L’altra volta che un leader americano provò a trattare con la famiglia Kim
Nel 2000 la segretaria di Stato Madeleine Albright incontrò il padre di Kim Jong-un, ma fu una visita bizzarra e senza frutti
L’8 marzo si è saputo che il dittatore nordcoreano Kim Jong-un e il presidente degli Stati Uniti Donald Trump proveranno a incontrarsi entro maggio per parlare di denuclearizzazione della Corea del Nord. Sarebbe un evento importante, soprattutto perché negli ultimi mesi la Corea del Nord ha aumentato i suoi test missilistici e dimostrato un certo sprezzo per le regole internazionali, e perché Trump disse, tra le altre cose, di essere pronto a riversare sulla Corea del Nord “un oceano di fuoco e fiamme”. Un incontro tra Trump e Kim Jong-un sarebbe già di per sé storico, ma non sarebbe il primo incontro fra un membro della famiglia Kim e un importante leader statunitense. Nel 2000 Madeleine Albright, allora segretaria di Stato del presidente Bill Clinton, andò infatti in Corea del Nord e incontrò Kim Jong-il, padre di Kim Jong-un e suo predecessore. Non andò benissimo.
Kim Jong-il è stato dittatore della Corea del Nord dal 1994, quando morì il padre e capostipite Kim Il-Sung, al giorno della sua morte nel 2012. Kim Jong-il era molto diverso dal padre: si preoccupava pochissimo del popolo e della sua estrema condizione di povertà; amava molto la bella vita – spendeva centinaia di migliaia di dollari l’anno in Hennessy, il suo cognac preferito– e il culto della sua persona. Anche lui, come il figlio, faceva test missilistici che comprensibilmente non andavano bene alle democrazie del mondo e anche lui, come il figlio, a un certo punto sembrò voler interrompere quei test.
Madeleine K. Albright, che ora ha 80 anni, divenne segretaria di stato all’inizio del secondo mandato di Bill Clinton, dopo essere stata ambasciatrice degli Stati Uniti all’ONU: fu la prima donna ad avere quell’incarico. Quando Kim Jong-il disse di essere intenzionato a parlare con gli Stati Uniti, verso la fine del mandato di Clinton, l’amministrazione americana mandò da lui proprio Albright. Prima di lei nessun alto rappresentante del governo statunitense aveva mai incontrato un leader nordcoreano.
Albright andò in Corea del Nord nell’ottobre 2000. Il mese successivo ci sarebbero state le elezioni statunitensi – vinte da George W. Bush, di pochissimo, contro Al Gore – e l’amministrazione Clinton sperava di poter chiudere la sua presidenza con un gran colpo di politica estera. Jane Perlez fu una delle persone che seguirono Albright nel suo viaggio da Kim Jong-il e ne ha scritto di recente sul New York Times.
Perlez ha raccontato che ai giornalisti la cosa fu comunicata con pochissimo anticipo e che con loro viaggiarono diversi esperti di Corea ed energia nucleare. «Allora come oggi c’erano stati da poco dei faccia a faccia tra i leader delle due Coree», racconta Perlez, e l’atmosfera generale era «di ottimismo».
Perlez scrive che una volta arrivata in Corea del Nord, «Kim lusingò Albright ogni volta che poteva»: portò la delegazione statunitense a visitare il mausoleo dedicato a suo padre Kim Il-sung, e organizzò una «sfarzosa cena piena di vini francesi». Per ricambiare, Albright regalò a Kim una palla da basket firmata da Michael Jordan.
Non mancarono momenti imbarazzanti. A un certo punto Kim invitò a sorpresa Albright a partecipare a un evento di propaganda organizzato in uno stadio e la cosa creò qualche problema: Albright avrebbe dovuto sedersi accanto a un dittatore per un evento pubblico di celebrazione di quella dittatura. Insieme ai suoi consulenti decise però di accettare l’invito, per non compromettere la possibilità di aprire una trattativa.
Allo stadio si celebrarono i 55 anni del partito comunista nordcoreano, con coreografie di ginnasti e ballerini e con diverse immagini – alcune create dalle persone sugli spalti – che celebravano la dittatura e la sua storia. Perlez scrive che «a metà cerimonia, fu mostrata l’immagine del lancio di un missile balistico» e che «fu un momento incongruo e imbarazzante. Albright si era affermata come paladina della democrazia ed era lì, seduta a guardare e applaudire lo spettacolo di propaganda di un regime comunista». Nel 2000 Perlez descrisse così quella serata sul New York Times:
All’arrivo dei due nello stadio, l’immensa folla si è alzata all’unisono, e, con una fragorosa musica in sottofondo, ha allungato le braccia per salutare Kim, come se fosse una divinità.
Una scena conclusiva, dal titolo “Difenderemo il nostro potente Paese con i fucili”, è stata fatta con centinaia di uomini armati che marciavano in uniforme e urlavano “proteggeremo il nostro leader”. Una danza meno minacciosa, dal titolo “Il leader sarà sempre con noi”, è stata fatta da circa un centinaio di bambini vestiti in bianco e ginnasti. Le immagini di Albright che chiacchiera amabilmente con Kim sono state usate nei telegiornali della sera, che hanno parlato dell’importanza di aver avuto un così importante ospite alla cerimonia.
In tutto, Kim Jong-il e Albright parlarono per sei ore «di dettagli tecnici su una moratoria contro l’uso e la produzione di missili da parte della Corea del Nord». Albright disse ai giornalisti che Kim Jong-il aveva fatto una «promessa incondizionata» di non fare altri test missilistici e che lei aveva preso «seriamente» le sue parole. Richard A. Boucher, portavoce di Albright, disse che l’incontro era stato «utile e importante». A quell’evento ne seguì uno in Malesia tra esperti dei due paesi, ma senza alti rappresentanti governativi.
Al ritorno di Albright dalla Corea del Nord, l’amministrazione Clinton considerò l’eventualità di un viaggio in Corea del Nord di Clinton, che Kim Jong-il aveva invitato a Pyongyang. Clinton avrebbe avuto tempo, perché anche se le elezioni erano a novembre il nuovo presidente sarebbe entrato in carica a gennaio, ma decise di non andare: un po’ per via del contestato risultato elettorale, un po’ perché l’amministrazione non credette molto alle intenzioni di Kim Jong-il e preferì concentrarsi su un’altra questione: le trattative di pace fra Israele e Palestina (che poi non andarono a buon fine).
Secondo Perlez, «molti videro il viaggio di Albright come una vittoria della propaganda nordcoreana, perché di fatto era andata lì a omaggiare la dinastia dei Kim». Al posto di Clinton fu eletto George W. Bush, che ci mise poco a mettere la Corea del Nord tra gli stati del cosiddetto “asse del male” insieme a Iran e Iraq.