Come andò a finire nel 2013
Percentuali e risultati notevoli delle elezioni politiche del febbraio 2013, utili per analizzare meglio quelli di stasera
Le ultime elezioni politiche italiane per il rinnovo di Camera e Senato si tennero cinque anni fa, il 24 e il 25 febbraio 2013. In quel caso si andò a votare alcuni mesi prima del previsto, perché il 22 dicembre 2012 c’era stato uno scioglimento anticipato delle Camere. Si votò con la legge Calderoli, quella che tutti chiamano Porcellum. Votò il 75 per cento degli aventi diritto. Per dirla in tre parole, non vinse nessuno: abbiamo messo insieme un ripasso di come andò per analizzare meglio i risultati delle elezioni politiche in corso oggi.
I risultati in breve
Centrosinistra: 29,55%
PD 25,43
SEL 3,2
Centro democratico 0,49
SVP 0,43Centrodestra: 29,18%
PDL 21,56
Lega Nord 4,09
Fratelli d’Italia 1,96
La Destra 0,65Centro: 10,56%
Scelta Civica: 8,3
UDC: 1,79
FLI: 0,47Movimento 5 Stelle: 25,56%
Rivoluzione Civile: 2,25%
Fare per fermare il declino: 1,12%
La versione lunga
La legge Calderoli era un sistema proporzionale quasi puro con un enorme premio di maggioranza, senza possibilità di indicare preferenze: era una legge che portava a un’alta frammentazione del voto e rendeva molto difficile – specie in uno scenario politico come quello italiano – la formazione di maggioranze.
Nel 2013 si arrivava da un paio di anni di governo tecnico di Mario Monti: l’aveva scelto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, poco dopo averlo nominato senatore a vita. Monti governò grazie al voto di gran parte del parlamento fino a quando, a fine 2012, il partito di Silvio Berlusconi (che era ancora il Popolo della libertà) gli ritirò la fiducia. Per le elezioni del 2013 furono presentati 184 simboli elettorali, ma le coalizioni principali erano sei:
– Il centro-sinistra. Con al suo interno il Partito Democratico e Sinistra Ecologia Libertà di Nichi Vendola, tra gli altri. Il capo della coalizione era Pier Luigi Bersani, che era anche segretario del PD dopo aver vinto le primarie di coalizione contro Matteo Renzi.
– Il centro-destra: il leader era Silvio Berlusconi e della coalizione faceva parte anche la Lega Nord, al tempo guidata da Roberto Maroni. Angelino Alfano faceva ancora parte del Popolo della Libertà e non esistevano né Nuovo Centrodestra né Alleanza Popolare.
– Il Movimento Cinque Stelle: che non era coalizzato con nessuno e il cui capo, nonostante non volesse diventare presidente del Consiglio, era Beppe Grillo. Luigi Di Maio era uno solo dei tanti candidati e non lo conosceva nessuno.
– Il centro: la coalizione guidata da Mario Monti, che aveva fondato Scelta Civica mettendo insieme vari pezzi fra Italia Futura, Comunità di Sant’Egidio ed ex politici centristi.
– Rivoluzione civile: la sinistra radicale, guidata dall’ex magistrato Antonio Ingroia. Facevano parte della coalizione anche Italia dei Valori (non di sinistra radicale) i Comunisti italiani e Rifondazione comunista.
– Fare per Fermare il Declino: un partito, non coalizzato con altri, guidato da Oscar Giannino, che proponeva principalmente politiche liberali.
I sondaggi pre-elettorali davano la coalizione di centro-sinistra nettamente in vantaggio rispetto a tutte le altre e, sempre secondo i sondaggi, c’era la concreta possibilità che la coalizione ottenesse la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Nelle ultime settimane prima del voto Renzi aiutò Bersani nella campagna elettorale, Berlusconi promise di abolire l’IMU, Monti fu messo in imbarazzo da un cane alle Invasioni Barbariche e si scoprì che Giannino aveva mentito sul suo curriculum.
Rivoluzione Civile, Fare per fermare il Declino, La Destra e i Radicali non presero nessun seggio. Ora arriviamo a quelli che li presero, i voti, a quanti ne presero e a cosa successe dopo.
Il Movimento Cinque Stelle divenne il primo partito alla Camera: prese il 25,56 per cento dei voti (il PD ne prese il 25,43 per cento). Ma la coalizione vincente, che si prese il premio di maggioranza, fu quella del centro-sinistra, nota come “Italia. Bene Comune”. Ottenne 340 deputati (292 dei quali erano del PD), mentre il centrodestra ne prese solo 124 (97 al PDL e 18 alla Lega), il M5S 108, i montiani 45. Alla camera il centrosinistra aveva quindi la maggioranza assoluta necessaria a governare.
Il problema era il Senato: il PD risultò il partito più votato, ma non bastò. La legge prevede infatti che i seggi fossero assegnati su base regionale. Il centrosinistra prese 113 seggi, il centrodestra 116, il M5S 54 e i montiani 18. La maggioranza si raggiungeva con 158 seggi, e non li aveva nessuno.
Bersani, leader del centrosinistra, cercò quindi di trovare alleanze con altri partiti per provare ad avere la maggioranza dei seggi anche al Senato. Ci provò soprattutto con il Movimento 5 Stelle, in particolare durante un memorabile incontro trasmesso in streaming, ma non se ne fece niente.
Nel frattempo, Camera e Senato dovevano votare il nuovo presidente della Repubblica. La mancata elezione di Romano Prodi – causata dal venire meno di più di 101 voti della coalizione di centrosinistra – portò alle dimissioni di Bersani da segretario del PD. Il parlamento intanto rielesse Giorgio Napolitano, che disse però che sarebbe rimasto solo per un po’ di tempo. Napolitano decise anche di affidare l’incarico di formare un nuovo governo a Enrico Letta, che era vicesegretario del PD. Letta giurò il 28 aprile 2013, un po’ più di un mese dopo il voto e all’inizio governò soprattutto grazie al sostegno di PD e PDL. Dopo di lui, in quella legislatura governarono anche Matteo Renzi e Paolo Gentiloni: anche loro trovando alleanze di vario tipo con partiti esterni al centrosinistra, soprattutto quelli guidati da Angelino Alfano (che uscì dal PDL nel novembre 2013 portandosi dietro un pezzo di parlamentari).