di rimozione dei tatuaggi con il laser. L’ipotesi è che queste cellule riassorbano le particelle di inchiostro polverizzate dalla luce laser, rendendo più difficoltosa la loro completa distruzione. Test eseguiti usando particolari antinfiammatori hanno consentito di dimezzare le sedute necessarie per eliminare un tatuaggio, ma la tecnica è ancora sperimentale e poco usata.