Cosa si deve inventare un libraio, oggi
Per competere con Amazon, riparare il tetto d'inverno e trovare nuovi clienti: lo racconta, in un libro pubblicato da Einaudi, il proprietario della più grande libreria di libri usati della Scozia
Il mestiere del libraio è una di quelle professioni che in futuro potrebbero scomparire: sempre più libri vengono acquistati online, nel 2017 in Italia l’1,2 per cento in più rispetto al 2016. I librai sanno di essere una categoria a rischio di estinzione e proprio per questo negli ultimi anni molti di loro si sono ingegnati per dare ai lettori servizi in più che una libreria online non potrebbe mai offrire. Anche di queste strategie parla Una vita da libraio di Shaun Bythell, il proprietario della più grande libreria di libri usati della Scozia: è un diario lungo un anno che raccoglie aneddoti sui clienti della libreria, su chi cerca di vendere la biblioteca di un parente morto, sulle difficoltà di avere a che fare con le poste e con Amazon e sui problemi di dover riparare il tetto in un periodo dell’anno in cui nessuno compra libri.
Una vita da libraio è uscito il 6 marzo, pubblicato da Einaudi. È uno di quei libri che parlano di libri, quindi forse bisogna essere uno dei cosiddetti “lettori forti” per volerlo leggere. È però anche istruttivo per capire cosa si deve inventare un libraio contemporaneo per continuare a fare il suo lavoro. Tra le altre cose parla anche degli abitanti di Wigtown, collaboratori, amici e clienti di Bythell, di cui sul Post avevamo scritto per il suo festival letterario, per la sua alta densità di librerie – ha meno di mille abitanti e undici negozi di libri – e perché una di queste si può affittare su Airbnb per provare l’esperienza di essere un libraio per una o due settimane.
Pubblichiamo un estratto di Una vita da libraio, tre giornate di febbraio e marzo 2014.
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Lunedí 10 febbraio.
Ordini online: 8
Libri trovati: 7
Tra gli ordini online di oggi ce n’era uno per un libro intitolato Guida alle carni di qualità.
Poiché la libreria genera un discreto volume di traffico, abbiamo stipulato un contratto con la Royal Mail che ci permette di pagare le tasse di spedizione online invece di far timbrare i pacchi alla posta: cosí ogni giorno dobbiamo soltanto consegnare a Wilma (la direttrice dell’ufficio postale) il nostro sacco di plichi già affrancati, dopodiché qualcuno viene a prenderli e li trasporta al centro di smistamento.
A Wigtown, come in molti paesi di campagna, l’ufficio postale coabita con un esercizio commerciale, che nel caso specifico è l’edicola/negozio di giocattoli di un nordirlandese di nome William. Non è ben chiaro quale possa essere l’opposto di un carattere solare, ma una cosa è certa: William è cosí. Anche troppo cosí. Non c’è una volta che sorrida, e si lamenta sempre di tutto. Quando vado a lasciare i sacchi della posta in partenza mi faccio un punto d’onore di augurargli il buon giorno; lui non risponde quasi mai, e le rare volte in cui si degna lo fa soltanto per bofonchiare: «Che ci trovi di buono?», oppure «Potrebbe anche esserlo, se non fossi inchiodato in questo schifo di posto». In generale, la regola è: piú brioso il saluto, piú ostile la risposta. Per farsi un’idea dell’abissale miseria umana del personaggio è sufficiente sapere che tutte le riviste nel suo espositore sono sigillate con tre giri di nastro adesivo per impedire alla gente di sfogliarle. Wilma è l’esatto contrario, per fortuna: sempre spiritosa, allegra e alla mano. L’ufficio postale è il fulcro della nostra comunità: ci vanno tutti almeno una volta alla settimana, ed è il luogo dove nascono i pettegolezzi e si affiggono gli annunci funebri.
Dopo la pausa pranzo mi sono accorto che era finita la carta nel registratore di cassa: sono andato a cercare un rotolo nuovo e ho scoperto che li abbiamo finiti, cosí ne ho ordinati una ventina. Dovrebbero bastarci per due o tre anni. Forse meno, se il fatturato cresce.
Oggi sono arrivate due nuove iscrizioni al Random Book Club, il ramo di attività collaterale che mi sono inventato alcuni anni fa, quando gli affari languivano e il futuro era tetro. Al costo di cinquantanove sterline l’anno, gli abbona- ti al nostro «club del libro a caso» hanno diritto a ricevere un libro al mese senza poterne scegliere il genere, mentre il controllo della qualità è compito mio. Selezionare i titoli per il club è un lavoro che richiede molto buon senso: siccome è altamente probabile che gli iscritti siano lettori accaniti, faccio il possibile per andare incontro ai gusti di gente che ama leggere per il semplice gusto di leggere. Non c’è mai niente che richieda conoscenze tecniche approfondite: di solito metto insieme un cocktail di narrativa e saggistica, con una lieve preponderanza per quest’ultima, e se capita aggiungo qualche libro di poesie. Nei plichi che spe- dirò questo mese ci saranno la raccolta di poesie di Clive James intitolata Altri passaporti, ma anche La grotta di Prospero di Lawrence Durrell, la biografia di Sartre scritta da Iris Murdoch, Una città come Alice di Nevil Shute e un manuale intitolato I 100 e piú principî della genetica. Tutti i volumi sono in buone condizioni, non sono scarti di biblioteche, e a volte – parecchie volte – hanno piú di cent’anni. Credo che se i membri del club decidessero di vendere su eBay qualcuno dei titoli ricevuti rientrerebbero abbondantemente della spesa per l’iscrizione. Sul sito del club c’è anche un forum online, ma non lo usa nessuno, il che dice qualcosa sul tipo di pubblico interessato al progetto: gente a cui non piace essere obbligata a interagire con gli altri. Forse è proprio per questo che mi è venuta l’idea: ho applicato il famoso principio di Groucho Marx, ovvero: «Non vorrei mai iscrivermi a un club che accettasse tra i suoi soci uno come me». Al momento gli abbonati sono centocinquanta: un buon risultato se si considera che non faccio nessun tipo di marketing eccetto una modica quantità di inserzioni sulla «Literary Review», e che il sito web e la pagina Facebook del club non sono aggiornati da un mucchio di tempo. È tutto merito del passaparola, secondo me. Sono molto affezionato al club, perché mi ha salvato da una grave crisi finanziaria in un momento difficilissimo.
Totale in cassa: £ 119,99
Clienti: 11
Martedí 4 marzo.
Ordini online: 6
Libri trovati: 6
Tra i clienti abituali della libreria c’è un certo William, o una certa Agnes, a seconda di come gli gira quando scende dal letto al mattino. Come sua abitudine, anche oggi William/Agnes si è presentato/a con una borsata di libri da vendere. È un/una transgender ottantenne che abita a Irvine e guida una Reliant Robin, una macchinetta a tre ruote identica a quella che si vede nella serie tv di Mr Bean. Non ho mai capito quale fosse il suo sesso di partenza e quale sia quello di arrivo, per questo uso entrambi i pronomi. Stamattina indossava degli enormi orecchini a cerchio ed era molto soddisfatto/a dei libri che aveva portato e che, come sempre, erano robaccia. Gli/le ho dato quattro sterline. Dopodiché si è lamentato/a un po’ delle lungaggini burocratiche della previdenza sociale e ha concluso la tirata esclamando: «Io sono un uomo-barra-donna molto impegnato!»
Da quando Wigtown si è conquistata il titolo di Città dei libri è diventata un polo di attrazione tanto per chi vuole venderne, quanto per chi vuole comprarne. L’idea delle Città dei libri si deve a Richard Booth, che negli anni Settanta riuscí a convincere molti librai a trasferirsi nella cittadina di Hay-On-Wye, nelle Marche gallesi, sostenendo che una città piena di librerie avrebbe attratto molti visitatori, dando nuovo impulso all’economia locale. L’idea ha funzionato, e alla fine è stata adottata anche qui. Il progetto che mirava a fare di Wigtown la Città dei libri scozzese è stato inaugurato nel 1998. A dispetto delle iniziali perplessità della popolazione, ha cambiato in meglio il paese, e oggi Wigtown è tornata a essere fiorente come prescrive il suo motto. Mi ero appena trasferito qui da Bristol, nel 2001, quando la «Galloway Gazette» pubblicò la lamentela di una lettrice secondo la quale era diventato impossibile comprare un paio di calzini a Wigtown: la colpa dello stravolgimento, secondo lei, era delle librerie. Ormai non c’è piú traccia di quel rancore, e ci vorrebbe molto coraggio per sostenere che la trasformazione in Città dei libri non abbia immensamente risollevato le sorti del paese. Comprare dei calzini, d’altronde, è un’impresa impossibile anche a Newton Stewart, che pure è sede di mercato. Chissà che rabbia, quella signora.
Bev è venuta a consegnare una scatola di tazze sulle quali ha stampato la copertina di Angoscia sull’altra sponda.
Totale in cassa: £ 57
Clienti: 5
Giovedí 6 marzo.
Ordini online: 7
Libri trovati: 7
Stamattina ho scaricato dal furgone gli scatoloni di libri sul golf che ero andato a prendere sabato a casa di Callum. Ho già tentato per due volte, senza successo, di vendere l’intero lotto su eBay; adesso credo che li porterò all’asta di Dumfries, ma prima voglio controllare se nel mucchio c’è qualcosa che valga la pena di inserire nel catalogo online. Se ne occuperà Nicky nel weekend. Il magazzino comincia a essere un po’ in disordine.
Un cliente con una pesante croce dorata appesa al collo mi ha chiesto: «Avete un reparto dedicato alle vecchie Bibbie e alle cose di chiesa?» Non ero ben sicuro di aver capito cosa intendesse per «cose di chiesa», perciò l’ho indirizzato al reparto Teologia. Abbiamo in effetti alcune vecchie Bibbie, molto belle e niente affatto costose, ma la gente che vuole vederle non le compra mai, neanche per sbaglio. Il tizio è riuscito a trovare una Bibbia tascabile del 1870, non prezzata, e mi ha chiesto quanto costava. «Quattro sterline», gli ho risposto. Non l’ha comprata. Dev’essere uno strano effetto psicologico, quello che si innesca quando un cliente si imbatte in un libro senza prezzo. Qualsiasi somma gli si dica, per quanto bassa, è comunque piú alta di ciò che lui è disposto a pagare. Ho perso il conto degli spiritosoni che sono venuti a dirmi: «Su questo libro non c’è il prezzo: vuol dire che è gratis?» Non è stato divertente la prima volta, e dopo quattordici anni la battuta è completamente priva di smalto, se mai ne ha avuto.
Poco prima della chiusura una tizia con un forte accento dello Yorkshire ha comprato un libro di cucina. «Lei non è della zona», mi ha detto. Le ho risposto che sono cresciuto qui. Anche questa è una frase che a furia di sentirla ti fa uscire di testa. Secondo lei il mio accento avrebbe «un bizzarro timbro nasale».
Totale in cassa: £ 47
Clienti: 3